GIOVANNI da Lugio (Luio)
Nacque nel Bergamasco, secondo quanto afferma Raniero Sacconi, che lo chiama "Iohannes de Lugio Bergamensis" (p. 51). Molto probabilmente infatti G. proveniva dal piccolo Comune di Albino, nella Vall'Alta, dove scorre appunto il torrente Lugio, o Luio (Luyo), il cui riferimento toponimico è presente nel suo nome (anche se la Brevis summula, p. 121, riporta la forma "de Luzano", che appare però come una distorsione della precedente). Sulla base di quest'ultima fonte, composta dopo il 1250, si apprende che l'autore aveva saputo dallo stesso G. della sua adesione al catarismo "iam [abhinc] XL annos", per cui è possibile collocare la sua nascita ragionevolmente nell'ultimo decennio del secolo XII e, in ogni caso, in un arco di tempo compreso tra il 1180 e il 1200.
Nulla sappiamo della famiglia di G., in compenso però la sua buona preparazione teologica e la dimostrata conoscenza del metodo di argomentazione scolastico (Manselli, p. 237, lo ha definito "lo spirito più dialetticamente forte e teologicamente preparato" del catarismo italiano) suggeriscono la frequentazione di studi regolari, forse avvenuti nel monastero cistercense di Vall'Alta, come supposto da Solari (pp. 427 s.): non sarebbe, d'altra parte, l'unico esempio di un eretico proveniente dalle fila degli ordini religiosi. Più incerta ci pare invece la sua presenza a Bologna nello Studium di diritto civile, essendo fondata sull'isolata citazione di Codex, 1, 5, 2 riportata dal Sacconi, un testo, tra l'altro, largamente diffuso pure nelle sillogi canonistiche. A motivo degli stretti rapporti intercorsi per secoli tra il diritto canonico e la teologia, G. potrebbe infatti avere desunto le nozioni giuridiche, che pure mostra di possedere, dalla seconda disciplina.
Tra il 1210 e il 1220 G. aderì alla Chiesa catara di Desenzano, detta degli Albanenses, divenendone quasi immediatamente uno degli esponenti più rilevanti. Sempre secondo il Sacconi egli si firmava nelle lettere "filius maior et nominatus episcopus" (p. 49); dunque fu dapprima designato successore del vescovo Belesmanza e quindi eletto al suo fianco, un uso diffuso presso gli Albanenses per evitare dissidi tra i fedeli al momento della morte del vescovo. Nel 1230, tuttavia, G. ruppe i rapporti con Belesmanza, dando origine a una scissione cui aderirono soprattutto gli "iuniores et pauci antiquiores. Et ista pars est maior satis quam prima", cioè di quella che rimase fedele al suo vescovo (ibid., p. 51).
I motivi della frattura erano soprattutto di ordine teologico. Pur mantenendosi sostanzialmente fedele al cosiddetto dualismo radicale, caratteristico della corrente degli Albanenses, in opposizione a quello moderato della Chiesa di Concorezzo, G. ne diede un'interpretazione nuova, dove faceva proprie alcune dottrine del cattolicesimo.
In particolare G. utilizzava la solida cultura teologica per sostenere le sue tesi mediante continui riferimenti ai passi della Sacra Scrittura, anche a quella veterotestamentaria, il che implicava l'accettazione di tutta la Bibbia, laddove gli Albanenses rifiutavano l'Antico Testamento in quanto opera del principio del male. G. trasferiva però gli avvenimenti della storia sacra "in alio superiori mundo et non in isto" (ibid., p. 57), ossia in quello divino, nel quale avveniva anche la creazione delle anime da parte di Dio e la loro successiva caduta, a causa di una non ben precisata colpa commessa, che le portava a incarnarsi nei corpi del mondo terreno, creato ab aeterno da Satana in opposizione al precedente.
G. giustificava altresì la defezione delle anime negando l'esistenza del libero arbitrio, per cui ogni attività, anche quella divina, risultava sottomessa alla rigorosa legge della necessità: tale principio comportava, inevitabilmente, anche il rifiuto della onnipotenza di Dio. Pure la salvezza delle anime procedeva in primo luogo necessariamente dall'adesione all'annuncio di Cristo che, proprio a tale scopo, era disceso "ad hunc infernum" (ibid., p. 57). Un fatto quest'ultimo che non era ovviamente da confondersi con quello narrato dai Vangeli, giacché riguardava la realtà di un mondo ultraterreno, ma andava inquadrato in una prospettiva gnostica, dove la salvezza coincideva con la conoscenza soteriologica annunciata da Cristo e riservata a un nucleo ristretto di iniziati; soltanto a essi poteva essere impartito il consolamentum. La maggior parte delle anime era invece costretta al ciclo della metempsicosi, al termine del quale potevano tornare presso Dio. Alla fine dei tempi, poi, i due mondi si sarebbero separati nuovamente, senza più alcuna commistione né rapporto reciproco, mentre per gli Albanenses il mondo terreno malvagio non avrebbe mai avuto termine.
G. espose questa dottrina in "quoddam volumem magnum X quaternorum", dal quale Sacconi (p. 57) afferma di aver estratto "errores supradictos". L'opera, che non ci è pervenuta, fu composta probabilmente negli anni immediatamente successivi alla secessione da Belesmanza. Già per la sua ragguardevole dimensione, si può sostanzialmente escludere si tratti del Liber de duobus principiis, che Ch. Thouzellier ha correttamente identificato come un estratto parziale dell'opera di G., compilato da un suo allievo nel periodo 1235-40. Questi riprende la dottrina del maestro, spesso mediante citazioni letterali, e la tecnica argomentativa, ma appare meno qualificato sul piano delle conoscenze teologiche, alcune delle quali dimostra di non possedere appieno. Si tratta, in definitiva, di un tentativo di difendere le tesi giovannee contro gli oppositori cattolici, ma soprattutto contro i dualisti moderati di Concorezzo, con uno dei quali l'autore polemizza nell'ultima parte dell'opera.
È appunto in tale contesto che si possono cogliere le ragioni dello scisma di G.: egli comprese la debolezza delle dottrine catare rispetto alla teologia cattolica e tentò, con la sua speculazione, di dare un inquadramento più saldo e rigoroso a queste credenze, allo scopo di opporsi meglio all'azione dei predicatori. Oltre ad accogliere molte istanze bibliche, contestò quindi il dualismo moderato, troppo incoerente e fragile e perciò indifendibile, e volle ridurre il ruolo dei miti, largamente impiegati dal catarismo per giustificare i principî cosmologici, a vantaggio della riflessione razionale. L'accenno ai giovani che seguirono G. ci pone di fronte a un ultimo motivo: l'adesione al catarismo di uomini dotati di una certa cultura, che non si accontentavano, probabilmente, delle semplici spiegazioni dottrinali che avevano soddisfatto i primi adepti. Tuttavia G. fallì, infatti furono pochi i suoi discepoli, perché al catarismo si aderiva soprattutto per "appagare un'esigenza di fede religiosa sincera, ma più fantastico-sentimentale che logico-dialettica" (Manselli, pp. 243 s.). Erano stati il fascino dei miti e il rigore morale dei "perfetti" a spiegare il successo del movimento, che perciò inevitabilmente venne messo in crisi dalla predicazione degli ordini mendicanti, la quale soddisfaceva la seconda caratteristica ed era dottrinalmente superiore per la prima. La scissione di G., anzi, indebolì ulteriormente l'eresia, dividendola al suo interno.
Egli non sembra peraltro avere fondato una sua Chiesa, limitandosi a operare come predicatore nell'area bergamasca, che ben conosceva e dove poteva contare, per le sue origini, su numerosi appoggi. Ci sembra difficile, infatti, supporre una prosecuzione della collaborazione con i Desenzanesi dopo la rottura con Belesmanza: lo stesso Sacconi parla, in proposito, di due "partes in opinionibus contrariis" (p. 50). Per il medesimo motivo non ci pare facilmente accettabile l'ipotizzata successione di G. al vescovo veronese nel 1250 - al di là delle rilevanti riserve sollevate da Zanella sulle gerarchie catare di Dondaine - e, d'altra parte, la Brevis summula (p. 121) chiama l'eretico "predicator et doctor", non vescovo.
Dopo il 1260 di G. non si hanno più notizie, benché negli atti del processo all'eretico Pungilupo un testimone affermi di averlo visto incontrarsi "cum Iohanne bergamascho heretico" nel 1266 (Zanella, p. 62). Ma l'identificazione di questo personaggio con G., proposta da C. Molinier, appare priva di elementi decisivi, essendo fondata unicamente sull'omonimia.
Similmente va respinta un'altra ipotesi del Molinier, il quale riteneva che G. si fosse convertito al cattolicesimo perché era informatore dell'autore della Brevis summula: è semmai più probabile che quest'ultimo sia stato un cataro convertito, come lo fu Sacconi, e che abbia ascoltato l'insegnamento di G. durante la sua adesione all'eresia.
Fonti e Bibl.:Brevis summula contra errores notatos hereticorum, a cura di C. Douais, in Id., La somme des autorités à l'usage des prédicateurs méridionaux au XIIIe siècle, Paris 1896, p. 121; Anselmo d'Alessandria, Tractatus de hereticis, a cura di A. Dondaine, in Id., La hiérarchie cathare en Italie, II, Le Tractatus de hereticis d'Anselme d'Alexandrie, in Archivum fratrum praedicatorum, XX (1950), pp. 234-324; R. Sacconi, Summa de catharis et pauperibus de Lugduno, a cura di F. Šanjek, ibid., XLIV (1974), pp. 30-60; G. Zanella, Itinerari ereticali. Patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986, p. 62 (atti del processo a Ermanno Pungilupo); Ch. Molinier, Un texte de Muratori concernent les sectes cathares, in Annales du Midi, XXII (1910), pp. 189 s.; A. Dondaine, Un traité néo-manichéen du XIIIe siècle. Le Liber de duobus principiis suivi d'un fragment de rituel cathare, Rome 1939, pp. 18-20, 31-33; G. Solari, Di un inedito trattato neo-manicheo del XIII secolo e del suo presunto autore G. bergamasco, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, classe di scienze mor., stor. e filol., LXXV (1940), pp. 409-435; A. Dondaine, La hiérarchie cathare en Italie, I, Le De heresi catharorum in Lombardia, in Archivum fratrum praedicatorum, XIX (1949), pp. 280-312; II, Le Tractatus de hereticis d'Anselme d'Alexandrie, III, Catalogue de la hiérarchie cathare d'Italie, ibid., XX (1950), pp. 245 s., 273-275; A. Borst, Die Katharer, Stuttgart 1953, pp. 270-272; Liber de duobus principiis (Livre des deux principes), a cura di Ch. Thouzellier, Paris 1973, pp. 33 s., 36-38, 40, 42, 47, 60-62; R. Manselli, L'eresia del male, Napoli 1980, pp. 237-243; G. Zanella, Itinerari ereticali, cit., p. 87; A. Pesenti, Dal Comune alla signoria (1187-1316), in Diocesi di Bergamo, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia-Gazzada 1988, pp. 94 s.; G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 1989, pp. 95 s.; E. Pásztor, G., in Lexikon des Mittelalters, IV, München-Zürich 1989, col. 1458; R. Bellini, Dissidenza religiosa nell'area del Garda tra XII e XIII secolo. G. teologo e predicatore, in Brixia sacra, s. 3, V (2000), 4, in corso di stampa.