GIOVANNI da Arezzo
Si ignora la data di nascita di G., che comunque va con certezza situata alcuni anni prima di quella di Francesco Petrarca (1304). G. nacque ad Arezzo e appartenne alla famiglia degli Aghinolfi (o de Aginulfis, de Anghinulfis, de Anginolfis). Il padre, Bonaventura, era un notaio operante ad Arezzo e morto sicuramente prima del 1343.
Nella vita di G. si possono individuare due momenti distinti: l'attività diplomatica e l'amicizia con Francesco Petrarca, anche se spesso gli incontri fra G. e il Petrarca, come anche la loro prima conoscenza, furono dovuti proprio all'attività di G. in qualità di cancelliere e ambasciatore dei Gonzaga.
Il primo incontro tra il poeta e G. dovette avvenire ad Avignone forse durante il periodo in cui Petrarca, studente a Bologna, tornava saltuariamente in Francia (1320-26). Della loro amicizia abbiamo una documentazione sicura nelle numerose lettere che il Petrarca inviò a G. e nelle quali faceva riferimento a quelle a sua volta ricevute.
In una lettera (Fam. III, 11) inviata da Avignone a Guido Gonzaga, Petrarca ringraziava per le due lettere destinate dal Gonzaga a G. nelle quali si chiedevano notizie del poeta. G. si trovava infatti ad Avignone in qualità di legato dei Gonzaga presso la Curia, come si evince da un documento del 1341 relativo all'invio di "Johannem cancellarium nostrum ad standum in Curia"; dello stesso anno è una Memoria agendorum in Curia per ser Johannem de Arecio, canzellarium DD. Mantue, contenente tutte le istruzioni relative alla sua carica.
Il 7 apr. 1343 G. era nominato da Filippino Gonzaga, figlio di Luigi (I), suo procuratore per comparire davanti al cardinale Guillaume Court, legato apostolico in Lombardia, per ratificare la tregua tra gli Scaligeri e i loro alleati da una parte e i Gonzaga e i loro alleati dall'altra. Con un documento del giorno successivo le funzioni di plenipotenziario gli venivano confermate anche da Luigi Gonzaga e dagli altri suoi figli, Guido e Feltrino. Nello stesso anno, il 12 ottobre, veniva poi inviato a Villeneuve, presso Clemente VI, per chiedere e ottenere l'assoluzione dalla censura che gravava sulla città di Mantova dal 1326, quando Rainaldo Bonacolsi, detto Passerino, aveva accolto in città Ludovico il Bavaro.
L'anno successivo, il 10 aprile, Luigi Gonzaga e i figli Guido e Feltrino inviarono nuovamente G. ad Avignone, in qualità di loro procuratore, per presentare al papa Clemente VI e al Collegio dei cardinali una protesta contro Alberto e Mastino Della Scala per l'inosservanza, da parte dei signori di Verona, della tregua stilata l'anno precedente. In un documento di quattro giorni dopo, sempre affidato a "Magistrum Johannem de Aricio cancelarium", veniva precisato che, il 15 marzo di quell'anno, due cittadini mantovani erano stati aggrediti e uccisi in territorio veronese e il delitto era rimasto impunito.
Del 1344 sono quattro lettere, in data 21 e 22 (due in questo giorno) ottobre e 3 novembre, indirizzate ai signori di Mantova con resoconti di un'ambasceria presso Luchino Visconti e con informazioni di carattere riservato sulla situazione della città; queste quattro lettere sono a firma di "Johannes notarius vester", figura non altrimenti conosciuta ma che potrebbe presumibilmente essere identificata con quella di Giovanni da Arezzo.
Nel 1348 Petrarca inviava una lettera (Fam. VII, 8) a G., congratulandosi con lui per aver riportato serenità e pace in una città fino allora turbolenta e tenebrosa, qual era Mantova, giovando così alla libertà e alla gloria dei Gonzaga; nella stessa il poeta si augurava di poter ritornare insieme con l'amico in patria.
Nel 1351, il 12 maggio, abbiamo un'altra lettera del Petrarca (Fam. XI, 3), in risposta a una con la quale G. chiedeva al poeta di scrivere le lodi del giovane signore di Padova Giacomo da Carrara, ucciso il 19 dic. 1350, del quale G. si era dichiarato un grande ammiratore; pur affermando il poeta che non gli era possibile ottemperare degnamente alla richiesta dell'amico, perché ciò avrebbe significato scrivere un lavoro di una certa importanza quale una tragedia o un panegirico, che in quel momento non era in grado di portare a termine, tuttavia tesseva le lodi del Carrara e terminava la lettera con un'epigrafe di otto distici in sua memoria. Il 20 giugno dello stesso anno, dal valico del Monginevro, Petrarca scriveva un'altra lettera a G. (Fam. XI, 9) per informarlo di essere in viaggio per Avignone e per invitarlo a raggiungerlo ed essergli compagno, come tante altre volte, e gli dava appuntamento presso la sorgente del Sorgo, dove si sarebbero riposati insieme prima di recarsi alla vicina "Babilonia".
Quando Petrarca nel 1353 si trasferì a Milano invitato dall'arcivescovo Giovanni Visconti, allora signore della città, che voleva servirsi del poeta per l'ambasceria tesa a riportare la pace tra Genova e Venezia, G., come gran parte degli altri amici del poeta, gli scrisse una lettera rimproverandolo di trascurare le sue vecchie occupazioni, vale a dire la letteratura, per dedicarsi alle nuove, cioè la politica, che delle antiche sono avverse e sono nemiche della vera gloria che sola si deve perseguire. A questa lettera Petrarca rispose il 1° genn. 1354 (Fam. XVII, 10) giustificando il proprio comportamento con una lunga disquisizione filosofica tesa a dimostrare come i casi della vita spingano l'uomo talvolta ad agire diversamente da quelle che sarebbero le proprie aspirazioni. È questa una lettera che risulta essere di grande importanza anche per delineare in modo preciso la figura di G., il quale, pur avendo dedicato tutta la sua vita al servizio dei Gonzaga, considerava evidentemente l'attività politica a un livello inferiore rispetto alla letteratura e alla filosofia.
L'ultima lettera di Petrarca a G. è in data 27 genn. 1358; in essa il poeta si rallegrava con l'amico, che aveva abbandonato la vita pubblica e si era ritirato negli ozi della vita campestre. La morte di G. dovrebbe collocarsi poco dopo questa data.
In G. alcuni storici della letteratura hanno voluto riconoscere l'ispiratore del primo dei Trionfi, quello d'Amore, alla cui iniziale stesura il poeta attese proprio nel periodo della vecchiaia di Giovanni.
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