COSTA, Giovanni (detto Nino)
Pittore nato in Roma nell'ottobre del 1826, morto a Marina di Pisa il 31 gen. 1893. Cominciò a studiare in Roma, ma se ne allontanò più volte, a lungo, per motivi politici e per prendere le armi contro l'Austria. A Roma il C. tornò nel 1870. Trascorse allora gli ultimi ventitré anni in tranquilla agiatezza, non sempre nella capitale, giacché aveva sposato in Toscana. Firenze, Parigi, Londra furono le città in cui visse gli anni migliori; e a Parigi si legò d'amicizia con J.-B. Corot, a Londra con C. John Ruskin, a Firenze coi macchiaioli; lui che da giovanetto era passato sotto le forche caudine del più frigido accademismo, dal Camuccini all'Agricola, dal Coghetti al Podesti.
Le principali opere del C., che dipinse quasi sempre il paesaggio più o meno popolato di figure, sono le seguenti, dai titoli talora bizzarri per soverchi particolari descrittivi: Un effetto di scirocco; Bambini sul greto dell'Arno; Le donne dell'Ariccia che in una sera piovosa vanno a prender l'acqua alla fontana; Il riposo dei marinai al tramonto; La battitura del grano nel territorio romano; Ore felici; Una bella mascherina; e le tele che sono nella Galleria nazionale d'arte moderna, in Roma, cioè Il bacio del sole morente alla pineta odorosa; Paesaggio; Donne sulla spiaggia d'Anzio. La prima è un quadrettino con un titolone e, come la seconda, appartiene a quel genere di pittura che ha tuttora qualche seguace di merito. Ben altro significato è nella terza tela, pittura alquanto pesa e stenta, ma personalissima, mirabile per carattere e anche per intonazione. Si palesa in essa in modo particolare la tecnica lungamente elaborata dal C., d'impasto faticoso e compatto; e poi vi si rivelano le sue ricerche e i suoi tentativi di effetti ad aria libera, a quel tempo rarissimi. Vi è infine la sua spiccata concezione del paesaggio e degli abitanti della campagna romana, su per giù come questi e quello si presentavano agli occhi dei pittori stranieri che venivano in Italia settanta e più anni addietro, e li dipingevano con meno sincerità e più calligrafia, tranne qualche artista eccezionale, come il Corot.
L'esempio e la parola del C. influirono su varî pittori in una reazione contro la pittura allora afflitta da certe volgarità commerciali. Si trattava di cacciar via dai quadri i "ciociari", i "moschettieri", i cardinali", o, in altri termini, i costumi loro che troppo spesso si facevano indossare ai modelli. Figurarsi quante ne seppe dire il C.! E dalla sua propaganda nacque la società In arte libertas, che dopo tre o quattro esposizioncine riuscite e applaudite, si estinse.
Spirito critico piuttosto arguto che profondo, spesso amabile, sempre ardito, il C. si lasciò troppo spesso guidare dalle sue antipatie; ciò che spiega come la sua arte abbia suscitato avversioni ed entusiasmi eccessivi.
Bibl.: O. Agresti-Rossetti, G.C. His Life, Work and Times, Londra 1904; T. Sapori, G.C., Torino 1918; E. Cecchi, N.C., in Dedalo, II (1921-22), pp. 665-684; G. Cantalamessa, Il divisionismo di G.C., in Roma, I (1923), pag. 87; F. Sapori, G.C., ibidem, II (1924), pp. 273-78; D. Angeli, N.C., in Capitolium, III (1927-28), pp. 386-408; E. Somaré, Storia dei pittori italiani dell'800, Milano 1928, pp. 65-81 (con ampia bibliografia a pp. 207-08); U. Ojetti, La pittura ital. dell'800, Milano-Roma 1929.