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GIOVANNI da Pian del Carpine

di Raimondo Michetti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)
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GIOVANNI da Pian del Carpine

Raimondo Michetti

Nacque a Pian del Carpine, l'odierna Magione, nei pressi di Perugia, in una data incerta, presumibilmente collocabile negli ultimi decenni del XIII secolo. Le prime informazioni sulla sua vita risalgono, infatti, alla Chronica di Giordano da Giano, redatta dopo il 1262. Nulla sappiamo, pertanto, sul periodo della sua vita precedente l'ingresso nell'Ordine dei frati minori, sulle motivazioni e l'anno della sua opzione religiosa e sulle attività svolte o sulle mansioni ricoperte fino al 1221, la prima data in cui G. è nominato nel resoconto di Giordano da Giano. È possibile, ma non storicamente accertato, che facesse parte di quella schiera di dotti che entrarono adulti tra le file dei seguaci di Francesco d'Assisi intorno al 1215, secondo un'informazione cui accenna in modo non circostanziato nei nomi l'agiografo Tommaso da Celano nella cosiddetta Vita prima beati Francisci. Nel capitolo generale di Pentecoste, svoltosi ad Assisi il 30 maggio del 1221, G. fu scelto da Cesario da Spira, appena nominato ministro della provincia di Germania, per partecipare a una nuova spedizione di ventisei frati, compreso lo stesso Cesario, tra cui ritroviamo anche Giordano da Giano, Tommaso da Celano e Barnaba il Tedesco.

La decisione assunta dal capitolo s'inseriva in una fase particolare della storia del nuovo ordine mendicante, il quale reagiva a una tumultuosa "crisi di crescita", manifestatasi negli anni precedenti, con un vigoroso sforzo di definizione normativa - fu lo stesso capitolo in cui venne redatta la cosiddetta Regula non bullata - e con un rinnovato slancio propulsivo, per il quale al carattere improvvisato e sostanzialmente fallimentare dei primi tentativi di spedizioni Oltralpe si tendeva a sostituire una più articolata e meditata strategia di insediamento, tanto nelle modalità organizzative del viaggio quanto nel reclutamento dei membri. G. sembra quindi prescelto anche per le sue conoscenze linguistiche (predicatore in "Latino et Lombardico" lo definisce Giordano), affiancato, e non casualmente, a Barnaba il Tedesco, conosciuto come egregio predicatore in tutte e due le lingue. Si deve peraltro aggiungere che la specificazione di Giordano apre, almeno, uno spiraglio sul periodo di vita di G. antecedente il capitolo assisano, tanto rispetto alla sua solida preparazione culturale quanto in merito all'area d'influenza, quella di lingua "lombarda" appunto, in cui egli poteva aver forgiato la sua tempra di predicatore e, soprattutto, quella capacità di adattamento a situazioni di difficoltà che divenne una costante dell'intera sua esistenza.

Nello stesso anno G. e Barnaba furono perciò incaricati di precedere Cesario e gli altri frati per preparare il terreno al loro arrivo a Trento. Dopo il primo capitolo provinciale furono inviati a predicare in Sassonia - Würzburg, Magonza, Worms, Spira, Strasburgo e Colonia furono le principali tappe del loro percorso - sempre con un ruolo di avanscoperta, allo scopo di favorire le condizioni di un più stabile insediamento dei minori. Da questo momento G. assunse responsabilità sempre più impegnative ai vertici dell'organizzazione minoritica della provincia, fino a diventare, sempre secondo il ricordo grato di Giordano, tra i maggiori propugnatori della diffusione dell'Ordine e tra i suoi più strenui difensori. Al capitolo provinciale di Spira del 1223, nel corso del quale furono identificate le diverse custodie in cui suddividere la neonata provincia, il nuovo ministro provinciale della Germania Alberto da Pisa lo nominò custode della Sassonia, da dove egli riuscì a promuovere un'ulteriore espansione dell'Ordine, anche grazie a una prudente politica diplomatica sia verso il clero locale, sia nei confronti delle autorità civili. Nel 1224, in occasione del capitolo di Würzburg, fu però esentato dall'ufficio di custode della Sassonia e trasferito a Colonia: una decisione di cui non conosciamo le ragioni specifiche, anche se è possibile inquadrarla all'interno di una più vasta e dinamica mobilità cui erano sottoposti i primi gruppi dirigenti dei minori in terra tedesca.

Abbiamo nuovamente sue notizie solo nel 1228, quando, probabilmente in occasione della canonizzazione assisiate di Francesco, fu nominato, dal ministro generale Giovanni Parenti, ministro provinciale della Germania: mantenne tale incarico fino al 1230, quando fu trasferito in Spagna, sempre come ministro provinciale. Ritornato di nuovo in Germania nel 1232, in occasione del capitolo generale in cui Elia d'Assisi prese il posto di Giovanni Parenti alla guida dell'Ordine, fu nominato ministro della nuova provincia di Sassonia e conservò l'incarico fino al 1239, lo stesso anno in cui si concludeva il governo di Elia. Durante questo lungo periodo ai vertici dell'organizzazione minoritica, interrotto solamente dagli anni della parentesi spagnola, G. si contraddistinse per un ulteriore impegno nella diffusione del suo Ordine in direzione della Boemia, dell'Ungheria, della Polonia, della Dacia e della Norvegia, oltre che per l'insediamento dei minori in Lotaringia e per la fondazione del convento di Metz. Risale anche a questo periodo la fondazione del convento di S. Francesco a Praga, come testimonia una lettera inviata il 31 ag. 1234 da papa Gregorio IX allo stesso G. e a Tommaso da Celano, in cui il pontefice raccomanda Agnese, sorella del re di Boemia, quale badessa del nuovo insediamento femminile.

Non abbiamo notizie attendibili e sicure sulla vita di G. negli anni tra il 1239 e il 1245, quando fu incaricato da papa Innocenzo IV di recarsi presso i Mongoli per consegnare al loro sovrano la lettera Cum non solum homines, data a Lione il 13 marzo 1245. Nel testo era contenuta l'esortazione a interrompere l'avanzata armata nelle regioni dell'Europa centrorientale e, dietro minaccia della collera divina, l'invito a concludere una pace con la Cristianità. G. doveva anche recapitare una seconda lettera, Cum simus super, datata 25 marzo 1245 e rivolta ai patriarchi, ai vescovi e agli arcivescovi delle comunità cristiane d'Oriente, per esortarli all'unità con la Chiesa latina, in vista dell'imminente concilio di Lione.

La missione affidatagli s'inseriva in una più articolata strategia diplomatica del pontefice romano, che già nel breve Dei virtus del 3 genn. 1245 si era posto il problema del pericolo mongolo; quindi, attraverso diverse ambascerie intendeva tentare un contatto con quel popolo tanto pericoloso e ostile quanto sconosciuto ed estraneo, rispetto agli abituali nemici dell'Occidente cristiano. Peraltro, l'impiego di frati mendicanti per le missioni d'Oriente da parte del Papato era già stato ampiamente sperimentato durante il pontificato di Gregorio IX, che, tuttavia, pur rendendosi conto della minaccia incombente, si era, di fatto, limitato solamente alla proclamazione di una crociata. Si deve tenere presente che proprio nell'aprile del 1241, lo stesso anno della morte di Gregorio IX, le armate mongole guidate da Sübötei avevano sconfitto l'esercito ungherese e incendiato Pest, quindi erano penetrate in territorio austriaco per poi arrivare ai confini con il Friuli: solo la scomparsa di Ögödei, il successore di Genghiz khān, aveva improvvisamente bloccato l'avanzata mongola a causa del rientro in patria dei principi che avrebbero dovuto eleggere il nuovo sovrano. È quindi con il pontificato di Innocenzo IV che si era accresciuta la consapevolezza del pericolo mongolo: non casualmente durante il concilio lionese la "saevitia Tartarorum" fu considerata tra i cinque principali dolori che affliggevano la Chiesa.

G. partì da Lione il 16 apr. 1245 in compagnia di Stefano di Boemia e, successivamente, del frate Benedetto di Polonia, che si aggregò al messo pontificio in Slesia come interprete per le lingue slave. La missione proseguì per Cracovia e per la Galizia, dove G. recò un messaggio sull'unione delle Chiese, quindi, oltre Kiev, dove Stefano di Boemia, ammalatosi, dovette interrompere il viaggio, arrivò agli avamposti dei Mongoli sul Volga, dove le lettere papali furono tradotte in persiano, per essere, in seguito, consegnate al Gran khān. Solo dopo aver percorso a cavallo migliaia di chilometri e aver interloquito, tappa dopo tappa, con i principali signori mongoli incontrati nel cammino, G. arrivò il 22 luglio 1246 nel grande accampamento ai confini con la Manciuria, sede della residenza imperiale, dove rimase quattro mesi. Qui assistette alla conclusione del grande qurilta (assemblea dei nobili), che sancì l'insediamento di Güyük, uno dei figli del sovrano deceduto; ammesso alla presenza del nuovo sovrano, poté infine consegnare la missiva pontificia. Siamo a conoscenza della risposta negativa del Gran khān, che ingiungeva al papa e ai principi della Cristianità di recarsi presso di lui per rendergli omaggio e mostrare sottomissione, riconducendo le vittorie da lui ottenute sotto il segno di un disegno divino e contestando, peraltro, anche l'affermazione papale dell'unicità della fede cristiana. G. prese quindi la via del ritorno, giungendo a Lione il 18 nov. 1247.

Il dettagliato resoconto del viaggio è esposto nella Historia Mongalorum. L'opera, che lo stesso G. elaborò in due successive redazioni e che ci è stata trasmessa da una cospicua tradizione manoscritta, si caratterizza non solo come un diario di viaggio, ma anche come un vero e proprio trattato sulle peculiarità geografiche del territorio, sulle usanze culturali e le credenze religiose, sulla storia dell'impero mongolo. L'autore non si limita, tuttavia, solo all'osservazione descrittiva ma, animato dall'intenzione di rappresentare con efficacia l'intensità della minaccia incombente, dedica molto spazio alle consuetudini militari e alle strategie di dominio del popolo mongolo, esortando i sovrani cristiani a ricorrere anche alla risposta armata, pur di evitare lo stato di servitù cui i Mongoli, che si proponevano esplicitamente la conquista di tutto il mondo, riducevano le popolazioni conquistate. L'insieme dell'opera si rivela come un documento di eccezionale interesse, sia da un punto di vista storico, sia da quello antropologico.

Per quanto riguarda le numerose edizioni di quest'opera si vedano soprattutto: Iohannes de Plano Carpinis, Historia Mongalorum quos nos Tartaros appellamus, in Sinica Franciscana, a cura di A. van den Wyngaert, I, Ad Claras Aquas 1929, pp. 27-130 e, per i tempi più recenti, Giovanni da Pian del Carpine, Storia dei Mongoli, a cura di P. Daffinà et al., Spoleto 1989.

Sul periodo successivo alla spedizione presso i Mongoli, dopo la quale l'asse dell'esistenza di G. sembra ormai spostato più verso l'ambito della Curia papale che all'interno della dirigenza minoritica, siamo informati, soprattutto, da Ognibene (Salimbene) de Adam, che lo aveva conosciuto in Francia di ritorno dalla missione e che traccia un ritratto assai lusinghiero delle sue doti spirituali e morali. Il cronista riferisce, tra l'altro, che lo stesso G. portava con sé la sua Historia, facendola leggere e commentandola personalmente ogni volta che era necessaria qualche spiegazione, o per l'incomprensione di alcuni passi o per la meraviglia e l'incredulità che suscitavano gli eventi che vi erano narrati. Lo stesso Ognibene ci informa anche della fiducia che G. godette presso il pontefice - in una lettera di Innocenzo IV del 23 genn. 1248 G. è citato come penitenziere pontificio -, alla cui corte s'intrattenne per tre mesi. Tra gli incarichi che ricevette figura anche un'ambasceria presso il re di Francia Luigi IX nel 1248, forse nell'intento di convincerlo a rinviare la sua crociata in Terrasanta, per timore dell'imperatore Federico II.

Sempre nel 1248 G. fu nominato arcivescovo di Antivari (oggi Bar, nel Montenegro), nel Sud della Dalmazia, dove fu coinvolto in un complesso conflitto giurisdizionale con il vescovo della vicina Ragusa (Dubrovnik), che avanzava diritti sulla Chiesa di Antivari: nel corso di tale conflitto G. fu anche preso prigioniero, ma fu rilasciato subito dopo. La controversia si trascinò fino al luglio 1252, dopo la morte del vescovo di Ragusa, sopravvenuta nel maggio di quell'anno.

G. morì nella sua diocesi nella stessa estate del 1252 - l'ultimo documento in cui è citato il suo nome è datato al 29 luglio 1252 -, probabilmente ai primi di agosto.

L'importanza storica di G. risiede, innanzitutto, nel ruolo di rilievo da lui ricoperto nella storia dell'espansione minoritica della prima metà del XIII secolo, mentre la missione per la quale è maggiormente conosciuto fu certamente un'esperienza fondamentale della sua vita e consentì la composizione di quello straordinario documento che è l'Historia Mongalorum, ma si risolse, nel concreto, con un nulla di fatto, senza produrre quel miglioramento dei rapporti diplomatici che era il fine primario dell'iniziativa di Innocenzo IV. Si deve tener conto, infine, del contesto politico-diplomatico della missione per rispondere al quesito, che è stato pure posto, sul "francescanesimo" di G., che non trapela in alcun modo dalle pagine del suo diario di viaggio. Più che un precursore di Marco Polo, come è stato sovente e impropriamente definito, G. fu innanzitutto un legato pontificio, impegnato in una difficile missione diplomatica ispirata più dalla necessità di fronteggiare una grave e imminente minaccia, che da un desiderio di conversione o di evangelizzazione. E proprio la consapevolezza di questa responsabilità e la coscienza di essere il privilegiato osservatore e testimone dell'effettivo grado di pericolosità del popolo mongolo ispirarono in sostanza la composizione del suo celebre resoconto. La storia della sua attività diplomatica deve essere, perciò, inquadrata nell'ambito dei rapporti tra il Papato del XIII secolo e i frati dei nuovi ordini mendicanti, all'interno dei quali la sua vicenda personale costituisce un capitolo esemplare.

Fonti e Bibl.: Bullarium Franciscanum Romanorum pontificum, I, Romae 1759, pp. 296, 353, 506, 550 s., 654; Les registres de Grégoire IX, I, Paris 1896, p. 1120; Giordano da Giano, Chronica, a cura di H. Böhmer, Paris 1908, pp. 21, 24, 27 s., 33-35, 47-49, 54, 58; De vitis sanctorum fratrum minorum provinciae Saxoniae, a cura di E. Auweiller, in Archivum Franciscanum historicum, XVIII (1925), pp. 211-225; Relatio fratris Benedicti Poloni, a cura di A. van den Wyngaert, ibid., pp. 135-143; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, I, Bari 1966, pp. 297 s., 301-306; Niccolò da Calvi, Vita Innocentii IV…, a cura di F. Pagnotti, in A. Melloni, Innocenzo IV. La concezione e l'esperienza della Cristianità come regimen unius personae, Genova 1990, p. 270; Tommaso da Celano, Vita beati Francisci, in Fontes Franciscani, a cura di E. Menestò et al., Assisi 1995, p. 331; Marcellino da Civezza, Storia universale delle missioni francescane, I, Roma 1857, pp. 303-347; F. 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Vedi anche
beato Odorico da Pordenone Missionario francescano (Pordenone 1286 circa - Udine 1331). Nel 1314 partì da Padova per una missione in Armenia e in Persia; si spinse poi nell'Estremo Oriente sino alla Cina, e si fermò tre anni a Pechino; rientrò in Italia nel 1330. Dettò al confratello Guglielmo da Solagna il racconto dei suoi viaggi ... Marco Pòlo Pòlo, Marco. - Viaggiatore veneziano (Venezia o Curzola 1254 - Venezia 1324), figlio di Niccolò. Ancor giovinetto accompagnò il padre e lo zio Matteo nella grande ambasceria presso il gran khan̄ Qūbīlāy, intrapresa per incarico di Gregorio IX. Partito (1271) da Laiazzo (od. Ayas sul Golfo di Alessandretta), ... Innocènzo IV papa Innocènzo IV papa. - Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna (Genova 1195 circa - Napoli 1254). Cardinale dal 1227, fu eletto pontefice nel 1243 e si scontrò subito sul tema del primato con l'imperatore Federico II e poi con suo figlio Corrado IV (1228-1254). Questi, tuttavia, al momento della sua morte ... Tatari (o Tartari; russo Tatary) Popolazioni turche della Russia meridionale, del Caucaso e dell’Iran. Prendono il nome da Tātar, designazione data in Occidente dapprima ai Mongoli di Genghiz khān e in seguito alle genti turche, o turchizzate di diversa origine, che costituirono l’Orda d’oro (➔ orda). ● In ...
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