AGNELLO, Giovanni dell'
Mercante pisano, vissuto in epoca di decadenza della sua città e di agitazioni faziose, attuò nel 1364 un singolare ma effimero tentativo di costituirvi un vero e proprio principato ereditario, e per quattro anni fu doge di Pisa e governatore e difensore di Lucca che ne dipendeva. Profittando dell'abbattimento dei Pisani, per la sconfitta toccata da Firenze, e dello sgomento dei Raspanti, che avevano promosso la guerra e temevano il prevalere della parte avversaria favorevole a Firenze, Giovanni di Cello dell'Agnello, con l'appoggio di alcuni Raspanti, di Bernabò Visconti, e soprattutto delle bande di Giovanni Acuto, si presentò il 13 agosto 1364 al palazzo degli Anziani e si fece nominare doge di Pisa. Il giorno dopo fu acclamato dal popolo in duomo e riconosciuto da Lucca come governatore generale. Ricco industriale della lana, e come tale avverso a Firenze, egli aveva occupato in patria varî uffici pubblici fin dal 1342, preseduto più volte alle milizie e sostenute ambascerie, segnalandosi per assennatezza, moderazione, liberalità, e guadagnandosi le simpatie generali. Ma assunto il titolo di doge, nuovo per Pisa, intese esercitare autoritariamente il potere. Fece dipendenti da sé e vincolati da personale giuramento di fedeltà i funzionarî che occupavano vecchie magistrature; non convocò i consigli; riunì e strinse i principali Raspanti in una casata de comitibus, concedendo loro cariche redditizie, ma negando qualunque autorità effettiva; e nel 1366 rese il dogado, che da principio era stato annuale, vitalizio ed ereditario, licenziando gli anziani. Si circondò di fasto principesco - anticipando anche in questo la figura del signore del Rinascimento - costituendosi una vera e propria corte, e, quando sposò in seconde nozze una Da Vico, entrò con lei trionfalmente in Pisa. Ebbe nel palazzo una guardia armata e fortificò e presidiò a sua difesa varie località cittadine. Si alienò così tutti; e l'odio si accrebbe per le tassazioni eccessive, per le spogliazioni, pel cattivo successo della sua politica esterna, non essendo egli riuscito a indurre i Fiorentini a riprendere i loro traffici con Pisa. Sapendosi così malvisto, cercò, quando nel 1368 Carlo IV discese in Italia, di appoggiarsi a lui, e cambiò il titolo di doge in quello di vicario imperiale. Se non che, mentre il 5 settembre si trovava in Lucca ad ossequiare l'imperatore, precipitò da un ballatoio, improvvisamente spezzatosi, e si ruppe una gamba. Nello scompiglio, Pisa insorse, ristabilì l'anzianato, bandì tutti i Dell'Agnello; Lucca, da parte sua, si proclamò indipendente da Pisa. Giovanni, deluso nella speranza d'esser rimesso in patria dall'imperatore, si rifugiò presso Bernabò Visconti, che, nel 1370, urtato dal predominio del partito fiorentineggiante in Pisa, aiutò l'esule a tentar un colpo di mano. Questo fallì, e Giovanni si ritirò a Genova, dove morì nel 1387.
Bibl.: G. Mamo, Giovanni dell'Agnello, ecc., Pescia 1911; N. Caturegli, La Signoria di Giovanni dell'Agnello in Pisa e in Lucca, Pisa 1921; F. Landogna, Le relazioni tra Bernabò Visconti e Pisa nella seconda metà del secolo XIV, in Arch. storico Lombardo, L (1923), fascicoli I e II; id., La politica dei Visconti in Toscana, Milano-Roma-Napoli 1929. Su Pisa e le sue fazioni in quel tempo, P. Silva, Pietro Gambacorta, Pisa 1911.