DA MULA, Giovanni
Nacque a Venezia il 14 sett. 1583, primogenito di Nitolò di Giovanni, del ramo a S. Vito, e di Maria Morosini di Francesco di Almorò. Il 12 febbr. 1607 il D. sposò Elena Foscari di Francesco di Nicolò, vedova di Francesco Foscari di Alvise, dalla quale ebbe cinque figli maschi; tra questi, Francesco, che morì a Candia combattendo contro i Turchi in qualità di provveditore della cavalleria, e Nicolò, cui toccò il compito di assicurare la continuità del casato.
Dal settembre 1608 al marzo 1609 il D. iniziò col saviato agli Ordini una carriera politica che appena pochi anni dopo doveva conoscere il suo momento più significativo: il 29 ag. 1611 infatti, fu eletto ambasciatore straordinario a Mantova, in occasione della morte del duca Francesco e della successione del fratello Ferdinando. Tuttavia le complicazioni intemazionali sopravvenute poco dopo, per l'inizio della prima guerra di successione del Monferrato, consigliarono la Repubblica di sospendere l'invio dell'ambasciatore, che effettuò la sua missione solo due anni più tardi: dopo, cioè, che la convenzione di Asti del 25 giugno 1615 ebbe sancito la fine delle ostilità da parte dei Savoia, che rivendicavano i possedimenti piemontesi dei Gonzaga.
Ricevute le commissioni il 25 sett. 1615, il D. si recò subito a Mantova, accompagnato dal fratello Francesco; della breve missione (1-9 ott. 1615) possediamo la relazione conclusiva che, come afferma il Ventura, "va letta soprattutto come documento dell'acceso dibattito politico apertosi allora nel Senato veneziano sul nuovo corso della politica estera": il D., infatti, apparteneva al gruppo sarpiano, fautore all'interno dell'assoluta affermazione dell'autorità dello Stato, mentre per quanto riguardava l'estero propugnava una posizione ispirata ad intransigenza nei confronti sia della S. Sede sia, soprattutto, dei sistema spagnolo; egli, insomma, si riconosceva nella linea che aveva guidato la politica dei "giovani", in occasione della correzione del Consiglio dei dieci del 1582, e l'opposizione all'interdetto pontificio del 1606; apparteneva quindi allo stesso gruppo che, più recentemente, era sceso in campo a favore dell'integrità dei domini dei Gonzaga, contro le minacce poste in atto dai Savoia e le presunte interferenze della Spagna.
In effetti, i punti salienti del documento non consistono tanto nelle pur felici pagine dedicate al tradizionale quadro antropogeografico, quanto nelle reiterate precise prese di posizione fornite dal D. contro l'oppressiva presenza spagnola, che dalla Val Padana si diramava a tutta la penisola, attraverso molteplici canali ed infinite connessioni: di qui l'elogio del fratello del duca, Vincenzo, il quale "mostra d'esser molto italiano e pochissimo inclinato a' spagnuoli ... : onde il cattivar questo principe in amore e buona disposizione verso la repubblica... sarà particolare ufficio della prudenza di questo eccellentissimo senato". Quanto al regnante duca Ferdinando, non ritiene verosimili le voci di una sua presuiita inabilità alla procreazione; piuttosto - osserva il D. - "per mio debil senso, non credo che possa seguire il suo accasamento senza il beneplacito de' spagnuoli", che da un'eventuale estinzione della dinastia calcolano di trarre notevoli vantaggi; e quale sia l'animo degli Spagnoli verso il Gonzaga lo dimostrano le continue molestie, le angherie alle quali essi sottopongono il passaggio di uomini e merci tra il Monferrato ed il Mantovano, al punto che il duca, è giunto a caldeggiare uno scambio tra il ricco possedimento piemontese ed il Cremonese, pur di assicurarsi la continuità territoriale dei domini: "E veramente gran miseria è quella di questo principe: di non poter far passare pur un semplice fante e far condur minima quantità de' viveri, tanto in tempo di guerra come di quiete, per gli ordinari suoi bisogni dall'uno de' suoi Stati nell'altro, se non riccorre a' ministri spagnuoli; e conviene dipender dalla testa e dal capriccio d'un governatore di Milano".
Coraggiosa e felice mossa, dunque, era stata la decisione della Repubblica di schierarsi a favore di Mantova con l'invio di aiuti finanziari al nuovo duca ed il ritiro dell'ambasciatore Vincenzo Gussoni da Torino (12 maggio 1613): l'abile e tempestivo intervento diplomatico aveva infatti bloccato l'iniziativa di Carlo Emanuele e prevenuto l'intervento spagnolo: "E però non si devono pentir l'Eccellenze Vostre d'aver con il loro soccorso levato a Mantova il bisogno ed a' spagnuoli il pretesto, perché questa è stata la più stupenda azione che da gran tempo in qua sia forse uscita dalla mano della repubblica, e si può dire che sia stata ispirazione divina per commodo e beneficio di ciascheduno", tanto più che ora. il tempo giocherà a favore di Venezia; l'uscita di minorità del nuovo re di Francia, Luigi XIII, segnerà infatti la fine della remissiva politica del Concini e quel regno, "di presente molto confuso e travagliato", potrà nuovamente gettare tutto il peso della sua potenza nel quadro della politica europea, per cui sarà possibile "sperare di veder col tempo le cose bilanciate in modo che apportino sicurità, come pure è accaduto in altri tempi".
Al ritorno in patria il D. ricoprì l'incarico di savio di Terraferma dal 1° ott. 1617 al 31 marzo 1618, ed - ancora ininterrottamente per il primo semestre degli anni 1619-23; fu inoltre sopraproveditore alle Pompe tra il 14 luglio 1622 ed il 13 luglio 1623 e provveditore alle Biave dal 28 maggio 1623 al 27 sett. 1624, sempre perseguendo una politica improntata ad ostilità verso la Chiesa e la Spagna. Nonostante ciò, fu il primo ad opporsi all'azione di protesta politico-sociale che faceva capo a Ranieri Zeno; l'episodio decisivo - avvenne nel marzo 1625, allorché il D., per la prima volta savio del Consiglio, sostenne l'esigenza di procedere con severità verso i contribuenti morosi; contro di lui parlò lo Zeno, invocando clemenza per i patrizi più poveri: la disputa degenerò in uno scambio di feroci accuse, e lo Zeno subì una condanna, sia pure formale, che segnò l'inizio del suo declino.
Gli ultimi anni della carriera politica del D. furono ricchi di prestigiosi riconoscimenti: savio alla Mercanzia e consigliere ducale nel 1626, depositario in Zecca dal 30 apr. al 29 giugno del 1627, aggiunto ai riformatori dello Studio di Padova tra il 27 genn. 1628 ed il 26 genn. 1629; fu ancora savio del Consiglio nel secondo semestre degli anni 1629-31, sommando a questa altre cariche, come quella di conservatore del Deposito in Zecca (1629), di sopraintendente alle Decime del clero (1630-31), di capo di sestiere sopra la Sanità, in occasione della peste (1631).
Morì a Venezia nel 1632, il 26 maggio secondo il Barbaro, tra il 4 ed il 9 luglio in base ád un libro di Consegi della Marciana.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia. Miscell. Codd. I, St. veneta 21: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patrizi..., p. 427; Ibid., G. Giomo, Indice per nome di donna dei matrimoni dei patrizi veneti, I, s. v. Foscari Elena; per la carriera politica, Ibid., Segr. alle Voci. Elez. del Maggior Consiglio, reg. 13, c. 17; Ibid., Segretario alle Voci. Elezione dei Pregadi, regg. 8, c. 20v; 9, cc. 13v, 14v, 71r; 10, cc. 11v, 12v, 33r, 55v, 152r, 158r; 11, cc. 1v, 2v, 11v, 12v, 32r, 44v, 55v; 12, cc. 1v, 2v, 3v, 60r, 85v, 87v, 94v, 100v, 133v, 139r, 164v, 167v, 177v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mis. It., cl. VII, 839 (=8918): Consegi, cc. 28v, 37r, 39r, 73v, 101v; la relazione dell'ambasceria a Mantova, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, I, Bari 1912, pp. 131-171; i dispacci in Arch. di Stato di Venezia, Senato Dispacci Mantova, filza 8, nn. 1-6. Cfr. inoltre: E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., VI,Venezia 1853, pp. 61, 629; F. Seneca, La politica venez. dopo l'interdetto, Padova 1957, p. 81; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul Patriziato venez. agli inizi del Seicento, Firenze 1958, pp. 238, 244, 246, 281; A. Ventura, Introduzione a Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Bari 1976, I, pp. LXVIII s., XCV (la relazione è ristampata in II. pp. 365-405).