MARIGNOLLI, Giovanni
de’ (Giovanni di Marignola, Giovanni da Firenze, Giovanni di S. Lorenzo). – Appartenente, con buona fondatezza, all’importante prosapia dei Marignolli, nacque con tutta probabilità a Firenze verso la fine del XIII secolo.
I Marignolli si erano insediati già nella prima metà del XIII secolo nel borgo di S. Lorenzo dove possedevano, almeno dal 1270, un immobile nei pressi della chiesa omonima, ed espressero importanti figure politiche di parte guelfa nella storia istituzionale della città (cfr. Davidsohn, Rubinstein, Viti).
Dopo aver preso l’abito francescano in S. Croce a Firenze, fu lettore allo Studium di Bologna, dove due documenti ne testimoniano la presenza nel marzo e nel dicembre 1332. Nel 1338 era ad Avignone da dove partì con un nutrito gruppo di confratelli per una missione diplomatica decisa dalla S. Sede presso l’Impero mongolo del khan Togan Temur (dicembre 1338). Lo scopo della missione era di dare una risposta alle ripetute pressioni provenienti dalla corte mongola e dai dignitari cristiani lì operanti per ristabilire una presenza francescana dopo la scomparsa dell’arcivescovo di Pechino Giovanni da Montecorvino, morto ben 10 anni prima. Il presule non era stato infatti ancora sostituito nonostante Giovanni XXII, il 18 sett. 1333, avesse nominato il successore nella persona del frate minore Nicolò, scomparso l’anno successivo prima di raggiungere quella sede. Per motivi imprecisati il capo della delegazione nominata nel 1338 da Benedetto XII, Nicolas Bonet, dovette rapidamente rientrare ad Avignone e il M. prese il suo posto, pur senza che vi fosse stato un provvedimento ufficiale a sancirlo. Già a Costantinopoli, nel maggio 1339, fu lui a tentare un riavvicinamento con il patriarca greco Giovanni (XIV) Calecas. Il 24 giugno il M., passando per Caffa e Azov, giunse a Saraj, accolto da Uzbek Khan che lo rifornì di cavalli e vettovaglie. Nel 1340 la missione raggiunse Almalyk, in territorio khazako, già sede di un importante insediamento francescano distrutto da Ali Sultan che, a differenza del suo predecessore Kazan Khan, aveva bandito tutte le religioni non musulmane dal Khanato. La missione, non avendo rispettato l’editto di proscrizione, era stata devastata e tre frati, un terziario, due conversi, un mercante nonché il vescovo Riccardo di Burgundia erano stati uccisi l’anno precedente l’arrivo del Marignolli. Dopo la morte di Ali Sultan, il M. riuscì a ristabilire buoni rapporti con i nuovi governanti e a far finanziare e ricostruire la comunità, acquistando terreni per nuovi alloggi ed edificando una nuova chiesa. Alcuni frati della delegazione si fermarono così ad Almalyk per riprendere il lavoro dei confratelli uccisi. Nel 1342 il M. raggiunse Pechino, dopo aver attraversato il deserto del Gobi. Accolti in udienza solenne da Togan Temur il 12 agosto, i trentadue frati consegnarono le lettere del papa e ripresero l’attività di assistenza spirituale ai cristiani residenti a corte. Il khan provvide direttamente ai minori erogando in loro favore anche cospicue somme di denaro (che il M. stimò in circa 4000 marchi), com’era consuetudine delle corti mongole, solite concedere ai frati alafe, vale a dire vitalizi e sussidi imperiali.
Il M. rimase alla corte del khan sino al 1346 e, nonostante le insistenze del capo mongolo, riprese la via dell’Europa alla fine di quell’anno. L’itinerario del rientro portò il M. a conoscere altri luoghi dell’Asia orientale e meridionale. La prima tappa importante fu nella città emporiale di Zayton, in Cina, dove i francescani, strettamente legati alla colonia mercantile europea, possedevano un fondaco e tre chiese. Il 26 dic. 1346 il M. ripartì da Zayton alla volta della sede papale passando per Giava, Sumatra, l’India e Ceylon; attraversato lo stretto di Hormuz, passò in seguito per Baghdad, Damasco, Gerusalemme e l’Egitto. Giunto ad Avignone portò con sé una missiva del khan mongolo che costituiva uno dei risultati più significativi della missione: il pontefice romano vi era infatti riconosciuto come «dominus […] super omnes christianos sui Imperii, cuiscumque sectae essent» (cfr. Cronica XXIV generalium). La missiva testimoniava così il persistere di una linea che contraddistingueva i rapporti tra Papato e Khanato mongolo di Pechino sin dal secolo precedente: una piena disponibilità alla presenza cattolica per il tramite dei frati minori, la libertà di svolgere, in via esclusiva, attività di predicazione presso i cristiani di ogni setta e la indisponibilità del Khanato alla conversione.
Innocenzo VI gratificò con 50 fiorini il M. per la missione compiuta e, il 12 maggio 1354, gli conferì il vescovado di Bisignano. Il M. tuttavia non occupò mai quella cattedra vescovile, preferendo corrispondere a una richiesta dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo che lo voleva con sé a Praga come cappellano e storico di corte. L’incontro con l’imperatore avvenne verosimilmente nel corso del viaggio compiuto da Carlo IV in Italia, dal gennaio al giugno 1355. Presso la corte imperiale il M. scrisse, su incarico dello stesso sovrano, il Chronicon Bohemorum. Nel corso della sua permanenza a Praga (1356-57) gli furono affidate due missioni politiche a Firenze e a Bologna per dirimere alcune questioni sorte con i Malatesta, incarichi che sicuramente derivavano dalla sua appartenenza a una famiglia ben pratica delle questioni politico-istituzionali di Firenze. Le ultime testimonianze a lui relative sono l’attestazione della consacrazione da parte del M. di due altari nella chiesa di S. Maria a Norimberga (25 luglio 1358; cfr. Oliger) e una durissima lettera dell’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda, Richard Fitzralph (1357-58; cfr. Golubovich). La missiva, che chiama in causa direttamente il M. in qualità di vescovo di Bisignano, ci informa di uno scontro insorto sulla questione dei rapporti tra clero e ordini mendicanti – probabilmente in merito alle competenze pastorali – e lo vede, insieme con l’Ordine dei minori, come parte soccombente.
Il M. morì lontano da Firenze, a Praga o a Bratislava, tra il luglio 1358 e il marzo 1359. Nel 1898 venne ricordato con una lapide apposta in S. Croce a Firenze.
Alcuni annalisti e cronisti dell’Ordine hanno attribuito al M. diverse opere, ma l’unica certamente da lui scritta e pervenuta sino a noi è il Chronicon Bohemorum. La stesura è successiva al maggio 1354 e, secondo la datazione della chiamata presso la corte imperiale fornita da Golubovich, potrebbe essere circoscritta a poco più di due anni: 1357 - marzo 1359. Articolato in tre libri, il Chronicon racconta, con importanti e dichiarate cesure temporali, la storia dei tearchi (da Adamo a Noè e «usque ad turrim Babel et divisionem terrarum»), dei monarchi (da Nemrod «usque ad felicia tempora nostra Francorum et Gallicorum, maxime Boemorum») e degli ierarchi, ovvero degli ecclesiastici (da Abramo sino all’arcivescovo di Praga Ernesto da Pardubice, coevo del M. e in gioventù studente presso l’Università di Bologna). All’interno di questo impianto, riconducibile per tipologia alle cronache universali medievali e debitore diretto della Cronaca di Cosma da Praga, si inseriscono importanti frammenti che costituiscono nel loro insieme una relatio della missione diplomatica compiuta dal M. sino a Pechino. Questi, che non manca di sottolineare le sue origini fiorentine, inserisce infatti in tutti e tre i libri passaggi significativi che dimostrano l’evidente intento di promozione dell’autore così come della funzione e del valore dell’Ordo minorum tanto nelle remote terre dell’Asia quanto nel Regno boemo: in quest’ultimo caso la storia dell’insediamento e dell’affermazione francescana è presentata in stretto collegamento con le vicende politico-istituzionali del regno di Carlo IV.
L’opera è stata studiata principalmente per il suo apporto alle conoscenze geografiche e storico-antropologiche dell’Estremo Oriente trecentesco, prima che la dinastia dei Ming prendesse il sopravvento sui Mongoli e chiudesse la Cina all’Occidente per circa due secoli. Un altro filone di studi filologico-letterari si concentra sul Chronicon per ricostruire i rapporti tra la lingua e la cultura latina e le lingue e le culture del territorio boemo, mentre alcuni passi dell’opera sono stati identificati come fonti del ciclo pittorico di Emmaus realizzato intorno al 1360 nel chiostro dell’omonimo monastero praghese. La complessa stratificazione del Chronicon dimostra però anche altre funzioni assunte dall’opera, prodotto di una committenza regale e istituzionale con la quale il M. dialoga costantemente lungo tutto il testo. Numerosi passaggi si offrono infatti come espliciti ammonimenti di etica politica ed economica per il princeps; mentre in spezzoni significativi del III libro si riflette sulla potestas papale e il primato petrino.
Il Chronicon riveste inoltre un valore come fonte per la storia dell’identità minoritica almeno per due aspetti: per le modalità con cui descrive e riflette sul ruolo dei minori presso le corti, le realtà urbane e mercantili degli empori orientali e per un significativo passaggio che riguarda la rivendicazione dello statuto pauperistico presentato come attuazione del comando evangelico e della regula degli apostoli. Un passaggio importante questo, perché si colloca in un momento decisivo per la storia francescana: esso fu scritto infatti oltre vent’anni dopo la serie di bolle emanate da Giovanni XXII sulla questione della povertà di Cristo e degli apostoli e circa lo statuto giuridico delle proprietà dell’Ordine dei minori (1322-29), e a ridosso di un periodo (1325-54) in cui assai intensa fu la produzione normativa interna che riformulava il profilo della povertà, comune e personale, dei frati.
La migliore edizione del Chronicon Bohemorum è in J. Emler, Kronika Marignolova, in Fontes rerum Bohemicarum, III, Pragae 1882, pp. 492-604; per l’estratto della relatio della missione diplomatica orientale cfr. anche A. van den Wyngaert, in Sinica Franciscana, I, Ad Claras Aquas 1929, pp. 524-560.
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