DANDOLO, Giovanni
Figlio di Ranieri il Rosso, del confinio di S. Luca, non deve essere confuso con Giovanni di Ranieri, nipote del doge Enrico, come erroneamente indica il Priuli nei suoi Pretiosi frutti, né con Giovanni di Ranieri da S. Moisè, detto comunemente "per le Armi", più giovane del D. di almeno una generazione, come ritiene invece il Barbaro nelle sue Genealogie.
Il D. apparteneva ad un ramo minore della nobile famiglia veneziana, i cui componenti si erano più volte segnalati in passato soprattutto per la frequente partecipazione alle imprese commerciali. Nacque probabilmente nel secondo o terzo decennio del XIII secolo e fu certamente avviato in gioventù, al pari di molti suoi coetanei, alla pratica della mercatura; ma di questo primo periodo della sua vita nessuna notizia è giunta fino a noi. Nel 1260 ebbe inizio la serie degli incarichi ufficiali che egli fu ripetutamente chiamato a ricoprire: nell'estate di quell'anno venne, infatti, eletto bailo di Acri, allora capitale del regno di Gerusalemme. Partito da Venezia, assieme con il fratello Marino, alla fine di agosto con la muda di Siria - non prima tuttavia di aver ottenuto dei crediti per le attività che essi intendevano svolgere colà - il D. all'inizio dell'autunno giunse alla sua destinazione.
Il mandato, a quel tempo la più importante fra le cariche esercitate da un veneziano nel Levante, cadde in un momento di particolare incertezza negli equilibri dell'Oriente cristiano. Acri infatti risentiva ancora gli effetti del conflitto, noto come "guerra di S. Saba", che aveva visto contrapposte negli anni precedenti Venezia e Genova con i rispettivi alleati e la cui conclusione aveva lasciato la città sconvolta e parzialmente distrutta. Inutilmente il papa Alessandro IV era intervenuto come paciere nella lotta ed aveva in seguito inviato in Siria il proprio legato Tommaso Agni di Lentini, vescovo titolare di Betlemme, affinché cercasse di riconciliare le due avversarie.
Nel gennaio del 1261 il legato riuscì ad ottenere che le parti litiganti si presentassero ad un'assemblea di religiosi e di giuristi. Condizione irrinunciabile alla pacificazione era la consegna nelle sue mani delle fortificazioni che i Veneziani detenevano in Acri e la restituzione ai Genovesi delle proprietà a loro sottratte. Il D. respinse le richieste pontificie, adducendo come motivo la mancanza di precise istruzioni da Venezia, nonostante che il legato, nel tentativo di convincerlo, avesse accettato di ratificare l'ampliamento dei limiti parrocchiali della chiesa di S. Marco, strumento della politica ecclesiastica veneziana in Acri, fino a farli coincidere con i nuovi confini del quartiere veneziano - modificati arbitrariamente dopo la vittoria, a spese dei Genovesi - di cui veniva quindi riconosciuta implicitamente la legittimità. Pochi mesi più tardi, la caduta di Costantinopoli e la ripresa delle ostilità fra le due contendenti pose fine ad ogni possibilità di intesa.
Rientrato a Venezia nel corso di quello stesso anno, il D. non svolse alcuna missione di rilievo fino al 1267, quando venne mandato dal doge Ranieri Zeno, con Marco Querini e Federico Giustinian, al papa Clemente IV (a Genova secondo il confuso racconto di A. Dandolo). La venuta dei tre inviati, entro il termine della Pasqua (17 aprile), era stata voluta dal pontefice su invito di re Luigi IX, affinché fossero riprese le trattative di pace con Genova, per consentire l'effettuazione della nuova crociata a cui si accingeva il sovrano transalpino. La richiesta papale ed il progetto francese trovarono un'eco favorevole a Venezia, che assicurò la fornitura di proprie navi per il trasporto delle truppe in Terrasanta; ma si infransero contro il netto rifiuto opposto da Genova, contraria in quel momento ad ogni ipotesi di riconciliazione con la sua rivale. Gli emissari veneziani, giunti presso il pontefice, non ebbero così modo di incontrarsi con i rappresentanti genovesi (di cui peraltro rimane assai dubbio l'invio) e ritornarono in patria senza aver nulla concluso.
Di lì ad alcuni mesi (1° ott. 1267), il D. fu eletto per la prima volta al Maggior Consiglio, in rappresentanza del sestiere di San Marco e, qualche anno dopo, venne inviato, insieme con altri nobili veneziani, lungo il Po per esaminare i luoghi dove era in corso la guerra contro Bologna e valutare i provvedimenti da assumersi. Pervenuto sul teatro dei combattimenti, poté assistere all'ingloriosa fuga dei mercenari al soldo di Venezia dopo la sconfitta (1° sett. 1271). Non prese parte attiva agli scontri, ma si adoperò per risollevare gli animi e recuperare le posizioni perdute.
In seguito l'attività del D. si concentrò nuovamente nella conclusione di un trattato di pace con Genova. Nel 1270 le due potenze avevano stipulato una tregua che però prevedeva una semplice interruzione delle ostilità, senza risolvere in alcun modo le controversie esistenti. Al conseguimento di una pace definitiva era invece particolarmente interessato il pontefice Gregorio X, come premessa ad una nuova crociata per la liberazione del S. Sepolcro, ed a tale scopo egli richiese l'invio di ambasciatori ad entrambe le parti. Gli inviati veneziani furono in questa circostanza il D., Tommasino Giustinian e Nicolò Navigaioso. Giunti presso la Curia romana entro il 18 ott. 1272, vi trovarono già presenti i delegati genovesi, con i quali è probabile abbiano avuto luogo le discussioni dinanzi al papa, senza però giungere ad alcun risultato. Gli stessi rappresentanti comparvero un'altra volta davanti al pontefice - con poteri forse più estesi - all'inizio del 1273. I colloqui cominciarono il 1° febbraio nella chiesa dei domenicani ad Orvieto e si protrassero per un'intera settimana; ma anche in questa occasione le trattative non diedero i risultati auspicati, mancando le parti di un sincero desiderio di pace. Sembra solo che fosse raggiunta una convergenza di opinioni sulla reciproca liberazione dei prigionieri.
Scarse le informazioni sugli ultimi anni di vita del Dandolo. Secondo il Priuli egli sarebbe scomparso nel 1274 mentre si recava in Toscana ad incontrare Gregorio X al suo rientro dal concilio di Lione; ma tale notizia è smentita dalla sua presenza negli elenchi degli eletti al Maggior Consiglio per il 1275 ed il 1277. Dopo questa data null'altro si sa di lui.
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