GIOVANNI da Pistoia
Cittadino fiorentino, notaio di professione e letterato nel tempo libero, figlio di Benedetto di ser Giovanni da Pistoia nacque, verosimilmente in questa città, nel 1509.
Il reperimento della data di nascita fa escludere l'identificazione con un omonimo, amico di Michelangelo Buonarroti e dedicatario di diversi sonetti del grande artista, alcuni dei quali datati agli anni 1509-12 (cfr. M. Buonarroti, 1897, p. 308; 1960, pp. 159, 163 s., 233).
Il 28 febbr. 1539 G. acquisì la cittadinanza fiorentina per decreto del Consiglio dei duegento e pochi giorni dopo, il 4 marzo, venne "approvato" tra i cittadini del quartiere di S. Maria Novella, gonfalone del Leon bianco, aventi diritto alle cariche politiche. Ricoprì l'incarico di cancelliere del luogotenente e dei consiglieri del Magistrato supremo di Firenze per molti anni e con grande diligenza, tanto da guadagnarsi la stima di Cosimo I de' Medici. In un registro conservato all'Archivio di Stato di Firenze (Extractus…, Tratte, 1082) troviamo G. designato per vari incarichi: notaio della Dogana nel 1561, delle Stinche nel 1564, "ad criminale" nel gennaio 1565, alla Cancelleria dei consiglieri. Nel 1570 e 1574 fu cancelliere all'archivio dei contratti. Il 13 ag. 1571, nella piazza del ghetto di Firenze, notificò un bando che di fatto ne sanciva l'istituzione e l'ordinamento, compreso l'obbligo per gli ebrei di indossare un berretto giallo.
Cancelliere dell'Accademia fiorentina nel 1541 e 1542, vi fu ammesso come accademico nel 1546. G. impiegava il tempo libero dagli impegni professionali componendo opere in prosa e in rima e scrivendo commedie, una delle quali, intitolata La gioia, venne rappresentata, come recitano i frontespizi delle due edizioni cinquecentesche, nel 1550, "in palazzo del sereniss. gran Cosimo de' Medici, duca di Fiorenza", cioè nel palazzo della Signoria, in occasione dei festeggiamenti per le nozze di una gentildonna fiorentina damigella della duchessa Eleonora di Toledo.
La trama è piuttosto convenzionale. A Pisa è da poco arrivato un forestiero che tiene con sé una bellissima fanciulla, Emilia, della quale si è invaghito lo studente Attilio. A questa si intreccia un'altra storia d'amore tra Fabio, studente senese che vive in casa di Attilio, e Fulvia, figlia di un gentiluomo pisano che, per preservarne l'onore, l'ha rinchiusa in un monastero (in realtà la giovane aspetta un bambino). Tutta l'azione è incentrata sugli stratagemmi messi in opera dai due studenti per la conquista delle loro amate con l'aiuto dei servi Buscanetto e Massimilla. La gioia, che dà il titolo alla commedia e intorno alla quale ruota gran parte dell'azione, è un anello con smeraldo che il padre di Attilio, Urbano degli Onesti, porta sempre al dito. Attilio, volendo procurarsi il denaro per riscattare la ragazza, ruba l'anello al padre, gettandolo nella più cupa disperazione. La commedia si risolve con una agnizione finale: Landolfo Tricerchi, padre di Fabio, giunto in città per visitare il figlio, riconosce in Emilia una figlia che gli era stata rapita dai Turchi e acconsente a maritarla con Attilio; anche Fabio sposerà la sua Fulvia, che nel frattempo è uscita dal monastero e ha dato alla luce un bel bambino.
Scrittore per diletto, G. non si curò di dare le sue opere alle stampe. La gioia fu pubblicata postuma, a cura del cugino Francesco Ferrante, nel 1586 a Venezia, in apparenza in due edizioni distinte, l'una per G.B. Ciotti e l'altra per N. Moretti (ma forse quella di Moretti è un'altra emissione dell'edizione Ciotti con frontespizio diverso e le prime otto carte ricomposte). Del devoto Ferrante sono la lettera dedicatoria al gentiluomo veneziano B. Cappello e i due sonetti celebrativi dell'autore che la seguono (pp. 2-5).
Sotto lo pseudonimo di cavalier Seloro, G. compose un sonetto dedicato a Claudio Corte, famoso maestro di equitazione e veterinario pavese, richiestissimo nelle più importanti corti del tempo, italiane e straniere. Può darsi che il Corte, giungendo a Firenze al seguito di qualche principe, conoscesse G. e ne diventasse amico, come pure che abbia lavorato per la stessa corte medicea (nella Gioia, atto III, scena 5, si nomina un "Corte medico di Sua Eccellenza"). Il sonetto si trova pubblicato nell'edizione Venezia, G. Ziletti, 1573 del trattato di mascalcia ed equitazione scritto dal Corte, Il cavallerizzo, dopo la dedica al cardinale Alessandro Farnese. Altri due sonetti di G. si possono leggere nel ms. Magl. VII.898 della Biblioteca nazionale di Firenze (Rime capricciose di diversi autori, pp. 191 s.): uno è dedicato Alla signora Giulia napoletana vestita nel monasterio delle Convertite di Firenze, l'altro a Carlo V imperatore. Il primo (sulla monacazione di una cortigiana redentasi) è pubblicato nella raccolta delle Rime di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, I, Firenze 1741, p. 348. Una Canzone della miniera, del 1545, è trasmessa da vari manoscritti: si tratta di un canto carnascialesco pubblicato poi nella raccolta, curata dal Lasca, Tutti i trionfi, carri, mascheaate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico Lorenzo vecchio de' Medici… per infino a questo anno presente 1559 (Firenze, L. Torrentino, 1559, p. 217); la ristampa settecentesca, curata da Rinaldo Bracci (Cosmopoli [ma Lucca] 1750, p. 241), reca un'incisione che ritrae l'autore. In edizione critica, la Canzone è inclusa tra i Canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di C. Singleton, Bari 1936, pp. 379-381.
G. morì a Firenze nei primi giorni di settembre 1578: il giorno 6 fu sepolto nella chiesa fiorentina di S. Romolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 81: Libri d'età, c. 166r; 88: Approvazioni d'età per alfabeto di nomi dal 1500 al 1540, c. 240v; 1082: Extractus officiorum civitatis et cancellarium civitatis, cc. 7r, 9r, 13r, 18r, 29r; Ufficiali della Grascia, 192: Libro dei morti 1560-1581, c. 183v; Firenze, Bibl. nazionale, Magl. XXVI.138: F.L. Del Migliore, Zibaldone genealogico ottavo segnato H, c. 93; Ibid., Bibl. Moreniana, Mss.Bigazzi 184: D.M. Manni, Zibaldone di notizie patrie, p. 19; Ibid., Bibl. Marucelliana, Mss., B.III.52: Annali dell'Accademia degli Umidi, I, cc. 3v, 12v, 17r, 25r, 40r; M. Buonarroti, Die Dichtungen, a cura di C. Frey, Berlin 1897, pp. 7, 260-262, 308, 310, 348, 350, 498; Id., Rime, a cura di E.N. Girardi, Bari 1960, pp. 4 s., 159, 163 s., 233; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1712, p. 288; F.A. Zaccaria, Bibliotheca Pistoriensis, Torino 1752, pp. 214 s.; F.S. Bartoli, Notizie istoriche de' comici italiani, I, Padova 1781-82, pp. 263 s.; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, p. 232; A. Sozzifanti, Un sonetto di messer G. da P., in Bull. stor. pistoiese, III (1901), pp. 26 s.; U. Cassuto, Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918, p. 115.