GIOVANNI da Ravenna
Sotto questo nome sono noti due umanisti per lungo tempo confusi dagli storici: Giovanni di Conversino e Giovanni Malpaghini.
Giovanni di Conversino. - Nacque nel 1343 a Buda, dove suo padre, oriundo del Frignano (Modena), era medico del re Luigi d'Angiò; morì a Venezia nell'estate del 1408. Portato bambino in Italia, ebbe a Ravenna i primi rudimenti da Donato degli Albanzani e dal 1349 al'53 frequentò le scuole di latino a Bologna. Reduce a Ravenna si riaccostò all'Albanzani, presso cui conobbe il Boccaccio. Dopo varie peregrinazioni tornò nel '58 a Bologna, dove seguì i corsi di legge, conseguendo nel '62 il diploma di notaro. Nel 1363 fu a Padova alla scuola di Pietro da Moglio e in quel tempo visitò il Petrarca a Venezia. Maestro pubblico o privato a Bologna (1364), a Ferrara (1366), a Treviso (1367), a Firenze, dove nel 1368 lesse poetica e retorica nello studio ed esercitò un ufficio notarile presso il podestà, a Conegliano (1371-72), a Venezia (1373), a Belluno (1374-79), a Udine (1389-91), nello studio di Padova (1392-93), di nuovo a Venezia (1404-1406) e a Muggia nell'Istria (1406-1408), cancelliere dei Carraresi dal 1379 al 1382 e nuovamente dal 1393 al 1404, cancelliere della repubblica di Ragusa in Dalmazia dal 1383 all'87, e per i Carraresi ambasciatore a Firenze, a Bologna, a Roma (1400), la sua vita è un esempio caratteristico di quel vagabondare irrequieto e affannoso che diventò la malattia del secolo, alla quale pagò largo tributo anche il Petrarca.
Nella sua funzione di cancelliere G. vide ben addentro le ipocrisie della politica e le svelò crudamente; come maestro fu il più grande educatore del suo tempo: affermò principî assai nuovi allora, che i discepoli si devono governare non con la disciplina manesca, bensì con l'amore; che non bisogna sovraccaricare la memoria a detrimento dell'intelligenza; che al buon successo della scuola si rende necessaria la cooperazione della famiglia. Furono suoi allievi, fra gli altri, P. P. Vergerio, Guarino da Verona, Vittorino da Feltre. Scrisse parecchie opere: talune di argomento morale intonate a stoicismo, altre di argomento aulico; altre di genere storico, Historia Ragusii e Memorandarum rerum, entrambe importanti per lo studio del costume, capitale il Rationarium vitae, documento autobiografico originale e unico nella produzione umanistica, dove lo scrittore manifesta senza veli la verità spesso brutale. L'epistolario di G., raccolto da lui stesso, è ricco di notizie.
Giovanni di Iacopo Malpaghini. - Nacque a Ravenna verso il 1346, morì a Firenze tra l'aprile e il maggio del 1417. Fece i primi studî sotto Donato degli Albanzani prima a Ravenna e poi a Venezia, quando Donato vi si trasferì nel 1356. Ivi nell'autunno del 1364 entrò come amanuense in casa del Petrarca, dove in poco più di tre anni gli condusse a termine la compilazione della raccolta delle Familiari e gli trascrisse parte delle Rime sparse nel codice ora Vatic. Lat. 3195 e la traduzione d'Omero di Leonzio in due codici ora Parigini. Licenziatosi nella primavera del 1368 dal Petrarca si recò a Roma presso la curia di Urbano V, al servizio del segretario apostolico Francesco Bruni. E col Bruni passò ad Avignone nel 1370, quando Urbano V vi fece ritorno. In Avignone era ancora nel 1375; poi lo perdiamo di vista, finché nel 1394 ricompare a Firenze professore di retorica nello Studio, dove tenne per alcuni anni anche la lettura di Dante. A Firenze rimase fino alla morte. Non produsse nulla: di lui ci resta solo una lettera in morte del Petrarca. L'opera sua grande fu la scuola fiorentina, dalla quale uscirono Iacopo d'Angelo, Roberto Rossi, Leonardo Bruni e Poggio.
Bibl.: R. Sabbadini, G. da R. insigne figura d'umanista, Como 1924; id., Epistolario di Guarino Veronese, Venezia 1915-19, III, p. 54; A. Foresti, Aneddoti della vita di Fr. Petrarca, Brescia 1928, pp. 425-57; Th. Klette, Beiträge zur Gesch. und Litter. der italien. Gelehrtenrenaiss., Greifswald 1888, I, pp. 27-33; V. Rossi, Introd. alla sua ed. dei Rerum famil. libri, I, Firenze 1933. La letteratura precedente non ha valore perché vi si confondono i due nomi.