GIOVANNI da Verona
Architetto, scultore, intagliatore e intarsiatore. Nacque a Verona verso il 1457, e ivi morì il 10 febbraio 1525. Accolto novizio fra gli olivetani, apprese l'intarsio dal confratello Sebastiano da Rovigno (fra Bastian Schiavon), e lavorò nei varî monasteri dell'ordine a Ferrara, a Bologna, a Monte Oliveto Maggiore in Toscana, a Montemorcino presso Perugia, a S. Elena di Venezia (1489-1490), ove forse eseguì col maestro gli armadî della sagrestia e gli stalli del coro. A Verona (1491-1501), di dove visitò più volte il Mantegna in Mantova, fra G. diresse i lavori del nuovo campanile di S. Maria in Organo, ed eseguì gli stalli e il leggio del coro, e il candelabro della cappella della Maestà.
Durante il soggiorno nel monastero centrale di Monte Oliveto (1502-1506) s'occupò dell'esecuzione del grande candelabro, dello scaffale per i libri corali, e degli stalli del coro che, miseramente danneggiati al tempo della soppressione napoleonica, furono in parte trasportati nel duomo di Siena e sostituiti con le tarsie di lui venute da S. Benedetto. Nelle successive peregrinazioni, dotò il convento di Monte Oliveto di Napoli degli stalli per la cappella dei Tolosi e delle spalliere per la sagrestia, ora in S. Anna dei Lombardi; condusse per incarico di papa Giulio II il rivestimento ligneo della camera della Segnatura in Vaticano (1511-1512), sostituito poi in pittura da Pierin del Vaga; lavorò gli stalli di S. Benedetto di Siena, ora parzialmente a Monte Oliveto; adornò forse i corali di Villanova nel Lodigiano, con miniature di cui ci è pervenuto un saggio; e, insieme con altri lavori, scolpì probabilmente la porta per la biblioteca di Monte Oliveto. Ritornato in patria nel 1519, condusse le specchiature ora in Santa Maria della Clemenza a Lodi, e a termine la spalliera della sagrestia di S. Maria in Organo, il capolavoro dell'arte sua, "sicché si può dire, giudicava il Vasari, che quanto nell'altre vinse gli altri tanto in queste avanzasse sé stesso". Parecchie altre opere di lui, testimoniate dai documenti del tempo, sono oggi perdute; numerosi lavori in pietra, in legno e in bronzo, assegnate a fra G., restano pur sempre dubbî.
Intagliatore in legno di gusto perfetto e di esecuzione insuperabile (il suo candelabro di Verona, di cui il Vasari non credeva "che per cosa simile si possa veder meglio" ha la vivida lucentezza del bronzo), nell'intarsio fu sommo, così nella ricchezza dell'invenzione, come nella scrupolosa purezza della tecnica. Gli ingredienti da lui adoperati per la colorazione del legno gli permettono gli effetti più impensati. Le sue specchiature trattano con eguale disinvoltura le figure di santi, come le più svariate architetture, i paesaggi e gli animali e soprattutto quei finti armadî, con gli sportelli a grata semiaperti, che lasciano intravedere un emporio di oggetti disparatissimi. L'abilità squisita negli effetti illusionistici, fecero di tali soggetti la caratteristica sua più ammirata: tanto che quella di S. Maria in Organo parve ai contemporanei "la più bella sagrestia che fusse in tutta Italia". La diffusione che i numerosi viaggi di G. diedero alle sue opere, spiega la fortuna da esse incontrata.
Bibl.: P. Lugano, Fra G. da V., in Bull. senese di storia patria, XII (1905), p. 135 segg.; G. Gerola, Tarsie ed intagli di fra' G. da V. in S. Maria in Organo, in Arte ital. decorativa, XIX (1910), pp. 85 segg., 96 segg.; B. C. K., in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIV, Lipsia 1921 (con bibl.); P. Bacci, Fra G. da V. a Monteoliveto Maggiore, in La Balzana, I (1927), pp. 137-38.