GIOVANNI da Faenza (Iohannes Faventinus)
Le notizie su questo canonista attivo intorno alla seconda metà del secolo XII sono scarse: la stessa origine faentina, riportata dalla letteratura erudita, non è sicuramente accertata, al pari di una sua appartenenza alla famiglia Cavalieri, o alla consorteria dei Favaccioli, entrambe presenti in Faenza.
L'ipotesi che la cittadina romagnola non sia il suo luogo di nascita ma piuttosto il luogo in cui egli abbia principalmente svolto la sua attività si basa sul fatto che nel corso della sua vita G. non compare mai con la denominazione di "Faventinus" e che questa è invece attestata per la prima volta solo nell'apparato delle glosse al Decreto in un manoscritto della fine del secolo XII conservato a Cambridge (Gonville and Caius College, 676) dove la sigla "Io. Fa." contraddistingue le lecturae reportatae di G. dalle glosse di Giovanni da Tynemouth, dalla cui scuola l'apparato proviene.
Anche le notizie riguardanti gli studi compiuti da G. presso l'Università di Bologna e la sua successiva attività d'insegnamento sono poco sicure e si fondano sul fatto che in quel periodo presso lo Studium felsineo era presente un "Johannes" che si fregiava del titolo di magister. Senz'altro G. fu maestro del canonista Bernardo da Compostella detto l'Antico: l'affermazione in contrario di Schulte (1875, p. 137) è smentita da Kuttner (1943, p. 295) che ha dimostrato, sulla scorta delle ricerche di Kunstmann (1861), l'identità dei pareri di G. ricordati dallo stesso Bernardo con i rispettivi brani a noi noti di Giovanni da Faenza. La notizia che vuole infine G. sostenitore di Federico I e, per tale motivo, allontanato intorno al 1174 da Bologna, da dove si sarebbe recato alla volta di Faenza, è stata anche questa accantonata sulla scorta del contributo di N. Höhl.
Con certezza G. era nella città romagnola il 27 sett. 1174, come attesta un documento segnalato da Argnani (p. 420) riguardante i canonici della locale cattedrale, fra i quali compare anche G.: in quest'ultimo va senz'altro ravvisato il futuro vescovo di Faenza, presule in sostituzione di Ramberto a partire dal 1177.
Anche se Borchardt (p. 591) sostiene che questo personaggio non fosse necessariamente un canonista, alcuni elementi sembrano provare il contrario. Fra questi, per esempio, il fatto che egli intervenne nel marzo 1179 alle sessioni del III sinodo Lateranense sottoscrivendone i canoni: determinante sembra essere stata in tale occasione la fiducia dimostrata nei riguardi suoi e dell'arcivescovo di Ravenna, Gerardo (anch'egli proveniente dall'ambiente universitario bolognese), da papa Urbano III, il quale preferì il parere espresso da questi due presuli all'opinione dei cardinali. Si trattava del difficile problema del matrimonio stipulato sub condicione, dunque di una materia in cui l'originalità del pensiero di G. era comunemente riconosciuta. Inoltre G. fu spesso chiamato come iudex delegatus a dirimere le controversie particolarmente delicate e difficili, mentre i lodi da lui redatti, spesso insieme con l'arcivescovo di Ravenna e quello di Forlì, venivano accettati dalle parti e confermati dal pontefice.
Nel corso del suo episcopato una grave crisi economica provocò una sommossa popolare contro i nobili e il clero, che condusse, fra l'altro, al saccheggio delle derrate del vescovado (9 febbr. 1184): in tale occasione G. comminò ai responsabili severe censure ecclesiastiche revocate soltanto dopo la promessa, da parte di questi, di interrompere i saccheggi. Nonostante questi dissidi, egli si recò di persona insieme con le autorità cittadine presso il conte Bertoldo di Kunigsberg, legato imperiale, per evitare ulteriori danni alla città, conseguenti l'intervento dell'esercito.
Nel 1189, dopo un incontro a Forlì con l'arcivescovo di Ravenna Gerardo, nominato legato apostolico, G. decise di seguirlo alla crociata insieme con un gruppo di 200 diocesani; egli dovette però partire sicuramente più tardi rispetto al presule ravennate perché, mentre quest'ultimo si trovava già a Tiro nel mese di febbraio, G. è ancora attestato in Romagna. Da questa impresa egli non tornò più, ma le circostanze della morte non sono note con certezza. La data della morte, indicata dalla letteratura erudita tra il 1189 e il 1191, è stata collocata da Höhl ai primi mesi del 1191.
La principale opera di G. è la Summa Decreti, scritta intorno al 1171 e conosciuta in un numero di manoscritti di gran lunga superiore di quello di opere simili. L'opera è stata per molto tempo ritenuta un plagio perché riproduce in buona parte fedelmente le precedenti Summae di Rufino e di Stefano da Tournai. Solo gli studi più recenti hanno dimostrato il suo contributo originale nell'analisi di peculiari situazioni e istituzioni giuridiche come il matrimonio, la teoria della colpa o il processo accusatorio: ed è proprio grazie alla sua maggiore completezza che la Summa di G. ha sostituito la precedente produzione. I progetti di un'edizione critica di questa opera sono rimasti senza seguito, soltanto i due prologhi sono stati pubblicati da Schulte (1867, pp. 580-585).
Di G. abbiamo inoltre numerose Glossae ad Decretum, successive alla Summa, alla quale fanno riferimento. Esse si contraddistinguono per la loro estensione, tuttavia sono state tramandate in numero e scelta variabili, tanto da escludere l'esistenza di un'unica redazione. Esse si trovano fra l'altro in manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana: Vat. lat. 2494 e 2495, Pal. lat. 625, Ross. 595. Alcune di queste glosse sono state edite da Schulte (1872).
Fra le questioni attribuite a G., si segnala il manoscritto di Grenoble, Bibl. municipale n. 391, contenente alle carte 143-156 una raccolta di quaestiones che traggono forse origine dalle disputationes condotte all'Università di Bologna da G. con Martino Gosia.
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