COSTA, Giovanni
Nacque a Genova verso la metà del secolo XVI da Benedetto; il C., che si considerava discendente di Alamanno "de Costa", divenuto nel secolo XIII conte di Siracusa, fu iscritto nel Liber nobilitatis con i fratelli Demetrio e Pantaleone. Secondo l'Heremite de Souliers, citato dal Neri, egli avrebbe sposato nel 1570Leonora, figlia di Vincenzo di Rapallo. Studioso di scienze matematiche, ma soprattutto amante delle umane lettere, compose un epigramma in onore di Uberto e Paolo Foglietta, rispettivamente autore ed editore di storie genovesi; la poesia fu pubblicata a Genova, insieme ai versi di altri poeti, nel 1585.Due anni prima era stato estratto a far parte del Consiglio Maggiore della Repubblica. Nel 1587 Giulio Guastavino gli dedicò la stampa genovese de Le lagrime di s. Pietro del Tansillo, con una lettera nella quale celebrava le sue qualità di storico. In seguito, il C. entrò in contatto, attraverso il Pichena, col granduca diToscana, al quale offrì i suoi servigi come relatore degli avvenimenti politici della sua patria.
Nel 1606 fu eletto tra i capitani della città per un periodo di due anni. Nel 1610, previa autorizzazione del Senato, il C. pubblicò presso Giuseppe Pavoni il Ragionamento sopra la triegua de' Paesi Bassi, conchiusa in Anversa l'anno 1609, che venne dedicato ad Alberto e ad Isabella Clara Eugenia, arciduchi e sovrani dei Paesi Bassi.
La tregua stipulata tra la Spagna e gli Stati generali delle Province Unite suscitò contrastanti reazioni a Genova, direttamente interessata al conflitto sia per i cospicui finanziamenti versati nelle casse spagnole a sostegno delle spese militari, sia per il ruolo svolto nella guerra dai suoi condottieri. Sotto forma di dialogo tenuto nel palazzo di un nobile cittadino, il C. espone i punti di vista sul trattato, ricordando anche le cause del conflitto e l'esito delle vicende belliche. Gli si obiettava, tuttavia, che la tregua rivelasse invece la debolezza spagnola, costretta a riconoscere implicitamente la sovranità delle Province Unite; di fronte a queste voci che intendevano premere perché la guerra fosse continuata, anche per i vantaggi che alcuni ambienti cittadini, legati agli affari militari, volevano mantenere, il C. si fece portavoce delle tendenze pacifiste che difendevano la validità del trattato come coraggiosa presa di coscienza della impossibilità di sconfiggere un nemico deciso e a suo agio sul terreno conosciuto; persistendo il rischio di un incancrenirsi della guerra, a tutto vantaggio delle potenze nemiche della Spagna, era meglio abbandonare uno Stato ormai perso, come fa il medico che taglia una parte corrotta del corpo. A suggerire tale soluzione è la stessa ragion di Stato che il C. interpreta come "una regola giusta e atta a governar gli Stati secondo la lor forma, con piena notizia dello stabilimento, natura e circostantie di essi e de' mezzi utili, anzi necessari così a conservarli come ad ampliarli per pubblico beneficio". Anche l'idea di una guerra difensiva, avanzata da alcuni ambienti cittadini, era respinta perché nata più da utile privato che da nobile ragione. Il C. sperava, infine, che la possibilità concessa ai ribelli di far scalo nei porti spagnoli li spingesse ad abbandonare la rotta delle Indie che aveva inferto un duro colpo all'economia spagnola e genovese.
Nel 1612 il C. veniva eletto all'"Officium calculatorum". Tre anni dopo pubblicava il Trattato della pace e della libertà d'Italia e de' modi di conservarle, stampato da Giuseppe Pavoni a Genova e dedicato a Cosimo II de Medici, granduca di Toscana.
Davanti al rischio di un conflitto tra Carlo Emanuele di Savoia e la Spagna per il possesso del Monferrato, il C. intende dimostrare quale sia l'origine della pace e della libertà italiana. Dopo una breve descrizione della penisola e un rapido cenno alla storia d'Italia sino alla fine del sec. XV, il C. analizza più attentamente gli avvenimenti successivi alla calata di Carlo VIII, individuando nella pace di Cambrai, perfezionata poi a Bologna, la principale causa politica della pace relativa goduta dall'Italia sino ai suoi tempi, che i successivi conflitti, di limitata portata, non hanno alterato. Egli individua quindi le quattro componenti che devono garantire ai principi il mantenimento ed il rafforzamento dei loro Stati: accorgimento, provvedimento, moderazione e unione devono essere alla base dell'azione dei governi italiani, messa da parte ogni mira espansionistica. Le richieste di aiuto rivolte a stranieri sono errate, perché solo la Spagna, dati i suoi possessi italiani, ha interesse a che lo statu quo della penisola non sia turbato. Alla guerra come mezzo per risolvere i dissidi tra gli Stati devono essere sostituite trattative pacifiche, anche attraverso riunioni di tutti i principi, durante le quali vengano appianati i motivi di contrasto. Di fronte ai tentativi sabaudi di alterare l'equilibrio della penisola il C. ricorda l'atteggiamento politico della Repubblica genovese, il cui appoggio alla Spagna è una garanzia per la sua libertà e per quella degli altri principi italiani.
Anche il figlio del C., Alamanno (nato nel 1590 e iscritto a ventidue anni nel Liber nobilitatis della Repubblica), intraprese l'attività di storiografo, ma con minor fortuna: nel 1615 una sua opera, intitolata Sermone, manefesto del Principe di Condè, fu bloccata dall'intervento del Senato che impedì la sua pubblicazione. Come conseguenza, il C. fu ammonito a interrompere la stesura di una sua opera storica, forse da lui ripresa in seguito, se tale lavoro deve identificarsi con la storia delle guerre del Monferrato e del Piemonte che egli intese dedicare a Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova.
Attraverso monsignor Giulio Cesare Alberighi, agente ducale a Genova, il C. entrò in contatto con Ferdinando, al quale chiese una relazione particolareggiata degli avvenimenti ai quali egli aveva preso parte, attraverso un questionario che il C. spedì a Mantova, su richiesta dello stesso duca. I contatti, iniziati nel 1617, si protrassero a lungo: ancora due anni dopo non era giunta alcuna risposta al C. che continuò a sollecitare il segretario di Stato Giovanni Magno affinché interponesse i suoi buoni uffici, chiedendo altresì una ricompensa e un titolo onorifico alla corte mantovana, privilegio che egli aveva ottenuto da altri principi coi quali era in rapporto. Le richieste del C. furono in parte accolte, cosicché egli poté inviare il manoscritto del primo libro delle sue Storie; di fronte alle pretese di altri denari, il duca preferì impegnarsi a restituire il manoscritto con le correzioni richieste, ma quando il C. fece balenare la minaccia di passare il libro al duca di Savoia, col quale affermava di essere in contatto attraverso Claudio de Marini, esule genovese e ministro francese a Torino, il duca preferì far scomparire il manoscritto che non fu più restituito al C., col quale vennero troncati tutti i rapporti.Nel 1623, per motivi non noti, suo figlio Alamanno fu incarcerato e posto in libertà nel maggio grazie ai buoni uffici del padre; quattro mesi dopo, tuttavia, ne fu nuovamente ordinato l'arresto. Solo l'intervento del C., ammesso alla presenza del Senato per discolpare il figlio e costretto a offrirsi come fideiussore per una forte somma, valse a farlo liberare, dopo alcuni giorni di carcere.
Il C. continuò la sua attività di storiografo, componendo la Historia della guerra de' principi collegati contro il re di Spagna e casa d'Austria e la Repubblica di Genova, conservata in vari manoscritti e mai data alle stampe.
Ricordate brevemente le cause della guerra di Valtellina, il C. denuncia le mire espansionistiche del duca di Savoia che, prendendo a pretesto l'annosa questione del marchesato di Zuccarello, si allea col re di Francia e assale la Repubblica di Genova, sconfiggendola a Rossiglione, Voltaggio (9 apr. 1625) e alla Pieve (11 maggio). L'arrivo a Genova della flotta spagnola comandata dal marchese di Santa Croce non serve a risollevare le sorti della Repubblica, che vede le città della Riviera di Ponente capitolare di fronte all'esercito del principe Tommaso di Savoia (primo libro). Approfittando dei dissidi scoppiati all'interno del campo franco-sabaudo, il marchese di Santa Croce riesce a liberare la Riviera occidentale, mentre il duca di Feria può spingersi sino ad Acqui, ma rimane bloccato all'assedio di Verrua. Il C. allarga, poi, la sua narrazione alle vicende belliche in Europa, concluse dalla pace di Monzone (secondo libro). La guerra di successione per il Monferrato segna il capovolgimento delle alleanze: uscito dal suo isolamento, Carlo Emanuele si unisce al re cattolico. La congiura del Vachero e la mediazione spagnola tra la Repubblica e il duca, sostanzialmente favorevole a questo, diffondono malumore in città verso l'antico alleato; solo l'arrivo in Italia di Ambrogio Spinola come governatore di Milano sembra segnare un ristabilimento di cordiali rapporti tra i due Stati (terzo libro). Il C., "osservatore delle più inique e scellerate guerre che giammai travagliassero l'Italia", dimostra ottima conoscenza degli avvenimenti sia militari sia diplomatici, esposti con tono pacato e obiettivo. La narrazione si interrompe all'anno 1629 con la nascita dell'erede al trono spagnolo.
Dopo questa data, non si hanno più notizie sul Costa.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, Manuali del Senato, nn. 829 (1583) c. 89v; 854 (1606) c. 104V; 858 (1610) c. 20v; 860 (1612) c. 174v; 863 (1615) cc. 4v, 177r; 871 (1623) cc. 107r, 189r, 193r, 194v, 198r, 199v, 201r; Genova, Biblioteca univers., ms. B VII 1: O. Ganducci, Libro delle famiglie di Genova viventi, p. 36; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Genova 1667, p. 358; R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1667, p. 132; A. Oldoino, Athenaeum Ligusticum seu Syllabus scriptorum Ligurum, Perusiae 1680, pp. 286 s.; G. B. Spotorno, Storia letter. della Liguria, IV, Genova 1826, p. 19; A. Olivieri, Carte e cronache manoscritte per la storia genovese, Genova 1855, pp. 24 ss.; G. Ferrari, Histoire de la raison d'Etat, Paris 1860, pp. 312 s.; F. Cavalli, La scienza polit. in Italia, II, Venezia 1873, p. 362; A. Bertolotti, Una storia delle guerre del Monferrato e del Piemonte da conoscersi, in Il Bibliofilo, IX (1888), p. 183; A. Neri, G. C. e il duca di Mantova, in Giorn. ligustico, XVII (1890), pp. 102-119; V. Di Tocco, Ideali di indipendenza in Italia durante la preponderanza spagnola, Messina 1926, pp. 117 s.; R. De Mattei, I politici liguri del Seicento, in Celebraz. liguri, II, Urbino 1939, p. 529 s.; T. Bozza, Scrittori politici ital. dal 1550 al 1650, Roma 1949, p. 125; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 146.