GIOVANNI Dalmata
Scultore, nato a Traù intorno al 1440, morto dopo il 1509: si trovava in Roma avanti il 1464 quando scolpì il busto di Pio II, che la forza rude dello scultore sembra staccare a colpi di martello da cristalli di quarzo. Continuò in quell'anno l'opera di Domenico di Capodistria, nel tempietto di Vicovaro; e divenne lo scultore ufficiale di Paolo II, che ritrasse nel busto di Palazzo Venezia, erroneamente attribuito a Mino da Fiesole, a Mino del Reame e al Bellano. Con lo scultore fiesolano fece l'altare della sagrestia di S. Marco a Roma, e il sepolcro di Paolo II, i cui resti sono nel Museo Petriano, distinguendosi dal compagno per l'energia delle forme, di cui sagoma duramente gli spigoli, e sfaccetta i piani a punta di diamante. Si modera il Dalmata, per certo suo studio d'imitar Mino, nel sepolcro del cardinale Roverella in San Clemente a Roms (1476-77). Chiamato nel 1481 in Ungheria alla corte di Mattia Corvino, vi stette circa un decennio, e fu onorato da quel re. Probabilmente lavorò in patria nella cappella Orsini del duomo; nel 1498, a Venezia, lavorò per il vescovo Niccolò Franco, e scolpì il busto di Carlo Zen, ora al Museo Correr; nel 1509, ad Ancona, fece il sepolcro del beato Girolamo Giannelli. Fu anche architetto; coronò di forme toscane la porta del tempietto di Vicovaro; costruì la loggia del palazzo di Venezia a Roma, e ne edificò le porte superbe, quella verso la piazza, di forme tarchiate alla veneta, ornata di borchie in rilievo; l'altra in via del Plebiscito, singolare per le proporzioni slanciate, il taglio dorico delle colonne fiorite di capitello corinzio. Per Paolo II, il Dalmata eseguì con tutta probabilità gran parte delle medaglie edite dal Hill. Educato a Venezia nella bottega di un maestro lombardo, a Roma temperò la sua maniera forte e rocciosa lavorando con Mino da Fiesole. Un po' per volta abbandonò le forme prismatiche che interrompono o spezzano i contorni, e, già nel sepolcro del cardinale Roverella in San Clemente, le sue figure, in cerca della gentilezza del Fiesolano, si vanno allampanando, assottigliando, finché, nel mausoleo del beato Giannelli nel duomo d'Ancona, si presentano dimagrite, consunte. Quella fu l'ultima opera dell'artista che aveva perduta la naturale sua forza, vivendo tra le delicatezze dell'arte fiorentina nell'Urbe. (V. tav. LXXVII).
Bibl.: H. v. Tschudi, G. D., in Jahrb. d. preuss. Kunstamml., IV (1883), pp. 169-190; F. Schottmüller, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VIII, Lipsia 1913 (s. v. Dalmata, Giovanni; con bibl.); A. Schneider, Ivan Duknović, in Savrememnik, 1914; B. Serra, G. D. nel tempietto di Vicovaro, in L'Arte, XXV (1922), pp. 203-06; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VIII, i, Milano 1923, pp. 620-34; A. Scrinzi, in L'Arte, XIX (1926), p. 249 segg.; E. Lavagnino, ibid., XXVII (1924), p. 247 segg.; Fogg Art Museum, Handbook, Cambridge 1927; L. Donati, L'attività in Roma di Giov. di Traù, in Arch. stor. per la Dalmazia, X (1931), pp. 522-34; XI (1931), pp. 54-66.