GIOVANNI da Ferrara
Non è attualmente possibile stabilire - nell'ambito della seconda metà del XIV secolo - una data approssimativa di nascita di G., di cui però è certo, stando ai documenti pervenuti, che ebbe una carriera molto lunga e che fu uno degli ingegneri civili più noti e stimati nell'area compresa tra la Lombardia, il Veneto e l'Emilia Romagna nella seconda metà del XIV secolo. Parte della critica ha anche ipotizzato, sulla base di alcune letture documentarie e dell'identificazione del paese di provenienza di un suo socio, che egli non fosse originario di Ferrara, bensì di Ferrera in Lomellina.
Il primo documento che riguarda G. è relativo all'avvio dei lavori per la costruzione del ponte sul Ticino a Pavia (fu bombardato nel 1944) ed è del 2 luglio 1351, data riportata anche sulle Annotazioni della Storia di Pavia di Pietragrassa (Arecchi - Calvi, p. 10).
In realtà si trattava di una ricostruzione su un preesistente ponte romano di cui furono reimpiegati anche gli antichi basamenti. Inizialmente non ne fu prevista la copertura, eseguita sul finire del secolo, ma solo la merlatura e la presenza di due ponti levatoi. Un secondo documento, del 15 giugno 1352, attesta che a quella data, erano stati terminati i primi cinque archi e si era, quindi, a metà dell'opera. Basandosi, infine, sul fatto che l'ultimo stemma murato nell'ultima arcata del ponte dalla parte del borgo fortificato, di cui la nuova costruzione costituiva parte difensiva integrante, è lo stemma della famiglia milanese dei Casati e che il podestà di Pavia negli anni 1354-55 fu proprio Ramengo Casati, è da ritenersi quasi certo che la fine dei lavori fu in quegli anni. I documenti pavesi vedono accanto a G. un altro ingegnere, forse particolarmente esperto di ponti, con cui egli avrebbe lavorato altre volte: Giacomo da Gozo. Poiché è a Pavia, secondo l'ordine dei documenti certi, che per la prima volta si trova citato G. insieme con Giacomo, non si può escludere che i due provenissero entrambi dalla Lomellina. Infatti, se in molti documenti G. viene detto "da Ferrara" o "ferrarese", è proprio relativamente al lavoro sul Ticino che è detto "ferrerese". Potrebbe trattarsi di un errore di scrittura, ma esaminando il luogo di provenienza del socio si può accertare che quel Gozio o Gozo che accompagna il nome di Giacomo è l'antico nome dell'odierna Cozzo un paese, appunto, della Lomellina, e che nella stessa zona esisteva Ferrera (attualmente Ferrera Erbognone).
Da tempo si pensa che il lavoro successivo a quello di Pavia, fu per G. la costruzione, ancora con Giacomo, del ponte di Castelvecchio a Verona, costruito tra il 1355 e il 1357, poiché quel Francesco Bevilacqua che nel maggio 1355 dette il via ai lavori non era un ingegnere, ma una figura di spicco della corte scaligera, nonché sovrintendente ai lavori urbici (Saraina, p. 50). Esistono in effetti numerose analogie tra questo ponte e l'altro, sempre a Verona, opera sicura di G. e Giacomo, cioè il ponte Navi. In particolare entrambi erano costruiti a pile isolate, con una singolare assenza di platea che le collegasse tra loro.
Nella intricata vicenda relativa alla provenienza di G., c'è da dire che a sostegno della tesi ferrarese, se è vero che negli anni Cinquanta del secolo lo si trova già a Verona, si deve ricordare lo stretto legame politico tra le due città, voluto fortemente da Mastino (II) Della Scala e suggellato anche da una politica matrimoniale. Un legame che permise un notevole movimento di maestranze tra l'uno e l'altro centro. Anche il luogo di provenienza di Giacomo verrebbe a essere così non più Cozzo, ma l'attuale Goro.
Per ritrovare documenti certi su G. bisogna arrivare proprio alla costruzione del ponte Navi, durante la monumentale trasformazione della città voluta da Cansignorio Della Scala. I documenti relativi agli anni tra il 1373 e il 1375 vedono G. e Giacomo da Gozo impegnati nella ricostruzione in pietra di un preesistente ponte in legno realizzato a sua volta su un antico ponte romano. Questo stratificarsi di costruzioni indica la misura di come quel tratto di fiume fosse da sempre cruciale per l'urbanistica veronese. Infatti, il ponte Navi, dove G. reimpiegò molti marmi lavorati di epoca romana e che costò più di 30.000 fiorini d'oro, aveva una struttura piuttosto complessa: era a quattro arcate, sotto alle prime tre passava l'Adige, sul secondo pilone fu costruita una torre e dal terzo scendeva una strada che conduceva nell'"isolo" di San Tommaso; sotto la quarta arcata a sinistra passava il canale dell'Acqua morta che in quel punto si gettava nell'Adige. Il ponte rovinò più volte fino al crollo definitivo avvenuto con la piena del 1757. Per avere un'idea della sua maestosità non rimane che la lapide, databile alla fine dei lavori, che ne commentava la bellezza (Museo lapidario, Verona) e la veduta di quel tratto di fiume dipinta da Bernardo Bellotto (Verona, Museo di Castelvecchio).
Tutti gli studi concordano nel ritenere che negli anni a ridosso della costruzione del ponte, ma già sotto la signoria di Antonio, G. fu incaricato di costruire a Vicenza, dominio scaligero, il quartiere di S. Rocco fuori Porta Nuova, che per le sue caratteristiche fu di certo pensato in funzione difensiva. I documenti parlano, infatti, di un Giovanni architetto, senza però specificarne la provenienza. La cittadella fu progettata con ampi isolati rettangolari delimitati da assi viari ortogonali secondo uno schema in chiaro rapporto con l'urbanistica romana. L'insieme era infine completamente difeso dalla cinta muraria regolarmente scandita da torri a sprone.
Dopo il probabile intervento vicentino G. fu di nuovo attivo a Verona e più precisamente nella basilica di S. Zeno, dove molti documenti conservati nel Giornale della Fabbrica (Simeoni, 1908, pp. 1280-1290; 1909), ne attestano la presenza per un lungo arco di tempo compreso tra il 1386 e il 1398.
A S. Zeno, G. lavorò con il figlio Nicolò, anche lui ingegnere e probabile autore della Torre del Gardello sulla piazza delle Erbe (1370-80 circa) e della cappella Spolverini Dal Verme in S. Eufemia. Il primo intervento dei due fu la costruzione della nuova abside: infatti, un documento del gennaio 1386 attesta la consegna dei loro disegni a due maestri murari per l'esecuzione. Nello scorrere del tempo i documenti di S. Zeno mostrano come Nicolò assumesse un ruolo sempre più autonomo rispetto al padre, tuttavia erano ancora insieme quando, nel 1398, completarono, dopo varie sospensioni dovute alle vicende politiche di Verona, l'abside e si occuparono del rivestimento a carena delle antiche capriate della chiesa.
Finita la dominazione degli Scaligeri nel 1387, l'attività di G. non dovette comunque conoscere battute d'arresto; infatti sulla base del confronto con il progetto difensivo attuato a Vicenza, si pensa di poter attribuire a G. il disegno per le fortificazioni che Gian Galeazzo Visconti volle per Verona e cioè la Cittadella, Castel S. Pietro e Castel S. Felice. Alcuni studiosi (Perbellini) ipotizzano, al più, che le fortificazioni fossero già state previste dagli Scaligeri, lasciando comunque a G. la paternità del progetto. E che G. dovette godere di grande prestigio anche presso i Visconti lo dice un documento del 1392 relativo alla Fabbrica del duomo di Milano (Annali…, p. 66).
Infatti, al culmine del contrasto, nato intorno alla costruzione della chiesa milanese, tra maestri italiani e maestri oltremontani, rappresentati questi ultimi da Enrico di Gmünden, il consiglio di fabbrica decise di indire per il 1° maggio di quell'anno una riunione dei maggiori esperti del momento perché esaminassero l'intera questione esposta attraverso undici quesiti. Il 15 aprile fu inviato un messo a Verona perché accompagnasse a Milano G., il quale doveva essere ormai piuttosto anziano, ritenuto fra tutti gli esperti uno dei più rinomati e noto per "fidelitate et suffitientia". A compenso dell'autorevole appoggio offerto ai maestri lombardi, ricevette una grande ospitalità e una grande cifra di denaro.
Dopo l'ultimo documento di S. Zeno, non si trova più traccia di G., mentre di frequente viene nominato suo figlio: appare quindi molto probabile che egli morisse proprio allo scadere del secolo.
Fonti e Bibl.: T. Saraina, Le historie e fatti de' Veronesi (Verona 1649), Bologna 1975, pp. 50-53; C. Cipolla, La iscrizione in volgare del ponte Navi in Verona dell'anno 1375, in Archivio veneto, XII (1876), 2, p. 1; Annali della Fabbrica del duomo di Milano, I, Milano 1877, pp. 66, 68; G. Biadego, Del ponte sull'Adige detto di Castelvecchio a Verona e di alcuni altri ponti medievali, Milano 1880, pp. 35-42; C. Boito, Il duomo di Milano, Milano 1889, p. 119; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia, Pavia 1905, p. 30; L. Simeoni, L'abside di S. Zeno di Verona e gli ingegneri G. e Nicolò da Ferrara, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXVII (1908), pp. 1273-1290; Id., La basilica di S. Zeno di Verona, Verona 1909, pp. 34 s.; A. Da Lisca, Lafortificazione di Verona, Verona 1916, pp. 89, 91, 93; R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia, I, Pavia 1937, p. 2; A. Da Lisca, La basilica di S. Zenone, Verona 1941, p. 130; T. Lenotti, Porte e ponti di Verona, Verona 1955, p. 53; A.M. Romanini, L'architettura viscontea nel XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 880; F. Reggiori, L'architettura a Milano e nel territorio durante l'etàmedioevale e rinascimentale, ibid., VIII, ibid. 1957, p. 816; G. Bascapè - P. Mezzanotte, Il duomo di Milano, Milano 1965, pp. 14 s.; F. Zuliani, Le mura medievali, in Vicenza illustrata, Vicenza 1976, p. 48; P.P. Brugnoli, Il trionfocortese: la città scaligera, in Ritratto di Verona, a cura di L. Puppi, Verona 1978, p. 250; G. Perbellini, Castelli scaligeri, Milano 1982, pp. 74 s.; F. Barbieri, L'intervento degli Scaligeri nellosviluppo urbano di Vicenza, in Gli Scaligeri. 1277-1387 (catal.), a cura di G.M. Varanini, Verona 1988, p. 297; D. Modonesi, ibid., p. 574; A. Arecchi - G. Calvi, Il ponte sul Ticino a Pavia, Pavia 1990, pp. 9-13; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 117.