DE SENA, Giovanni
Secondo ed ultimo visconte di Sanluri nel Cagliaritano, era figlio primogenito di Antonio e di Caterina Gomir. Compare per la prima volta nelle fonti note il 30 marzo 1460 nel perdono generale dato alla sua famiglia da Giovanni II (il senza fede), sovrano d'Aragona e ottavo re del "regnum Sardiniae et Corsicae". Come quasi tutti i nobili sardo-aragonesi del tempo, fu in aperto contrasto con le autorità regie dell'isola: nel 1467, ad esempio, lo troviamo resistere ad un ufficiale che gli voleva confiscare un certo quantitativo di vettovaglie a Quarto (attuale Quartu Sant'Elena), la sua tanto contesa "villa" del Campidano di Cagliari. Morto il padre nella famosa battaglia di Uras combattuta contro il ribelle marchese di Oristano Leonardo Alagón, poco dopo il 14 apr. 1470 il D. divenne secondo visconte di Sanluri e signore di Quartucciu, Pirri, San Vetrano, Fluminella (Flumini) e Cepola-Quarto, nonché di altri quattro paesini semidistrutti di Parte Olla. Per tali feudi prestò l'omaggio al sovrano tramite un procuratore l'11 marzo 1471. Circa due mesi più tardi, il 27 maggio, fu nominato a vita grande conestabile di Sardegna, titolo che gli era del resto già riconosciuto in un documento regio del 4 marzo indirizzato alla moglie Caterina, figlia legittimata del ricco feudatario Bartolo Manno.
Nel frattempo in Catalogna era finita la guerra civile e Giovanni II aveva ripreso il suo duro governo assolutistico cercando di reprimere nei territori continentali della Corona d'Aragona e nel "regno di Sardegna e Corsica" ogni moto sedizioso popolare o feudale. Nell'isola era ancora in atto la rivolta di Leonardo Alagón, erede contrastato dello zio materno Salvatore Cubello, marchese di Oristano, morto il 14 febbr. 1470 senza discendenti diretti. Secondo il "mos Sardiniae" (o "Italiae"). sostenuto interessatamente dal vicerè Nicolò Carroz d'Arborea, e dai Carroz conti di Quirra, il feudo oristanese - il più grande dell'isola - sarebbe dovuto ritornare alla Corona, malgrado una vecchia grazia alfonsina del 14 giugno 1437. Per sostenere i propri diritti, Leonardo Alagón era sceso in campo nel 1470, battendo le truppe regie a Uras, ed aveva ripreso le armi cinque anni dopo quando il viceré gli aveva nuovamente contestato il possesso marchionale. In verità, si trattava di più di una semplice contesa fra feudatari. La potenza politica ed economica dei Cubello-Alagón faceva paura ai baroni sardo-aragonesi ed allo stesso sovrano della Corona, perché quella famiglia marchionale, oltre a possedere in complesso più di tre quarti dell'isola, era l'erede degli ideali dei giudicato o regno indigeno d'Arborea vinto nel 1410-20, e poteva riproporre l'antico sogno sardo di unità nazionale sotto l'insegna indimenticata dell'"Albero diradicato". Il che infatti avvenne.Nel corso della seconda fase della sedizione - che ormai aveva assunto colori di lotta irredentista - si unì a Leonardo Alagón, fra gli altri, anche il D., che nel 1476 troviamo alla testa di seimila soldati con Artale e Luigi Alagón (rispettivamente figlio e fratello di Leonardo) all'assedio di Castel di Cagliari (odierna Cagliari), dopo aver conquistato i castelli di Monreale e di Las Plassas (o di Marmilla) e le "ville" di Guspini, San Gavino e Tuili. Il 15 ott. 1477 fu incluso nella sentenza di morte pronunciata da Giovanni II contro il marchese di Oristano ed i suoi fautori, e gli furono confiscati tutti i beni.
Malgrado ciò, il D. proseguì nella lotta degli Alagón contro le armi regie insieme col cognato Serafino de Muntanyans (o Montagnano) e altri feudatari locali come Leonardo Tola, Angelo Cano e Brancaccio Manca. Il 28 genn. 1478 con Artale Alagón invase il Logudoro ed assalì il castello di Ardara, antica reggia dei giudici di Torres, nel Meilogu; ma fu attaccato a sua volta nei pressi della vicina "villa" di Mores da truppe lealiste sassaresi capitanate da Angelo di Marongio (o Marongiu) e si dovette ritirare. Il 19 maggio partecipò alla decisiva battaglia campale di Macomer in cui le schiere dei ribelli furono totalmente sconfitte dall'esercito regolare sardo-siculo-aragonese guidato dal viceré Nicolò Carroz d'Arborea. Scampato alla strage con Leonardo Alagón e pochi altri fidi, raggiunse Bosa dove li attendeva con una nave Giovanni Saragozza che avrebbe dovuto portarli all'estero. Invece, giunto in alto mare, il comandante li tradì e li consegnò all'ammiraglio catalano Giovanni de Villamari, che stazionava con la flotta nel porto di Palermo.
Condotto insieme con gli altri prigionieri a Barcellona, il D. fu rinchiuso nel castello di Játiva, presso Valenza, dove morì intorno al 1490. La sua famiglia andò dispersa e la sua sorte alimentò alcune leggende popolari ancora vive nell'Ottocento.
Il 10 ott. 1479 il nuovo re Ferdinando II il Cattolico diede la viscontea di Sanluri allo zio materno Enrico Henriquez. In seguito, la viscontea fu acquistata da Luigi e Pietro Castelvi che nel 1481 respinsero l'offerta di Caterina De Sena, sorella del D. e moglie di Esimino Pérez Escrivá de Romani, che voleva riscattare l'antico feudo paterno.
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