GIOVANNI da Rovezzano (al secolo Raffaello Curradi)
Nacque a Rovezzano, presso Firenze, nel 1611 da Alessandro Curradi (Pizzorusso, p. 106), e intorno al 1635 entrò nell'Ordine dei cappuccini, prendendo il nome di Giovanni (Baldinucci, p. 428).
Nonostante la sua breve attività nel campo della scultura (un decennio circa), a G. si deve una produzione caratterizzata da alcuni aspetti interessanti, derivati in particolare dal rapporto - attestato dalle fonti e confermato dalle indagini critiche - con Giulio Parigi, poliedrico interprete e protagonista delle contemporanee vicende artistiche fiorentine, strettamente legato all'ambiente granducale.
Infatti, nella vita di G., Baldinucci (p. 426) ricorda come lo scultore fosse stato posto dal padre presso la bottega dell'architetto granducale Giulio Parigi, negli stessi anni in cui questa fu frequentata da Jacques Callot ed Ercole Bazzicaluva. Sebbene tale affermazione sia di un certo rilievo, poiché indica alcuni riferimenti stilistici che trovano effettivo riscontro nelle opere di G., tuttavia la nota baldinucciana collocherebbe almeno parte dell'apprendistato di G. presso l'architetto entro il 1621, anno della partenza di Callot da Firenze, e anticiperebbe in maniera sostanziale i suoi rapporti con Giulio Parigi, sicuramente attestati solo in anni successivi.
Nella formazione di G. fu invece rilevante il suo alunnato presso la bottega dei Ferrucci, maestri della difficile tradizione di scultura in porfido, condotto sotto la guida di Andrea di Michelangelo intorno alla metà del terzo decennio, e comunque entro il 1626, data del decesso del maestro.
Abile protagonista della lavorazione porfiretica, insieme con Cosimo Salvestrini, Bartolomeo Rossi e il meno noto Tommaso Fedeli, già a partire dalla seconda metà degli anni Venti G. fu uno degli scultori più attivi presso la corte di Ferdinando II. Tale dato si pone in coincidenza, probabilmente non casuale, con la morte di Andrea Ferrucci e, soprattutto, con l'avvio documentato dei rapporti con Giulio Parigi.
Si data infatti al 1626 la prima testimonianza nota di G.: un pagamento a suo favore per tre sculture in pietra (Marte con rotella in mano, Giove che fulmina, Vento che soffia, perdute) destinate a un ballatoio della nuova ala di palazzo Pitti verso la grotta di Bernardo Buontalenti, eseguite secondo il progetto ideato da Giulio Parigi.
La relazione con quest'ultimo proseguì nel 1629, anno dell'immatricolazione dello scultore all'Accademia del disegno (10 gennaio), quando G. partecipò alla decorazione del portale di palazzo Castelli, poi Marucelli Fenzi, in via S. Gallo a Firenze.
Si deve a Pizzorusso la puntuale ricostruzione documentaria delle vicende architettoniche e decorative del palazzo: le indagini archivistiche hanno consentito di anticipare i primi lavori della facciata di ben cinque anni rispetto alla data del 1634 ricordata nella biografia baldinucciana (p. 427). Lo studioso dimostra convincentemente come la paternità del progetto originale, compresa la decorazione del portale, debba attribuirsi a Giulio Parigi, e non a Gherardo Silvani, al quale tradizionalmente si riconosceva la sola responsabilità dei lavori, ipotizzando per quest'ultimo un secondo intervento collocabile alla metà del quarto decennio. Nei lavori di facciata, l'opera di G. si concretizzò nella realizzazione di due satiri a ornamento dell'ingresso. Secondo gli accordi preliminari del progetto, lo scultore avrebbe dovuto eseguire anche lo stemma di famiglia, il cui disegno venne ideato dallo stesso Parigi, poi realizzato da Pietro Paolo Albertini, e del quale G. eseguì comunque dei modelli in cera.
Stilisticamente molto vicine, nella loro capricciosa attitudine, ai modi del francese Jacques Callot, le due sculture confermano nuovamente, e con evidenza, l'appartenenza di G. al clima artistico del terzo decennio, ancora dominato da un gusto per il "capriccio" tardocinquecentesco, combinato tuttavia allo studio del naturale, proprio della scuola di Giulio Parigi.
Notevole è, secondo Pizzorusso (p. 107), il richiamo alla statuaria pergamena, presente non solo nel modo di trapanare la pelliccia delle zampe dei satiri, ma anche in opere successive, come nella capigliatura del cosiddetto Busto di gigante di Boboli.
Nell'evidenza dei rapporti con Giulio Parigi può forse trovare spiegazione la notizia, tramandata da alcune fonti ottocentesche (Fanfani), circa la commissione affidata a G. da Ferdinando II relativa all'esecuzione di un disegno, mai realizzato, per il rinnovamento della facciata di S. Maria Novella, ristrutturata sotto la direzione di Giulio Parigi, architetto dell'Opera del duomo. Tale informazione non trova però ulteriore riscontro, inducendo a pensare a una confusione tra G. e il pittore Francesco Curradi, membro della commissione di quattordici artisti incaricata di giudicare i progetti presentati al concorso del 1633 per i suddetti lavori: ciò confuta l'affermazione di Fanfani secondo il quale nel 1634 lo scultore aveva fatto parte della giuria insieme con Francesco Generini, Pietro Paolo Albertini e Giovan Battista Pieratti.
Probabilmente all'inizio del quarto decennio G. eseguiva in porfido e marmo il Busto di gigante di Boboli, che corrisponde forse al "colosso, testa con busto armato a scaglie" visto da Baldinucci (p. 428) nella Galleria degli Uffizi. Caneva (p. 52) ha proposto di identificare quest'opera composita con il "busto e scudo del Gigante Golia" stimato da Matteo Ferrucci, Giulio Parigi e Pietro Tacca il 21 ag. 1632, e pagato a G. "d. 165 per busto e scudo del Gigante Golia, d. 360 per testa di esso", dove la differenza di prezzo sarebbe dovuta alla diversità di materiale.
Allo stesso anno si data un pagamento per "il ritratto di S(ua) A(ltezza) S(erenissma) testa di porfido e busto di marmo", indicazione che si riporta al Ritratto di Ferdinando II in porfido, conservato nella Galleria degli Uffizi già dal 1687, ma originariamente destinato a palazzo Pitti.
Riguardo a tale attribuzione la critica non è tuttavia unanime: Langedijk (1983, pp. 800-802) considera infatti il busto opera del poco noto Tommaso Fedeli, sulla base di un confronto con il Busto diCosimo II del medesimo autore, per lungo tempo attribuito però a Giovanni.
Se risulta piuttosto convincente un'analisi stilistica a sostegno dell'attribuzione a G., questa è favorita anche da un'iscrizione posta al di sotto del busto, attualmente perduta, nella quale si leggeva la data del 1631, in stretto rapporto dunque con il citato pagamento del 1632.
Nel 1635 G. poneva mano all'esecuzione del Mosè, integrazione in porfido di una statua antica per l'omonima grotta nel giardino di Boboli, dove ancora oggi si conserva. Il completamento dell'opera, che non venne ultimata da G. a causa del suo ingresso in convento, venne affidato dal granduca a Cosimo Salvestrini, nonostante al medesimo incarico avesse aspirato anche Bartolomeo Rossi, che era andato a bottega di G. per apprendere il "segreto" della lavorazione in porfido.
L'ultima attività nota di G., estremamente rarefatta, è legata al suo ingresso nell'Ordine dei cappuccini e al suo allontanamento da Firenze: a questo periodo si riferiscono infatti due opere per il contado.
La Pietà per il convento delle Celle di Cortona è una versione in terracotta del celebre gruppo delle figure del Compianto di Giacomo Cozzarelli per l'Osservanza di Siena, ma rispetto all'originale l'opera presenta una maggiore modernità e un modellato più morbido. Secondo la tradizione, G., cui è ascritta la scultura, sarebbe stato un frate di questo convento.
Presso la chiesa di S. Chiara a Volterra si conserva un ciborio in alabastro, proveniente dall'altare maggiore del soppresso convento cappuccino di S. Matteo al Posatoio. Ricordato tanto da Baldinucci (p. 429) che dalle guide locali, il ciborio, armonioso e calibrato nelle misure, presenta un impianto compositivo in linea con la tradizione architettonica rinascimentale, aggiornata sui modi di Giulio Parigi e di Gherardo Silvani. Bellesi (1992, pp. 38 s.), in mancanza di riferimenti archivistici, ha avanzato una datazione approssimativa attorno alla prima metà del quinto decennio del Seicento, in concomitanza all'esecuzione della pala di Cesare Dandini con La Vergine in gloria e i ss. Giuliano e Francesco per il medesimo altare.
Secondo quanto riferisce Guarnacci, G. morì nel convento volterrano di S. Matteo al Posatoio nel 1655.
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), IV, Firenze 1846, pp. 426-429; R. Guarnacci, Guida per la città di Volterra, Volterra 1832, p. 198; A. Zobi, Notizie storiche riguardanti l'Imperiale e Reale Stabilimento dei lavori di commesso in pietre dure di Firenze, Firenze 1841, pp. 115 s.; P. Fanfani, Spigolatura michelangiolesca, Pistoia 1876, p. 213; G. Cantelli, in Arte di Valdichiana dal XIII al XVIII secolo (catal.), Cortona 1970, pp. 83 s.; M. Campbell, Pietro da Cortona and the Pitti palace. A study of the planetary roomsand related projects, Princeton 1977, pp. 90, 172; D.B. Frescucci, in Le celle di Cortona. Eremo francescano del 1211, Cortona 1977, pp. 74 s.; K. Langedijk, The portraits of the Medici 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, pp. 191 s., 561 s.; II, ibid. 1983, pp. 751, 800-802; C. Caneva, Il giardino di Boboli, Firenze 1982, p. 52; C. Sisi, in Restauro di una terracotta del Quattrocento. Il Compianto di Giacomo Cozzarelli (catal., Firenze), Modena 1984, p. 10; D. Di Castro, The revival of the working of porphyry in the sixteenth-century Florence, in Apollo, CXXVI (1987), 308, pp. 242-248; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove. Sculture a scultori fiorentini del Seicento, Firenze 1989, pp. 73, 82 s., 87, 101 s., 103, 105-111, 192 s. (con bibl.); S. Bellesi, Nuove acquisizioni alla scultura fiorentina dalla fine del Cinquecento al Settecento, in Antichità viva, 1992, nn. 5-6, pp. 38 s.; S. Blasio, Curradi Raffaello, in Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, I, Torino 1993, pp. 41 s.; D. Di Castro, Tommaso Fedeli, virtuoso del porfido, in Antologia di belle arti, XII (1993), pp. 150-157; S. Bellesi, Cesare Dandini, Torino 1996, p. 122; Allgemeines Künstlerlexikon (Saur), XXIII, p. 163 (s.v.Curradi, Raffaello).