DELLA ROVERE, Giovanni
Nacque a Savona da Raffaello e da Teodora Manirolo, di origine greca, intorno al 1457. Nipote di Sisto IV e fratello del futuro Giulio II, nel 1472 si parlò di lui a proposito di un eventuale matrimonio con una giovane di casa Sforza, ma il progetto non piacque al congiunto Girolamo Riario, signore di Imola, che lo trascinò via da Pavia, dove allora si trovava, e lo condusse a Roma. Apprese l'arte militare sotto la guida di Federico da Montefeltro, che ottenne dal papa il titolo di duca il 23 marzo 1474. Quell'anno fu estremamente positivo anche per il giovane nipote del papa. Durante una visita a Roma del novello duca, infatti, nel maggio 1474, si avviarono trattative per il matrimonio del D. con Giovanna di Montefeltro, figlia di Federico, che avrebbe portato in dote Senigallia e Mondavio. L'opposizione dei cardinali fece, per allora, fallire il progetto, che però, ripreso nel settembre del medesimo anno, andò a buon fine, con l'annuncio, il 10 ottobre, del matrimonio. Subito dopo il D. veniva investito dei vicariati di Senigallia e Mondavio, dietro pagamento di un censo annuo di 600 ducati.
Ricevuta l'investitura il D. si affrettò a nominare un nuovo castellano, suo zio ser Giovanni Giacomo di Baviera da Asti, che giunse a Senigallia il 23 ottobre. Fu ricevuto solennemente, poiché fu considerato, a torto, vicario del signore. Luogotenente fu invece fatto Gottifredo da Cesena, al quale Alessandro Numai, vescovo di Forlì, giunto nella città il 28 ottobre "per assignar il territorio al luogotenente", fece la consegna formale. I cittadini gli prestarono giuramento di fedeltà e inviarono oratori ad Urbino a porgere omaggio al Della Rovere. Questi era tornato a Roma con il futuro suocero nell'ultima decade di agosto, dopo che il Montefeltro passando da Città di Castello, assediata dal legato papale, aveva procurato la capitolazione della città. A Senigallia, che, dopo la signoria dei Malatesta e quella di Antonio Piccolomini, viveva un periodo di disordine e di contrasti che rasentava la guerra civile, il D. giunse il 28 dicembre. Era stato accolto a Cesano da centocinquanta uomini del contado e nei pressi di Senigallia dal nuovo castellano con cinquanta uomini della città; un notabile aveva recitato un'orazione.
Non sappiamo quanto il D. si trattenne nella città, ma l'anno seguente era a Roma, dove, morto l'11 novembre il cugino Leonardo Della Rovere, veniva creato dal papa, con bolla del 17 dicembre, prefetto della città. Pochi giorni prima, il 25 novembre, Ferdinando d'Aragona re di Napoli gli aveva concesso i ducati di Arce e di Sora, con le terre di Arpino, Fontana, Santopadre, Brocco, Casalvieri, Isola Filiorum Petri, Isoletta, Castelluccio e Montattico.
In occasione della sua nomina a prefetto, Domizio Calderini aveva scritto per lui un panegirico. In esso, conservato manoscritto in un elegante codice vaticano (Urb. lat. 735) e in uno della Bibl. capitolare di Verona (CCLVII, c. 276), dopo un'ampia esaltazione della carica di prefetto e una serie di elogi tributati ai genitori del D., allo zio pontefice e al fratello Giuliano, cardinale, l'autore loda la modestia del nuovo prefetto, "quae est prima adolescentiae commendatio" e la sua obbedienza al fratello; ricorda anche come titoli di merito la parentela con Federico duca di Urbino e la concessione di Sora da parte di Ferdinando d'Aragona. Quest'ultimo sovrano due anni più tardi si dichiarò suo protettore e gli permise di inquartare il suo stemma.Allorché, dopo la congiura dei Pazzi, si venne alla guerra fra Roma, sostenuta dall'Aragonese, e Firenze, sostenuta da Milano e da Venezia, il D. prese parte nel 1478 alla campagna di Toscana insieme con Giulio Cesare da Varano, signore di Camerino, e Giovanni Francesco Del Bagno, tutti sotto la guida del napoletano Matteo da Capua.
Il D., che aveva al suo diretto comando settantacinque uomini d'arme, si trovò con gli stessi compagni nel territorio di Perugia, a fronteggiare Roberto Malatesta, anche se la fortuna non gli arrise e subi una sconfitta. Fu opera sua e dei suoi uomini il saccheggio di Certaldo e determinante il suo apporto nella vittoria su Costanzo Sforza. Insomma "acquistò buona fama in quell'anno" (Andreano, Cronaca, p. 35) e inoltre, in un mese imprecisato (con più probabilità che nel 1475 come afferma il Monti Guarnieri) sposò "con pompa persiana", a Roma, Giovanna di Montefeltro. Con la moglie il 26 apr. 1479 il D., forse per presentarla alla cittadinanza, si recò a Senigallia, ove furono loro tributati solenni festeggiamenti. Già dall'estate del 1475 il D. aveva provveduto a far compiere lavori di sistemazione nel porto e nel 1480e 1481 fece iniziare importanti opere di riattamento e accrescimento della rocca della città.
Nel gennaio del 1482 il D. fu invitato da Sisto IV a trasferirsi a Roma e infatti si portò nella città con tutta la famiglia e ricevette in dono dal pontefice, oltre un palazzo nell'Urbe, anche il lago di Vico. Scoppiata la guerra di Ferrara, il D. conibatté nell'esercito pontificio: tre - due di uomini d'arme e una di balestrieri a cavallo - delle trentacinque squadre di Roberto Malatesta erano del D., il quale probabilmente partecipò alla battaglia di Campomorto. Conclusasi la prima parte della guerra e voltosi il pontefice contro Venezia, nell'agosto del 1483 il D. si portò nel campo dei Pontifici, ma "si amalò e ritornò a collo d'huomini del mese di novembre" (Andreano, p. 36). Era ancora ammalato quando Sisto IV venne a morte il 12 ag. 1484 e, dopo l'elezione di Innocenzo VIII, si fece trasportare a Roma.
I rapporti con questo pontefice, presso il quale il fratello del D., il cardinale Giuliano, era potente e influente, si rivelarono subito buoni. Avvenuto a Roma nell'ottobre un episodio non molto chiaro, durante il quale dopo l'uccisione di un uomo d'arme di Alfonso d'Aragona da parte di alcuni aderenti dei Colonna, il D. fu ferito da questi ultimi, nella chiesa di S. Caterina, "perché sparlava di casa Colonna" (G. Pontani, Diario romano, p. 44), il 26 novembre il papa lo propose come capitano delle milizie pontificie ai cardinali, che accolsero la proposta. Subentrato così a Girolamo Riario, il 26 o il 27 dicembre ricevette solennemente in S. Pietro il bastone del comando. Finita la cerimonia, durante la quale furono benedetti gli stendardi, il D. invitò "tutti li ambasciatori e signori" presenti a Roma a recarsi con lui nel palazzo del fratello ai Ss. Apostoli, dove li trattenne a convito. Fu notata in quell'occasione la presenza dei Colonna, contrapposta all'assenza degli Orsini. Ciononostante quando divampò ancora una volta il dissidio fra le due famiglie rivali e nel luglio 1485 iColonnacompirono una scorreria a Galeria, terra degli Orsini, il papa commise al D., oltre che a Giacomo Conti, di ordinare a Prospero e Fabrizio Colonna la consegna delle prede. Così all'inizio del settembre fu delegato il D. per accompagnare fino a porta Viridaria Virginio Orsini, dopo il suo abboccamento con il papa.
Iniziata la ribellione dei baroni napoletani e preso corpo l'appoggio ad essa del papa, che, con l'alleanza di Genova e Venezia, ruppe guerra contro Ferdinando d'Aragona, il D., sotto il comando di Roberto Sanseverino, gonfaloniere della Chiesa, tenne testa alle milizie napoletane che, guidate da Alfonso d'Aragona e sostenute dagli Orsini, minacciavano direttamente Roma. Portatosi quindi il Sanseverino in Tuscia pontro gli Orsini, dopo averli respinti da Monterotondo e Mentana, il D., provveduto alla difesa del suo ducato di Sora, si recò in Abruzzo. Qui sostenne i Colonna nel loro tentativo di recupero della contea di Albe e Tagliacozzo, come anche Ruggerone Accrocciamuro, che invece era impegnato in quello della contea di Celano. Passando per Pepoli e Lanciano, il D. raggiunse a Vasto il ribelle Pietro di Guevara, per poi attaccare Serracapriola in Capitanata. Allorché il sovrano napoletano inviò contro di lui il nipote Ferrandino, principe di Capua, il D. si attestò a Benevento e da qui si limitò a organizzare alcune sortite e scorrerie nei territori limitrofi.
Conclusa fra il pontefice e il re di Napoli la pace, l'11 ag. 1486, il caso del D., relativo al ducato di Sora, che gli era stato confiscato dall'autorità regia, fu contemplato espressamente in un capitolo di essa. Non fu presa una decisione chiara e, mentre il papa si limitava a fare inserire nei capitoli come egli si fosse adoperato per ottenere l'indipendenza del ducato dal re, si stabilì che il cardinale Giuliano avrebbe potuto scegliere fra tre soluzioni. Egli avrebbe cioè potuto rimettere ogni decisione a un arbitrato da tenersi a Roma, o accettare le deliberazioni prese in comune dal re e dal papa o, infine, contentarsi della restituzione delle spese sostenute per l'acquisto del ducato. Comunque la soluzione della controversia fu trovata in breve, perché, richiesta dal D. la conferma dell'investitura del 1475 al sovrano, questi gliela concesse con un atto del 15 febbr. 1487. In esso era inoltre specificato, per riguardo al cardinale Giuliano, che il D. non era tenuto a presentarsi al re di persona, se non quando l'avesse dovuto fare come nunzio.
Nell'agosto del medesimo anno accadde in Roma un episodio inquietante per il prefetto. Fu infatti catturato e incarcerato un suo segretario, nella casa del quale furono Sequestrate "omnes cartas et scripturas existentes". L'Infessura, che riporta la notizia, riteneva che ciò fosse avvenuto per il sospetto di qualche macchinazione ordita dal D. e dal fratello cardinale contro il pontefice oppure ad opera degli Orsini, nemici dei Della Rovere. Egli fu comunque ricevuto dal papa nel settembre e nello stesso anno gli fu tolto l'incarico di comandante dell'esercito papale.
Si hanno poche e frammentarie notizie del D. per, gli anni immediatamente successivi. Era, pare, al servizio di Venezia nel marzo del 1489 e in buoni rapporti con Innocenzo VIII, che in una lettera al nunzio Niccolò Franco glielo raccomandava. In quegli anni fu probabilmente presente a Senigallia, dove nel 1489-90 fu compiuto, con il suo benestare, il catasto che elenca tutti i possedimenti dei privati e delle chiese di Senigallia, preziosa fonte di notizie storiche, ora conservato nell'Archivio storico del Comune della città; e nel 1491 ebbe inizio, ad opera di Baccio Pontelli, per volontà del D., che intendeva così sciogliere un voto per la nascita di un erede maschio, la costruzione, poi rimasta incompiuta, della chiesa e del convento di S. Maria delle Grazie, di cui due anni dopo avrebbero preso possesso i minori conventuali. Nel 1490 infatti, al D. era nato Francesco Maria, che sarebbe divenuto duca di Urbino; ebbe altri cinque figli, Girolamo e Federico morti bambini, e Giovanna, Beatrice e Costanza.
Salito al soglio pontificio Alessandro VI, il D. si trovò nella scomoda posizione di congiunto di un cardinale decisamente all'opposizione rispetto alla politica del Borgia. Dopo che il papa, iniziate già le ostilità francesi in Italia, ebbe concesso l'investitura del Regno ad Alfonso II d'Ara gona (18 apr. 1494), la contrapposizione fra il pontefice e il card. Della Rovere divenne drammatica, tanto che il porporato filofrancese fuggì da Roma, rifugiandosi nella rocca di Ostia. Subito dopo prese la strada di Francia, affidando la rocca, che aveva provvisioni per due anni, al fratello Giovanni. La resistenza che questi oppose agli attacchi del conte di Pitigliano fu però scarsa e, ad opera di Fabrizio Colonna, verso la fine di maggio si giunse alla capitolazione.
Nel dicembre di quel medesimo anno il D. si rese protagonista di un atto gravissimo di ostilità nei confronti del papa. Tornava allora da una missione presso il sultano Báyazid II, insieme ad un oratore turco, l'inviato papale Giorgio Bocciardo. Aveva con sé, oltre a numerosi documenti diplomatici, 40.000 ducati, che il sultano mandava al pontefice come canone per il mantenimento in prigionia del fratello Giem. Il D. presso Senigallia fece assalire gli ambasciatori, sottrasse loro i documenti e i denari e cacciò in prigione il Bocciardo. Giustificò il suo operato sostenendo di vantare crediti per paghe non pagategli dalla Sede apostolica, dal tempo del papa precedente.
Benché il Valeri sostenga che il D. passò dalla parte degli Aragonesi, egli è enumerato fra coloro che accolsero a Napoli Carlo VIII, quando questi nel febbraio del 1495 fece il suo ingresso solenne nella città. Il D. seguì il sovrano francese quando questi, nel medesimo anno, tornò in Francia. L'ira del pontefice nei riguardi del D., causata sia dal suo atteggiamento filofrancese, sia dal grave atto compiuto contro il Bocciardo, si manifestò con la comminazione della scomunica contro di lui e con la privazione della dignità prefettizia. In una istruzione fornita agli inviati pontifici presso Luigi XII il papa enumerava i demeriti del D. verso la S. Sede, aggiungendo ai già noti anche il tentativo di macchiare "falsis machinationibus" la sua fama. Tuttavia, con bolla del 18 nov. 1499, Alessandro VI concesse al D. il perdono. Nel medesimo anno il sovrano francese lo propose come capitano generale dei Fiorentini, ma egli non accettò l'incarico. Probabilmente si era già ritirato a Senigallia, dove morì il 6 nov. 1501.
Le esequie, durante le quali recitò l'orazione funebre Ludovico Odassio, avvennero nella chiesa di S. Maria Maddalena ed egli, rivestito del saio francescano, fu poi seppellito nella chiesa di S. Maria delle Grazie. Un frate di questo convento, Grazia di Francia, scrisse poi, una ventina di anni dopo la morte, una sua biografia (Bibl. apost. Vaticana, Urb. lat. 1023, cc. 315-336), che ne metteva in rilievo la straordinaria religiosità.
Si ritiene molto meritorio il modo in cui il D. governò Senigallia (nei periodi di assenza egli si faceva sostituire da Angelo Orlandi). Come si è già accennato, egli affidò a Baccio Pontelli la ricostruzione della rocca, cui l'architetto dette l'assestamento attuale, inglobandovi e trasformando la rocca più antica costruita dall'Albornoz nel 1355e includendovi un appartamento per il signore. Si servì anche dell'architetto napoletano Giovanni Battista Della Valle, come pure di Francesco di Giorgio Martini, cui affidò la costruzione delle rocche di Mondavio e di Mondolfo. Oltre a questi lavori di costruzione e di restauro, estesi anche a chiese ed ospedali, il D. intraprese opere di bonifica intorno alla città, nelle zone chiamate Saline e Canizze, e di disboscamento nelle valli del Misa e del Nevola; promosse industria e commercio, anche con l'istituzione di fiere. Con queste iniziative e con la distribuzione delle terre recuperate alla produzione agricola egli, che era il più ricco privato del paese, possedendo 137.207canne di terra, suddivise in undici appezzamenti, si procurò una base di consenso e favorì l'equilibrio politico e la tranquillità sociale nella città.
Il D., in onore del quale Lippo Brandolini scrisse un epigramma (Bibl. Ap. Vat., Urb. lat. 739, c. 100; Vat. lat. 5008, c. 75v e Roma, Bibl. naz., SS. Giovanni e Paolo, 7 [1823]),èraffigurato nel celebre affresco - trasportato su tela nel 1820 circa - di Melozzo da Forlì, ora nella Pinacoteca Vaticana, rappresentante Sisto IV nell'atto di costituzione della Biblioteca Vaticana. Di statura non alta, vestito di un serico abito rosso, ornato di una catena d'oro, con le mani in tasca, è la figura più a sinistra di quelle che circondano il pontefice.
Fonti e Bibl.: G. Pontani, Diario romano, in Rer. Ital. Script., 2ed., III, 2, a cura di D. Toni, pp. 14, 43 ss., 68; J. Gherardi, Il diario romano ibid., XXIII, 3, a cura di E. Carusi, pp. XXVIII: LVII, 86, 147; J. Burchard, Diarium, a cura di L. Thuasne, I, Paris 1883, p. 124; II,ibid. 1884, pp. 202, 629, 675 s.; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, V, pp. 80, 172, 177, 182, 188, 228, 254; Dispacci e lettere di G. Gherardi, a cura di E. Carusi, Roma 1909, pp. CXIII, CXXV, CLXXVI; Regis Ferdinandi primi instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 410 ss.; Federico da Montefeltro, Lettere di Stato e d'arte (1460-1480), a cura di P. Alatri, Roma 1949, pp. 57, 63,91 s.; Regesto della Cancelleria aragonese, a cura di A. Mazzoleni, Napoli 1951, pp. 62, 267 ss.; G. F. Andreano, Cronaca delle cose occorse ne li anni 1450-1486 per la ricostruzione de... Senegallia, a cura di S. Anselmi - R. Paci, Senigallia 1972, pp. 32-37; L. Siena, Storia della città di Sinigaglia, Sinigaglia 1746, pp. 154-63; F. Gregorovius, Storia della città di Roma, Roma-Torino 1901, III, p. 840; IV, pp. 4 s., 37, 41, 73, 129; P. Fedele, La pace del 1486 tra Ferdinando d'Aragona ed Innocenzo VIII, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, XXX (1905), p. 494; L. Mancini, Sinigaglia dai Malatesta ai Rovereschi (1463-1474), in Atti e mem. della R. Deput. di storia patria per le Marche, s. 4, III (1926), pp. 208, 214; L. Serra, L'archit. militare del Rinascimento nelle Marche, in Rassegna marchigiana, XII (1934), pp. 14 ss., 18, 20 s.; C.Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I,Milano 1936, p. 263; L. von Pastor, Storia dei papi, II, Roma 1961, pp. 454, 465, 476, 482, 491, 767; III, ibid. 1959, pp. 211, 222, 373, 376, 428; G. Monti Guarnieri, Annali di Senigallia, Senigallia 1961, pp. 125-38; S. Anselmi-M. Mazzanti Bonvini-R. Paci, Senigalliae i suoi dintorni, Senigallia 1969, pp. 21 s., 71, 75 ss.; N. Valeri, L'Italia nell'età dei principati, Verona 1969, p. 556; S. Anselmi, Insediamenti, agricoltura, proprietà nel ducato roveresco del XVsec., in Quaderni stor., XXVIII (1975), pp. 49, 59 ss., 75; A. Schiavo, Melozzo a Roma, in Presenza romagnola, II(1977), pp. 83 s.; M-Caravale-A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da MartinoV a Pio IX, Torino 1978, pp. 100,119, 147; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Della Rovere, tav. II.