DEL GIUDICE (Iudicis, de Iudice), Giovanni
Non si conosce la data di nascita del D.: sulla base delle scarse e discordanti notizie in nostro possesso relative alla carriera e all'attività amministrativa di questo uomo politico romano si ritiene che essa risalga agli ultimi anni del sec. XII.
La famiglia cui il D. apparteneva - un ramo, secondo alcuni studiosi, dei Papareschi di Trastevere (Gregorovius, p. 228); secondo altri dei Crescenzi (Tomassetti, p. 110) -, consanguinea degli Orsini, imparentata con i Conti e i Frangipane (Gasparrini, p. 18), aveva raggiunto una certa notorietà e consistenza economica: disponeva infatti di beni in città e di possedimenti nella zona presso la tomba di Cecilia Metella, agli Orti del Prefetto, sul lago di Albano, nei pressi di Nemi.
La valle che si stendeva tra il secondo miglio dell'Appia verso l'Ostiense era detta "vallis Iohannis Iudicis", perché locata nel 1163 dall'abate di S. Alessio all'Aventino, di cui la famiglia era enfiteuta, ai figli di un Giovanni giudice, che aveva ottenuto nelle vicinanze anche altri terreni dal monastero di S. Gregorio in Clivo Scauri e dalla chiesa di S. Sebastiano. Tuttavia, la menzione del nome "Iohannes" seguito dalla denominazione "iudex, iudicis", "de iudice", in atti della fine del sec. XII e della prima metà del successivo, non è sempre riferibile con certezza al D., in quanto l'appellativo "iudex", "iudicis", "de iudice" può semplicemente indicare la funzione propria o del padre, prima di stabilizzarsi come cognome. Il fatto che il D. abbia ricoperto due volte la suprema carica di senatore di Roma, nel 1214 e nel 1238, sotto due pontefici della famiglia dei Conti, Innocenzo III e Gregorio IX, è una chiara testimonianza dell'influenza goduta dalla famiglia Del Giudice e soprattutto del favore suscitato dalla personalità del D. nella cerchia papale.
Il D. assunse per la prima volta l'ufficio di senatore di Roma verosimilmente nell'ottobre del 1213, poiché nel giugno ricopriva ancora quella carica un Andrea; dové conservarlo, come di consueto, fino all'ottobre successivo, perché nel novembre dell'anno 1214 era già in funzione Pandolfo del fu Giovanni di Pietro Del Giudice, che non sembra peraltro avere avuto stretta relazione di parentela con lui. Il D. compare per la prima volta nella vita politica romana, dunque, in un momento particolarmente felice del pontificato di Innocenzo III, contrassegnato dai buoni rapporti con Federico III, culminati nel riconoscimento di quest'ultimo come futuro imperatore nel IV concilio lateranense del 1215.
La presenza di un solo senatore al governo di Roma, in luogo del senatorato di cinquantasei membri, che era più consono a mantenere l'autonomia cittadina, testimonia il perdurare dell'ingerenza papale nella nomina dei responsabili dell'amministrazione pubblica. Innocenzo III aveva di fatto avocato a sé la loro scelta, ponendo in carica persone fidate allo scopo di rafforzare la propria influenza sul Senato e obbligare una parte della nobiltà romana ad accettare il diritto papale all'elezione del supremo magistrato capitolino.
Dell'attività svolta dal D. come senatore di Roma tra l'ottobre del 1213 e l'ottobre del 1214 ci resta una sola testimonianza. Si tratta di un "privilegium" del 28 febbr. 1214, con il quale "Iohannes Iudicis Dei gratia alme Urbis illustris senator" condanna "decreto et auctoritate sacri senatus" Pucio, Paolo di Niccolò Romiti, Niccolò di Adelascia e Gualterio, oltre al pagamento delle spese processuali, anche a "solvere et dare et reddere abbati Sancte Praxedis et eius yconomo et Tyburtino. XX. solidos bonorum provisinorum senatus et asinum quem abstulerunt eidem Tyburtino, et alias res" da loro sottratte, ed ordina l'esecuzione della sentenza, stabilendo in particolare la multa che dovrà pagare il pubblico ufficiale, "senator vel iustitiarius", che avrà omesso di farlo: una libbra di oro puro da pagare per metà alle parti lese e per metà al Senato "pro muris Urbis". Dal documento si trae anche la notizia che il D. aveva già in precedenza intimato con una sua ordinanza (praeceptum), cui non si era ottemperato, ai quattro di restituire Tiburtino, un dipendente della abbazia di S. Prassede di Roma, da costoro prelevato insieme ad alcuni beni del monastero, tenuto in ostaggio e restituito "iam dicto abbati" solo previo il pagamento di una congrua somma di denaro.
È interessante notare, a proposito di questo documento, che l'ammenda prevista per la mancata esecuzione della sentenza viene a colpire in questo caso i senatori e gli iustitiarii del Senato. La parte di tale ammenda che doveva essere versata al Senato doveva essere impiegata per il restauro delle mura urbane, alla cui manutenzione si era già impegnato il papa nell'accordo del 1188 con il Comune romano, per una somma annua di 10 libbre.
Scaduto dalla carica di senatore, il D., come molti altri nobili romani, esplicò la funzione di podestà in diverse città italiane, assecondando la tendenza politico-amministrativa dei papi del periodo, che cercavano di porre propri fedeli al governo di alcuni Comuni non solo del Patrimonio per utilizzare, ove possibile, la carica podestarile in funzione dell'esercizio di un'autentica signoria indiretta.
Per ragioni cronologiche e di cittadinanza, non può tuttavia identificarsi nel D., come invece generalmente si afferma, quel "Iohannes de Iudice civis Anagninus", che, dopo aver occupato Gaeta con le sue milizie, fu ivi designato podestà nel 1229 da Gregorio IX, su richiesta degli stessi abitanti, e che morì intorno al 1260. Questo "civis Anagninus" è verosimilmente quel "dominus Iohannes de Iudice", testimone nel 1237 in una permuta di beni nei pressi di Ninfa e Sermoneta (Les registres de Grégoire IX..., II, n. 4413), probabile rettore di Castro, figlio di Ildicio Del Giudice, signore di Acuto, sposatosi con una nipote di Gregorio IX. Si tratta con evidenza di un omonimo rappresentante della famiglia, poiché, se si fosse trattato del D., una così stretta parentela con il papa sarebbe stata senza dubbio sottolineata dai cronisti coevi.
Dopo il senatorato romano, il D. fu podestà di Perugia dal 1215 al 1216, stando a quanto si trae da una donazione di beni risalente al febbraio 1216 in favore del podestà Giovanni, "console dei Romani", e tenendo tuttavia presente che già durante lo stesso 1216, nella guerra contro gli Eugubini, tale carica è gia ricoperta da un Pandolfo. Per più lungo tempo il D. esplicò la funzione podestarile in Orvieto: dal giugno 1216 al marzo 1218; di nuovo nel 1226; e ancora nel 1230. Ciò risulta da numerosi documenti che lo riguardano direttamente e che lo designano con l'appellativo di "console dei Romani", a sottolineare la sua origine nobiliare.
Durante la prima podesteria orvietana, il D. stipulò un patto con la vicina Soana, che si pose sotto la protezione del Comune da lui governato; contribuì a sottomettere il conte Aldobrandino e riportare alla concordia i fratelli Aldobrandeschi; fece in modo che venissero pagati i creditori di un certo Parenzo, forse il futuro podestà del 1219; riuscì a placare le ire dei Viterbesi, che avevano subito un'aggressione da parte degli Orvietani nei pressi del castello di Magliano. Svariati atti del D. come podestà di Orvieto sono relativi alla fabbrica del palazzo nuovo del Comune e concernono acquisti di terreni nelle vicinanze del luogo ove esso sarebbe sorto, e tendono a dirimere controversie per questioni di confini e di costruzioni limitrofe. Dalla documentazione, insomma, emerge la figura di un funzionario estremamente attivo, dall'amministrazione assai valida, impegnato al contempo ad assicurare alla cittadina un periodo di pace e di controllata tranquillità. Si sa che il D. fu nuovamente podestà di Orvieto nel 1226 dalla quietanza relativa al compenso da lui ricevuto, quietanza da lui stesso rilasciata nel 1227 per l'anno precedente. Che egli abbia poi ricoperto tale incarico per una terza volta nel 1230 è provato dal fatto che proprio al D. in quanto supremo magistrato di Orvieto si sottomise sul finire appunto di quell'anno il vescovo di Chiusi, che aveva stretto alleanza con Siena durante la guerra con Montepulciano.
Nel 1234 il D. fu podestà di Firenze, durante la lotta sostenuta da quest'ultima con la rivale Siena. In questo periodo si stipularono i capitoli di lega tra Firenze e Orvieto, da un lato, e Pepo, visconte di Campiglia, dall'altro. Inoltre, poiché Gregorio IX desiderava pacificare Firenze e Siena, i Senesi, i Fiorentini e gli Orvietani addivennero ad un compromesso di pace, le cui trattative vennero portate a felice soluzione dai rispettivi podestà. Non è altrimenti testimoniata la notizia che il D. fosse stato podestà di Firenze già nel 1209, fornita da una cronaca coeva (Cronica fiorentina..., p. 546), che ricorda come il "podestà messer Gianni Giudice di Papa" (Papareschi" fosse in carica quando fu distrutto dai Fiorentini il castello di Rapolano, nei pressi di Siena. Del pari non sicura è l'indicazione del D. quale rettore della Campagna e della Marittima (Les registres de Grégoire IX..., III, n. 5254) prima del 1240, anno in cui Riccardo Annibaldi, cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria, ricopriva già tale ufficio. La cosa appare infatti abbastanza singolare e comunque non conforme alla prassi abituale, in quanto la carica di rettore di una provincia pontificia era normalmente ricoperta non da un laico ma da un ecclesiastico. Di un secondo senatorato romano del D. parla l'anononimo autore della Vita di Gregorio IX quando accenna all'opera svolta in città dal D. stesso contro il partito avverso al papa, prima del 15 ott. 1238, data in cui il pontefice ritornò a Roma da Anagni (A. Potthast, Regesta..., n. 10663), dove si era recato alla fine di giugno dello stesso anno (ibid., n. 10623). Benché la confusione con cui è condotto il racconto abbia indotto alcuni studiosi ad anticipare di circa dieci anni questo secondo senatorato - facendolo dunque risalire al 1229, non senza cadere in contraddizioni (Halphen, p. 172; Salimei, p. 67) - o a protrarlo, auspice il papa, oltre il novembre 1238 (Gregorovius, pp. 227 s.), quando invece erano già in carica Giovanni di Poli e Oddone Colonna, sembra tuttavia doversi rispettare la notizia così come è fornita dalla fonte e porre il secondo senatorato del D. tra il giugno e l'agosto 1238 (Bartoloni, 1946, p. 91) o, addirittura, tra il novembre 1237 e l'agosto dell'anno successivo. Esso venne dunque a coincidere con un altro periodo critico della vita politica romana dopo quello durato pochi mesi (dal luglio all'ottobre 1237), quando Giovanni Cenci, esponente del partito filoimperiale, impegnatosi con Federico II, aveva cercato di impedire il ritorno di Gregorio IX a Roma: il periodo coincise con una politica di estrema intransigenza del papa nei confronti dell'imperatore (culminata come è noto nella scomunica del 1239), mentre i partigiani del partito imperiale, capeggiati da Bobaciano ed Egidio Boezi, presero momentaneamente il sopravvento, ed accolsero entusiasticamente entro le mura della città i resti del carroccio catturato a Cortenuova, costringendo il papa a ritirarsi in Anagni. Il D. esordì nella carica con grande energia, impegnandosi contro gli avversari del pontefice: ne sciolse le leghe e ne fece abbattere le torri. Forse venne anche abbattuta in questa occasione una parte delle costruzioni sul Palatino, che erano residenza dei Frangipane, noti in quel momento per la loro avversione alla politica pontificia: l'anno successivo infatti, l'imperatore fece restaurare la torre Cartularia, appartenente a quella famiglia cui concesse inoltre numerosi beni. In ogni caso, appunto all'azione svolta allora dal D. deve attribuirsi il ritorno del papa in città, auspicato dalla popolazione vivamente interessata alla presenza del pontefice perché causa di benessere e garanzia di ritorno alla calma.
Come gli era già accaduto dopo il primo senatorato romano, il D. fu nominato ancora podestà di Perugia nel 1240. Dopo questa data, non si hanno ulteriori notizia sicure sulla sua attività. Non si conosce la data della sua morte.
Per ragioni di età, non sembra potersi identificare nel D. quel Giovanni Del Giudice "de Cithara de reg. Caccavarii" (cioè S. Carlo ai Catinari), che nel 1277 permuta con Riccardo di Matteo Annibaldi il castello di Malaffitto presso il lago di Albano, in cambio della tenuta "Arcus Tiburtinus" fuori porta S. Giovanni, comprendente Tor Fiscale e il Campo Barbarico.
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