GIOVANNI d'Ambrogio da Asola
Figlio di un Ambrogio e padre del pittore Bernardino da Asola, nacque probabilmente intorno al 1480, come si può ipotizzare sulla base dei documenti noti. Ricordato ora "come da Asola", ora come "da Bressa", intorno al 1512 risulta essere residente a Venezia e membro della Scuola grande di S. Marco. Dimorò stabilmente in campo S. Marina, nella parrocchia di S. Leone Papa (S. Lio), ma è presumibile che inframmezzasse al soggiorno veneziano brevi viaggi nell'entroterra, dove sia lui sia il figlio coltivavano assidui rapporti di committenza (di una specifica "attività per il contado" parla Lucco, 1978, p. 104).
Nell'aprile 1514 rivolgeva al doge una supplica di privilegio per la stampa di una "historia de Traiano Imperator" fatta intagliare a suo nome (Ludwig, p. 115). La frequentazione di maestri incisori è attestata dalla sottoscrizione che il pittore appose in un atto notarile del gennaio 1520, quale testimone di Lazzarina, vedova dell'intagliatore Marco da Vicenza. A prova di una buona cultura incisoria comune anche a Bernardino, se non del diretto esercizio del mestiere, restano gli sfondi paesaggistici dei quadri di entrambi, con derivazioni da stampe di Dürer e di Tiziano.
Il 6 apr. 1526 Bernardino firmava a nome proprio e del padre, probabilmente assente da Venezia, il contratto per l'esecuzione delle portelle dell'organo di S. Michele in Isola (Venezia, Civico Museo Correr). L'accordo impegnava i pittori alla consegna, entro il settembre successivo, di un'Assunzione della Madonna e di un S. Michele in lotta con gli angeli ribelli, nonché di un S. Benedetto e di un S. Romualdo omaggiati, ciascuno, da una coppia di monaci genuflessi; a una diversa disposizione in corso d'opera si deve l'attuale S. Romualdo venerato dal doge Pietro Orseolo e da un procuratore. Dal documento risulta che G. e Bernardino avevano già dipinto per l'organo un S. Michele e due angeli, oggi perduti; nel compenso finale di 40 ducati era compresa la decorazione pittorica delle due fiancate (ibid., p. 116). Spetta a Fiocco (1925-26) l'attribuzione a G. delle portelle esterne con il S. Benedetto e il S. Romualdo, in cui la critica riscontra unanime, rispetto al ductus di quelle interne, modalità meno aggiornate e un cromatismo di marca prettamente bresciana; intese a complemento illusionistico dello spazio reale, esse raffigurano santi e devoti in due ambienti speculari, aperti da una bifora sul paesaggio di fondo.
Nel corpus collettivo di G. e Bernardino, messo a punto da Berenson (1957) a netto vantaggio del padre, le portelle di S. Michele in Isola sono gli unici dipinti per cui sia lecito tentare una distinzione di mani. Attorno a esse la critica si è impegnata a raccogliere, per forza di assonanze e con sostanziali divergenze d'opinione, i cataloghi personali dei due artisti; la conformità delle maniere e l'assenza di dati documentari, che compromette una coerente scansione cronologica delle opere, invitano però alla cautela, come puntualizzato da Lucco (1978; 1984; 1988) nei molteplici interventi a correzione delle proposte berensoniane. Dal confronto fra le portelle e dallo studio dei dipinti a esse rapportabili, fatta salva l'influenza della pittura bresciana su entrambi gli artisti, si può dedurre per G. un legame inalterato con le esperienze veneziane di inizio secolo (con Giorgione, con Dürer, con il primo Tiziano); mentre Bernardino appare aggiornato ai modi del terzo decennio, sulla scorta di un Tiziano più maturo, dell'ultimo Palma il Vecchio e di Bonifacio Veronese (Lucco, 1988). Di un "dolciastro" mélange fra la maniera di Girolamo da Romano, detto il Romanino, e quella di Giorgione parla, a proposito della pittura di G., la Bossaglia (1963, p. 1098). È lecito supporre che, nella quotidiana pratica di bottega, il magistero del padre fosse preponderante in fase ideativa e che al figlio venissero demandati compiti esecutivi di portata gradualmente più vasta.
Una cronologia sommaria della produzione di G. e di Bernardino è ricostruibile solo a partire dagli anni del soggiorno veneziano. Databile al 1515 circa è la pala con la Madonna in trono fra i ss. Antonio, Bernardino, Pietro e Paolo nella basilica del Santo a Padova, eseguita per l'altare di S. Bernardino su commissione degli esecutori testamentari del nobile Pier Francesco Balbi. Nell'opera si riscontra, al di là di una generica impostazione giorgionesca, un chiaro tributo ai modi di Palma il Vecchio; il fondale paesaggistico rivela il debito con la Proposta amorosa incisa da Dürer attorno al 1495.
Riferita a G. da Berenson e dalla Brunacci Conz (p. 162), che ipotizza l'intervento del figlio nelle figure dei santi, viene annoverata da Lucco (1984) tra le prime prove di Bernardino. La proposta attributiva, valida a patto di supporre che Bernardino fosse venuto alla luce attorno al 1490, comporta il riassestamento cronologico della presunta data di nascita del padre, da immaginare maggiore in età di circa un ventennio.
Strutturalmente simile alla pala padovana, grosso modo coeva e soggetta ai medesimi dubbi identificativi è la Madonna in trono fra i ss. Luigi di Francia e Elisabetta di Ungheria, già nella collezione Cavendish Bentinck e oggi al Musée des beaux-arts di Nancy. Lucco (1978, p. 101) acquisisce al catalogo di G. la Resurrezione di Cristo della chiesa veneziana di S. Francesco della Vigna, datata 1516, che mostra, fra le tante, l'influenza del Dosso. Alla mano di Bernardino (e a un momento più tardo) lo stesso studioso riferisce invece l'Adorazione dei pastori del duomo di Asola, tradizionalmente ritenuta opera di G. e datata fra 1516 e 1518 (Fiocco, 1925-26, p. 198, 202; Bossaglia, 1963, p. 1098; Brunacci Conz, p. 163). All'inizio del terzo decennio va collocata la pala con S. Francesco fra i ss. Antonio Abate e Giacomo Maggiore della chiesa veneziana di S. Barnaba (già in S. Maria delle Grazie a Conegliano), in cui il baldacchino che separa lo spazio sacro dalla natura circostante prefigura le architetture dipinte delle portelle di S. Michele in Isola. La connessa lunetta con la Pietà, intensamente drammatica e di netta impostazione savoldesca, viene concordemente attribuita a Bernardino.
Va espunta dal novero dei dipinti di G. l'Adorazionedei pastori dei Musei civici di Padova, attribuitagli da Fiocco (1926-27), che la riteneva databile al 1526. L'autografia della pala, proveniente dalla distrutta chiesa di S. Agostino, era messa in discussione già da Moschetti; e nei più recenti cataloghi del museo l'opera viene assegnata a Stefano dall'Arzere (1537; I Musei civici agli Eremitani a Padova, Milano 1992, p. 41; I Musei civici di Padova, Venezia 1998, p. 71). Non menzionato da Berenson, ma ipoteticamente riferibile alla mano di G. a metà del terzo decennio, è il Cristo fra i dottori delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, nel quale Lucco (1978, p. 104; 1988, p. 730) legge una volontà di adeguamento del pittore ai modi del figlio (cui lo studioso attribuiva, in un primo tempo, l'esecuzione materiale del dipinto). Nell'Adorazione dei pastori del santuario della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza (1530 circa) va riconosciuto l'intervento ormai preponderante, e probabilmente la totale autografia, di Bernardino.
Sarebbero da scalare lungo il secondo decennio del Cinquecento, e costituirebbero il nucleo più compatto della produzione di G., il S. Girolamo del Rijksmuseum di Amsterdam, la Madonna con Bambino della National Gallery di Londra e tre Adorazioni dei pastori (già Helsetine Collection, National Gallery di Londra e William Rockhill Nelson Gallery of art di Kansas City), che in passato Gould (1973; 1975) attribuiva tutti a Bernardino. Nella Madonna con Bambino di Londra l'impostazione tizianesca delle altre pitture arriva al plagio: l'opera è pedissequamente esemplata sulla lunetta di medesimo soggetto eseguita da Tiziano a palazzo ducale.
Il gruppo di dipinti - cui Lucco (1978, p. 101) accosta i Due musici del Kelvigrove Museum di Glasgow - è accomunato dal gusto degli ampi sfondi paesaggistici, percorsi da figurette sommariamente schizzate, di cui l'artista dà prova nelle portelle di S. Michele in Isola e nella pala di S. Barnaba.
Il 13 nov. 1531 G. veniva tumulato nella sepoltura comune dei confratelli della Scuola grande di S. Marco, all'interno della chiesa veneziana dei Ss. Giovanni e Paolo; del figlio, per il quale si è supposto un prosieguo di attività fino ai primi anni Quaranta (con il Giardino d'Amore e la Morte di s. Pietro Martire della National Gallery di Londra), non c'è altra traccia documentaria dopo quella citata del 1526.
Fonti e Bibl.: G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Königlich-Preuszischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), Beiheft, pp. 112-117; G. Fiocco, Piccoli maestri. G. e Bernardino da Asola, in Bollettino d'arte, s. 2, V (1925-26), pp. 193-205; Id., La pittura bresciana del Cinquecento a Padova, ibid., VI (1926-27), pp. 305, 323; A. Moschetti, Il Museo civico di Padova. Cenni storici e illustrativi, Padova 1938, p. 201; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Venetian school, I, London 1957, pp. 87 s.; R. Bossaglia, La pittura bresciana del Cinquecento: i maggiori e i loro scolari, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 1098-1100; M.G. Antonelli Trenti, Notizie e precisazioni sul Dosso giovane, in Arte antica e moderna, 1964, n. 24, pp. 406 s.; R. Bossaglia, Bernardino da Asola, in Diz. biogr. degli Italiani, IX, Roma 1967, p. 197; C. Gould, An addition to Bernardino da Asola, in Arte veneta, XXVII (1973), pp. 256-260; National Gallery catalogues. The sixteenth century Italian schools, a cura di C. Gould, London 1975, pp. 26-30; M. Lucco, Bernardino da Asola, Adorazione dei pastori, in Proposte di restauro. Dipinti del primo Cinquecento nel Veneto, Castelfranco Veneto 1978, pp. 101-106; Id., Il Cinquecento, in Le pitture del Santo di Padova, Vicenza 1984, pp. 152-154; M. Brunacci Conz, G. e Bernardino da Asola, in Giovanni Girolamo Savoldo pittore bresciano. Atti… 1983, Brescia 1985, pp. 159-176; M. Lucco, Bernardino da Asola, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 642; Id., G. da A., ibid., p. 730; C. Pétry, G. da Asola, La Vierge, St Louis et Ste Elisabeth de Hongrie, in La Revue du Louvre, XXXIX (1989), 3, p. 191; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 113.