DEOLAI, Giovanni
Apparteneva a una famiglia di vetrai citata nelle carte muranesi e veneziane tra la fine del XIII sec. e la metà del XV, epoca in cui non era più connessa con l'arte vetraria.
Il padre del D., Guglielmo, compare nei libri podestarifi muranesi fin dal 1290 come cospicuo padrone di fornace. Ebbe fornace ed abitazione a S. Stefano di Murano e nel 1325, prima di morire, dettò il suo testamento a favore dei figli Leonardo e Giovanni (Levi, 1895, p. 9). Leonardo assunse la gestione della fornace paterna e con il figlio Donato si estinse la sua discendenza.
Il D. già prima della morte del padre aveva iniziato a Murano una attività vetraria in proprio e aveva ottenuto nel 1316 un prestito da Marinello Badoer con la garanzia del padre (A. Bondi Sabellico, Felice de Merlis, prete e notaio ..., I, Venezia 1973, p. 48). Nel 1317 chiese ed ottenne dal Maggior Consiglio di poter fabbricare smalti (opus smaldorum) anche nel periodo di obbligatoria chiusura delle fornaci (Cecchetti-Zanetti-Sanfermo, 1874, pp. 10 s.).
La notizia, segnalata dal Cecchetti (1865), è stata a lungo fraintesa. La locuzione opus smaldorum indicava gli smalti opachi e trasparenti da orefici; fu invece ritenuto che il D. preparasse piastre vitree da cui ricavare tessere musive, che solo più tardi vennero chiamate smalti.
Nel 1320 circa il D. trasferì la sua fornace a Venezia ai SS. Apostoli presso la chiesa dei crociferi, per fabbricarvi gemmette vitree o "veriselli", unica produzione vetraria permessa in città. I "veriselli", prodotti a Venezia in grandi quantità per il mercato locale e per l'esportazione, caratterizzarono la sua attività vetraria tanto che in più di un documento è indicato come "Iohannes a verriselis". Nel 1321 ottenne eccezionalmente (Zecchin, 1974, p. 258) di poter fabbricare nella fornace veneziana anche lastre colorate da finestre e nel 1330, per espletare questa sua attività, ottenne dal Maggior Consiglio di potersi servire della collaborazione di due maestri muranesi (Cecchetti, 1865, pp. 26, 34). I Giustizieri vecchi avevano dato Parere favorevole a questa concessione affermando che il D. era migliore di ogni altro nella produzione di lastre colorate ("melior in dicta arte aliquo alio"). Morì dopo aver dato nel 1332 disposizioni testamentarie (Zecchin, 1974, p. 259).
Il 4 marzo ed il 27 maggio 1333 i figli Donato (o Donozzolo) e Guglielmo ottennero (Levi, 1895, p. 10) permessi analoghi a quelli già ottenuti dal padre per la fabbricazione di lastre colorate ma continuarono a produrre soprattutto o veriselli". Guglielmo non ebbe discendenti; Donato ebbe una figlia, Barbara, i cui figli Donato, Guglielmo e Giovanni (di cui non si conosce l'eventuale cognome) proseguirono l'attività del nonno materno. Guglielmo, detto in un atto del 1371 "Vielmus a paternostris" (Zecchin, 1974, p. 259), si dedicò evidentemente alla produzione di "paternostri" o grani forati da rosari e da collane. Giovanni, detto nel 1369 "Iohannes a verixelis" e nel 1379 "Zuanne delli Veriselli" (Zecchin, 1974, pp. 259 ss.), continuò l'attività della famiglia materna. La discendenza dei Deolai si estinse con un figlio di Giovanni, Bartolomeo, prete e notaio, i cui atti (1412-1464) sono conservati all'Archivio di Stato di Venezia.
Fonti e Bibl.: B. Cecchetti, Sulla storia dell'arte vetraria muranese, Venezia 1865, pp. 26, 34;Id.-V. Zanetti-E. Sanfermo, Monografia della vetraria veneziana e muranese, Venezia 1874, pp. 10 s., 262;C. A. Levi, L'arte del vetro in Murano nel Rinascimento e i Berroviero, Venezia 1895, pp. 9 s.; U. Monneret Du Villard, Le vetrate del duomo, I, Milano 1918, p. 21; A. Gasparetto, Il vetro di Murano, Vicenza 1958, p. 210; L. Zecchin, I "veriselli", in Giornale economico, XLVI (1961), pp. 901 s.; Id., Veriselli e gioie false, in Vetro e silicati, XI (1967), 65, p. 25;Id., Una famiglia "dai veriselli" a Venezia nel Trecento, in Riv. della Staz. sperim. del vetro, IV (1974), pp. 257-260; Id., Vetri da finestra nelle scritture italiane dal 1288 al 1447, ibid., XII (1982), pp. 177 s.; R. Barovier Mentasti, Il vetro veneziano, Milano 1982, p. 15.