DE ROSIS, Giovanni
Nacque nel 1538 nella diocesi di Como; non è rilevabile alcuna traccia sulla prima formazione professionale di questo architetto che si annovera fra i massimi esponenti dell'edilizia gesuitica. La sua origine da una regione patria di innumerevoli fabbriceri ed architetti fa però supporre un apprendistato nell'ambiente nativo. Quando, all'età di 18 anni, egli diventò membro della Compagnia di Gesù, era comunque già iniziato all'arte della costruzione: infatti al momento del suo ingresso al noviziato di Loreto, il 20nov. 1556, tra i suoi averi personali egli portò con sé vari disegni di architettura. Nel 1560 fu destinato agli studi a Roma, dove - preparandosi al sacerdozio -frequentò i corsi di retorica al Collegio Romano. Il grande ateneo gesuitico proprio in quel tempo ricevette una sua prima regolare sistemazione in un complesso di edifici presso la piazza di S. Macuto. Nel quadro di tale impresa, diretta dall'architetto gesuita G. Tristano, il giovane religioso compì la sua prima collaborazione edificatoria nell'ambito dell'Ordine; è autografo del D., tra l'altro, l'unico disegno (conservato nella Biblioteca Estense a Modena) rappresentante l'alzato, esterno ed interno, dell'annessa chiesa della Nunziata, rimpiazzata più tardi da S. Ignazio.
Nel 1565 si trasferì nel collegio di Nola, per il quale, tre anni dopo, ebbe occasione di progettare la chiesa del Gesù e seguirne i lavori fino al 1570. È la sua prima opera autonoma e una delle più interessanti dal punto di vista della tipologia spaziale.
L'interno consta di un semplice vano rettangolare con soffitto piano, al quale si aggregano una cappella maggiore absidata e tre cappelle laterali per ogni banda. Queste ultime, tra loro differenziate per dimensioni, creano con le rispettive arcate uno schema che ricorda l'arco trionfale; l'apertura mediana acquista un'iniportanza equivalente a quella della cappella maggiore. È uno dei primi esempi di quella soluzione di impianto longitudinale centralizzato, che tanta fortuna avrebbe conosciuto nell'architettura del Seicento.
Contemporaneamente alla sua attività nolana il D. si dedicò alla fabbrica del collegio gesuitico di Napoli, ove, nel 1568, un accrescimento del sito edificabile richiese una rielaborazione più grandiosa del progetto originale, redatto dieci anni prima dal Tristano.
Per la chiesa, allora già quasi compiuta, disegnò l'altar maggiore, stimato dai contemporanei come l'esempio più riuscito realizzato fino ad allora nell'ambiente gesuitico. L'intero complesso (e quindi anche gli interventi del D:) venne in seguito rimpiazzato da un edificio scicentesco di dimensioni ancora più vaste.
Anche la terza opera che concepì per l'Italia meridionale - il collegio e la chiesa di Catanzaro, progettati nel 1571 - venne profondamente alterata nei secoli seguenti; è però conservato il disegno originale presso la Biblioteca Estense di Modena: mostra, nel contesto di un impianto regolare raggruppato attorno a due cortili.1 una chiesa di semplice pianta a croce latina.
Ormai ufficialmente affermatosi come "architectus provinciae" dei gesuiti del Regno, nel 1575 gli venne affidata la costruzione della chiesa del Gesù di Lecce.
La facciata piatta di derivazione sangallesca (tranne la particolarità del frontone spezzato) è decorata da elementi aridi nel loro linguaggio classicista. Introduce però per la prima volta nell'ambiente salentino il più consueto schema ti pologico del Cinquecento romano. L'interno è concepito come un insieme di due ben distinte unità: una vasta aula rettangolare a due ordini di pilastri e copertura piana, accompagnata da basse cappelle laterali, e una crociera di più ridotte dimensioni, con cupola ottagonale, transetto non sporgente e coro poligonale.
Nel 1575 venne chiamato a Roma come successore del p. Tristano nell'ufficio di "consiliarius aedificiorum" della curia generalizia dell'Ordine. Ebbe così una notevole rilevanza nell'indirizzare l'intensa attività edilizia gesuitica nei decenni successivi. Questo suo ruolo - date le intrinseche vicende architettoniche della Compagnia nel mondo - non è sempre di chiara individuazione.
Tra le innumerevoli fabbriche sottoposte al suo esame è da citare almeno la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo di Cracovia - libera ripetizione del Gesù di Roma - per la quale si ritiene probabile un suo decisivo contributo artistico, se non l'intera paternità. Interventi diretti sono anche documentati per varie fabbriche nell'Italia centrale. Come ingegnere prestò anche consulenze tecniche al di fuori dell'ambiente gesuitico (come, nel 1589, per la ricostruzione della chiusa dell'Aniene presso Tivoli). Una parte di rilievo sembra che abbia avuto nell'edificazione della casa professa di Roma, ancor prima che quel cantiere venisse affidato dal committente Alessandro Farnese all'architetto Girolamo Rainaldi.
La creazione più interessante del suo periodo romano è senz'altro la chiesa gesuitica di Sezze (1600-1622), la quale, sia nel suo impianto spaziale sia nell'articolazione della facciata, rappresenta uno dei vertici dell'architettura gesuitica italiana attorno al 1600.
Il pressoché disadorno prospetto si presenta come semplice piano rettangolare di mattoni levigati, ritmicamente ripartito da un reticolo di travertino. Le modanature del frontone che sormonta la parte centrale della facciata (astratte fino alla loro essenza formale) e l'intelaiatura di portone e finestre sono le uniche membrature rifinite a scalpello. L'austero vigore e l'eleganza delle stenografiche abbreviazioni del linguaggio classico - persuasiva manifestazione del pauperismo architettonico della Controriforma - si orientano alle più raffinate espressioni della cultura romana concepite dalla cerchia di Giacomo Della Porta. L'interno si spiega come interpretazione funzionale e riduttiva del Gesù di Roma, comprimendo l'intero impianto planimetrico del modello in un'unica semplice aula rettangolare.
Questo schema venne replicato dallo stesso D. in una pianta per il Gesù di Montepulciano (1609) ed è riscontrabile anche nelle chiese gesuitiche di Faenza, Cremona e Verona, nonché in progetti per L'Aquila e Mineo (provincia di Catania).
Più che da singoli capolavori, l'importanza del D. è data dalla considerevole abilità progettuale e organizzativa che prestò alla pratica edilizia dell'Ordine, dal suo pronto rispondere alle esigenze di una corporazione religiosa in rapida espansione su scala mondiale. Si evidenziano in questo contesto le sue impostazioni per una standardizzazione tipologica a uso della Compagnia: una serie di planimetrie ideali contenute in un suo campionario di disegni architettonici (codice γ I.150 nella Raccolta Campori nella Bibl. Estense di Modena).
Morì a Roma il 31 genn. 1610.
Fonti e Bibl.: Modena, Bibl. Estense, Raccolta Campori, cod. γ I.150; Roma, Arch. Romanum Societatis Iesu: scheda biogr. estratta dalle note di P. Teschitel; cfr. anche Ibid., Rom. 78b, E 33; Rom. 170, f. 33v; Ibid., Ital. 3, f. 347; Ibid., Hist. Soc., 43, f. 26v; S. Viola, Cronaca delle diverse vicende del fiume Aniene in Tivoli, Roma 1835, p. 34; F. Klein, Kogciól S. Piotra i Pawka w Krakowie, (La chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Cracovia), in Rocznik Krakowski, XII (1910), pp. 23-57; G. Galassi Paluzzi, Note sull'architetto P. G. D. ... e sulla chiesa della Ss. Annunziata, in Roma, III (1925), pp. 328 s.; A. Bochnak, Kogciól S. Piotra i Pawka w Krakowie i jego rzymski pierwowzór oraz architekt królewski Jan Trevano (La chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Cracovia: l'architetto regio G. Trevano), in Prace konisji historii sztuki, IX (1948), pp. 89-125; J. Vallery Radot, Le recueil de plans d'edifices de la Compagnie de Jésus conservé à la Bibliothèque Nationale de Paris, Rome 1960, passim; P. Pirri-P. Di Rosa, Il p. G. D. ... e lo sviluppo dell'edilizia gesuitica, in Archivum histor. Societatis Iesu, XLIV (1975), pp. 1-104; R. Bósel, Jesuitenarchitektur in Italien 1540-1773, I, Die Baudenkmäler der römischen und der neapolitanischen Ordensprovinz, Wien 1985, ad Indicem; A. Makkiewicz, Kóciól úwei Piotra i Pawka w Krakowie (La chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Cracovia), Kraków 1985, p. 61.