GIOVANNI da Piamonte
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, probabilmente originario di Piamonte nella Val di Sieve (dintorni di Pontassieve, oggi in provincia di Firenze), documentato tramite una pala raffigurante la Vergine con Bambino e santi eseguita nel 1456, presumibilmente per i frati serviti di Città di Castello. Trasferita secondo un'antica tradizione da un tabernacolo esterno a un oratorio interno, l'opera è stata inglobata nella chiesa odierna di S. Maria delle Grazie. Firmata e datata (e nonostante altre attribuzioni, l'unica opera sicura di G.), essa è nota alla letteratura storico-artistica dai primi dell'Ottocento, quando la descrisse Mancini (1832), che sottolineava l'importanza del culto di quest'immagine della Madonna protettrice della città umbra.
Vestita sontuosamente e seduta su un trono a forma di nicchia-edicola composto fantasiosamente di elementi ormai decisamente rinascimentali, la Vergine regge con la mano destra il Bambino benedicente in piedi vestito di bianco con il braccio sinistro intorno al collo della madre. Con la mano sinistra la Madonna offre la grazia divina e protegge la città sorretta da uno dei due angeli (senza ali) inginocchiati davanti a lei. Questa protezione continua col gesto del santo vescovo, vestito di bianco e rosso, che le sta accanto, da sempre identificato con s. Florido (sec. VI), patrono di Città di Castello e titolare della cattedrale. Mentre il vecchio santo barbuto chiude la composizione a destra, la Madonna è affiancata al lato opposto da un frate in vestito scuro, identificato come Filippo Benizi da Firenze (morto nel 1285), uno dei padri dell'Ordine dei servi di Maria. La presenza di questo beato (sarà canonizzato solo nel 1671) è una rara testimonianza nell'arte del Quattrocento e segna una ripresa del suo culto che toccherà il punto più alto nel 1516 quando Leone X concesse all'Ordine servita di poterne celebrare la festa il 23 agosto.
La firma, che ci dice il nome dell'autore senza indicazione del patronimico, è scritta sopra un cartellino dipinto illusionisticamente come fosse appoggiato sull'orlo del ricco tappeto turco ai piedi della Vergine. Il tipo di foglietto dispiegato a trompe-l'oeil, rarissimo in zona umbro-toscana, è di ascendenza fiamminga, e rappresenta una tendenza culturale, come il linguaggio arditamente descrittivo e la ricerca del particolare, di chiara matrice padovana e marchigiana: G. è dunque un pittore eccentrico ma forte, che dopo un primo, ovvio accostamento a Piero Della Francesca condivide il linguaggio marchigiano di Giovanni Boccati (Giovanni di Piermatteo) o di Girolamo di Giovanni. L'unica traccia di committenza sembrerebbe derivare dalla scritta sul basamento in cui si parla di un certo Leonardo senese, non meglio identificato.
Sulle tracce di Magherini Graziani (1897) e Venturi (1911), fu Longhi il primo a soffermarsi sull'attività pittorica di G., prima in alcuni passi della monografia su Piero Della Francesca del 1927, ove lo definiva "un seguace tutt'altro che scarso; rustico e luminoso", poi in un saggio del 1940, dove ne caratterizzava le qualità più interessanti: "un vero maestro che attinge da Piero, ma è come se attingesse dal paese, dall'aria, dalle cose stesse. La casalinga mano della Vergine, che espone ai riflessi una palma usata, come impolverata di lievito recente, è un passaggio non dimenticabile d'interpretazione formale e persino di lucida, umana compassione".
Da quel momento sono pochi i testi su Piero Della Francesca ad Arezzo che non facciano menzione di questo suo socio-seguace, anche se solo per prospettare ipotesi (come fece Longhi, a ragione, e particolarmente per le scene della Tortura dell'ebreo e del Trasporto del legno) sul ruolo di G. nell'équipe di S. Francesco. La grande impresa degli affreschi aretini si svolgeva dagli inizi degli anni Cinquanta del XV secolo, e G. si doveva trovare sui ponteggi già all'inizio del progetto, se è effettivamente di sua mano il Dottore della Chiesa del sottarco destro. Qualsiasi apporto alla cronologia di quest'importantissimo ciclo sarebbe utile, ma la presenza di G. sembrerebbe solo indicare che il suo contributo era già finito nel 1456 quando firmava la pala di Città di Castello - e cioè un lavoro da pittore indipendente - e non costituisce necessariamente un termine ante quem per il compimento degli affreschi. D'altra parte, non si può considerare il 1456 neppure un termine post quem (Battisti; Ginzburg), poiché alcune figure della cappella aretina sono stilisticamente affini all'affresco di Rimini, opera datata da Piero nel 1451. Per quanto riguarda le qualità stilistiche, a Città di Castello siamo davanti a un imitatore piuttosto che a un collaboratore di Piero: così vediamo G. come creatore di personaggi-bambola dai grandi occhi felini, specialmente il Bambino, senza palpebre (ma con le ciglia, laddove Piero non le adoperava quasi mai), che scambia uno sguardo liquido con la Vergine, descritta con una minuziosità quasi fiamminga.
Nel saggio del 1940, orientandolo verso la cultura fiorentina, Longhi ipotizzava che G. fosse l'autore di un gruppo di disegni conservati presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, ormai attribuiti, ma sempre ipoteticamente, al bolognese Tommaso Garelli (Elen, 1995). Allo stesso modo, non convince il tentativo fatto da Bellosi (1987) di attribuire a G. un gruppo di opere tra affreschi fiorentini e tavole valdarnesi, anche se la sua lettura della pala di Città di Castello rimane preziosa per avvicinarci al vocabolario personalissimo del pittore. Accogliere il corpus proposto dallo studioso comporterebbe la convinzione che intorno al 1460 G. avesse mutato completamente la direzione del suo linguaggio verso coordinate fiorentine, specificamente verso lo stile di A. Baldovinetti, con qualche influenza pollaiuolesca. È stata proposta (Centauro) una partecipazione di G. ai restauri degli affreschi di Piero Della Francesca ad Arezzo sulla base di un'iscrizione del 1486-87; ma la scarsa leggibilità delle lettere non consente di avallare tale ipotesi.
Di G. non si conoscono luogo e data di morte.
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Istruzione storico-pittorica per visitare le chiese e palazzi di Città di Castello, Perugia 1832, pp. 102-106; G. Magherini Graziani, L'arte a Città di Castello, Città di Castello 1897, pp. 164 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, La pittura del Quattrocento, I, Milano 1911, p. 486 n. 2; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923, pp. 142, 160; R. Longhi, Piero della Francesca, Roma 1927, pp. 61, 108, 120, 175; Id., "Genio degli anonimi", I, (G. da P.?), in La Critica d'arte, XXIII (1940), pp. 97-101; G. Previtali, Arte in Valdichiana, in Paragone, XXI (1970), 249, pp. 105 s. n. 6; R. Battistini, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, Milano 1987, pp. 643 s.; L. Bellosi, G. da P. e gli affreschi di Piero della Francesca, in Prospettiva, 1987, n. 50, pp. 15-35; L. Bellosi - G. Agosti, in Pittura di luce (catal.), Firenze 1990, pp. 171-175, 194 s.; G. Centauro, Dipinti murali di Piero della Francesca…, Milano 1990, p. 113; E. Battisti, Piero della Francesca, I-II, Milano 1991, ad indicem; G. Damiani - L. Bellosi - A. Paolucci, in Nel raggio di Piero (catal., Sansepolcro), Venezia 1992, pp. 72-75, 90 s., 173; C. Ginzburg, Indagini su Piero, Torino 1994, pp. 43, 116 s.; A. De Marchi, Identità di Giuliano Amidei, in Bollettino d'arte, XCIII-XCIV (1995), p. 128 n. 50; A.J. Elen, Italian Late-Medieval and Renaissance drawing-books, Leiden 1995, pp. 240-242; M. Apa, Piero della Francesca a Roma. L'affresco del S. Luca a S. Maria Maggiore, in Città e corte nell'Italia di Piero della Francesca. Atti…, Urbino 1992, Venezia 1996, p. 154; C.C. Bambach, Drawing and painting in the Italian Renaissance workshop, New York-Cambridge 1999, pp. 341, 344, 451 n. 190; F. Polcri, Ipotesi per G. da P. e nuovi documenti sulla sua famiglia, in Pagine altotiberine, V (2001), in corso di stampa.