CORRAO, Giovanni
Nato a Palermo, nel quartiere marinaro del Borgo, il 17 nov. 1822, da Giuseppe e da Anna Maria Argento, esercitò come il padre il mestiere di calafato. Quasi sprovvisto d'istruzione, ma audace e risoluto, fu tra i più tipici esponenti popolari della rivoluzione siciliana del 1848-49: si distinse, a Palermo, nella giornata del 16 gennaio e nella successiva espugnazione del Castello a mare, ultimo presidio borbonico in città; in febbraio passò a Messina, dove compì tali atti di valore da meritare, il 23 sett. 1848, il grado e il soldo di capitano d'artiglieria, per deliberazione della Camera dei comuni (Le Assemblee del Risorgimento, Sicilia, II, Roma 1911, pp. 470 s.). Alla ripresa delle ostilità, nell'aprile 1849, il C. fu tra i rari ufficiali dell'esercito siciliano che mostrarono capacità militari e determinazione nel battersi, fino alla estrema resistenza tentata contro le truppe del generale C. Filangieri dal 7 al 9 maggio.
Ristabilita l'autorità regia in Sicilia, egli venne relegato nell'isola di Ustica, con provvedimento di polizia; ma, avendo osato una ingegnosa evasione, nel maggio 1852 fu rinchiuso nella più sicura cittadella di Messina, dove ebbe compagno di prigionia il letterato e patriota R. Villari.
In un'opera memorialistica questi ha poi tracciato del C. un singolare ritratto, in cui si combinano spavalderia sanguinaria e simpatico buonsenso, attitudine a pratiche mistiche, culminanti in visioni estatiche, e perizia nel preparare medicamenti stregoneschi (Villari, pp. 194, 202, 238, 244, 249-257).
Dopo una breve permanenza nelle Grandi prigioni di Palermo (maggio-agosto 1855), il C. ottenne la libertà, a condizione di emigrare dalle Due Sicilie. Sbarcato a Marsiglia nel settembre 1855, dimorò a Genova e, dalla fine del 1857, a Torino, ma il suo estremismo politico e la irregolarità della sua condotta privata - tra l'altro egli esercitava abusivamente la professione medica - indussero il governo sardo ad espellerlo dal territorio dello Stato, insieme all'amico G. Badia (18 apr. 1858).
Cercò asilo a Malta (maggio 1858), poi ad Alessandria d'Egitto (giugno-dicembre 1858) e, di nuovo, a Malta (gennaio-febbraio 1859), senza aggregarsi agli altri fuorusciti siciliani e formulando aspri giudizi non solo sul conto dei moderati, che facevano capo a M. Raeli, e dei repubblicani seguaci di P. Calvi, ma anche su quasi tutto il gruppo mazziniano, che si raccoglieva intorno a N. Fabrizi.
Si legò, invece, con R. Pilo e con lui organizzò un attentato, a cui consentì Mazzini, contro Napoleone III: nel marzo 1859, alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza, il C. giunse in Francia, deciso ad assassinare l'imperatore ma, per motivi imprecisabili, non condusse a termine la missione.
Dopo che fu stipulato l'armistizio di Villafranca e fu costituita, nell'agosto 1859, la lega militare centroitaliana, egli si portò a Modena, per entrare nelle file della brigata di I. Ribotti. Deluso dal fallito arruolamento e dalla debole tensione rivoluzionaria registrata nell'Italia centrale, si persuase definitivamente che l'iniziativa unitaria dovesse partire dalla Sicilia e concepì il progetto di tornarvi, per farla insorgere, con pochissimi compagni temerari e fidati o, addirittura, da solo, come attestano alcune sue lettere inviate a G. Oddo nel settembre 1859 (De Maria, pp. 513 ss., 520).
Tale progetto si precisò quando egli, alla fine del mese, si ricongiunse a Genova col Pilo, il quale procurò alla spedizione il sostegno di Crispi, l'avallo di Mazzini e, soprattutto, la promessa, sia pure vaga, di Garibaldi d'intervenire in caso di successo. Il 26 marzo 1860 il Pilo e il C. partirono da Genova su una vecchia paranza, pilotata da R. Motto, e dopo una traversata avventurosa sbarcarono presso Messina nella notte dal 10 all'11 aprile, quando il moto della Gancia era stato ormai represso, ma bande di ribelli incombevano ancora su Palermo dalle alture circostanti e tutta l'isola era in grande fermento.
Il 12 aprile i due cospiratori s'incamminarono verso Palermo e lungo il percorso si dettero a rianimare le forze insurrezionali, incitandole a tenersi pronte per l'arrivo di Garibaldi, il quale peraltro esitava a muoversi, nell'attesa di notizie incoraggianti dalla Sicilia. Arrivati a Piana dei Greci, il 20 aprile, trovarono i resti delle squadre che si erano rifugiate colà dopo la sconfitta subita a Carini (18 aprile) e li riorganizzarono. Alla fine di aprile posero il loro quartier generale sull'altopiano dell'Inserra e al principio di maggio lo trasferirono a Carini, dove arruolarono volontari, fino a radunare più di mille uomini, dei quali il Pilo assunse la direzione politica e il C. quella militare. Intanto stabilivano contatti con quasi tutti i nuclei rivoltosi della Sicilia occidentale e con il comitato liberale di Palermo, meditando di attaccare la città e di accendere l'insurrezione generale nell'isola.
Il 12 maggio, però, seppero dello sbarco di Garibaldi e il 17 ricevettero una sua lettera che annunciava la vittoria di Calatafimi e disponeva che essi subordinassero la propria azione a quella dei Mille, limitandosi a molestare il nemico. Pertanto risalirono sui monti di San Martino, ma qui vennero assaliti, il 21 maggio, da preponderanti truppe borboniche: il Pilo fu ucciso, appena cominciò il combattimento, e il C. diresse una difficile ritirata a Montelepre. Con le squadre preservate dallo sbandamento, il 27 maggio investì Palermo da ovest, mentre i Mille vi irrompevano dalla parte quasi opposta, ma fu respinto e penetrò in città il giorno seguente. Dopo l'armistizio del 30 maggio fu inviato da Garibaldi incontro alla colonna di G. V. Orsini, che tornava da Corleone con l'artiglieria, e la scortò fino a Palermo (6 giugno).
Con questo episodio si conclude il resoconto che il C. dettò, successivamente, all'amico S. Mattei delle gesta compiute da lui e dal Pilo (F. Guardione, La spedizione di R. Pilo nei ricordi di G. Corrao, in Rass. stor. del Risorgimento, IV[1917], pp. 810-844).
La narrazione è scorrettissima nella lingua e pervasa d'ingenua presunzione, nondimeno consente di misurare l'importanza dei ruolo che ebbe il C. nella preparazione della impresa dei Mille, grazie alle molteplici entrature e al grande credito di cui disponeva in quel composito mondo popolare, talvolta malandrinesco, che alimentava la insorgenza isolana.
Ottenuta subito la fiducia di Garibaldi, e la nomina a colonnello dell'esercito meridionale (17 luglio), condusse nella battaglia di Milazzo (20 luglio) un reggimento di circa quattrocento picciotti, che egli stesso aveva reclutato, e vantò poi il contributo del proprio reparto alla vittoria in una relazione ancora più scorretta di quella citata, in quanto scritta interamente di suo pugno (G. Paolucci, G. C. e il suo battaglione alla battaglia di Milazzo, in Arch. stor. sicil., n. s., XXV [1900], pp. 127-145).
Ferito gravemente sul Volturno (1° ottobre), dovette rinunciare (15 novembre) al comando della brigata sicula, nel quale era succeduto a G. La Masa (18 ottobre). Tuttavia, volle intervenire a una riunione del comitato mazziniano di Napoli tenuta il 19 ottobre, due giorni prima del plebiscito, per sostenere che si doveva avanzare immediatamente verso Roma, minacciando che "se fosse avvenuta l'annessione egli sarebbe andato a Palermo a sollevare il popolo", secondo la testimonianza di un ufficiale che riferì le vicende del reggimento Corrao nel corso della campagna meridionale (N. Rammacca, Da maggio ad ottobre 1860. Dalla Niviera di San Martino delle Scale a Santa Maria Capua Vetere in Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860, Palermo 1910, pp. 417-430).
Tornato a Palermo, si adoperò per dare effetto alle sue minacce, ponendosi a capo della protesta di vasti strati sociali contro il regime luogotenenziale e, specialmente, contro la coscrizione obbligatoria. Il suo impegno suscitò allarme nello stesso partito d'azione, di cui egli guidava l'ala sinistra locale: in una drammatica lettera, inviata da Torino il 29 apr. 1861, Crispi lo scongiurava, a nome proprio, di Garibaldi e di Mazzini, di "mantenere l'ordine", paventando altrimenti ingerenze borboniche (Roma, Museo centrale dei Risorgimento, Carte Crispi, busta 657, fasc. 13).
Quando, nel luglio 1862, Garibaldi decise di muovere dalla Sicilia per liberare Roma, i picciotti radunati dal C. costituirono il nerbo della spedizione. Il 28 luglio egli si dimise con espressioni polemiche da colonnello dell'esercito regolare (La Campana della Gancia, 1° ag. 1862), per assumere, col grado di generale, la luogotenenza della Legione romana (8 agosto), in cui ebbe altresì il comando del reparto più consistente, cioè dell'unica brigata (13 agosto).
Il C. attribuiva all'impresa un significato eminentemente sovversivo e, appena intuì che essa sarebbe stata stroncata dal governo al di là dello stretto di Messina, tentò di convincere Garibaldi a restare in Sicilia per sollevarla e iniziare così la riscossa democratica nazionale (Pantano, pp. 63 s.).
Ad Aspromonte furono solo i siciliani della brigata Corrao, posta sulla destra dello schieramento legionario, che risposero alla fucileria delle truppe regie, nonostante l'ordine di non sparare ripetuto da Garibaldi. Cessato il fuoco, egli eluse l'accerchiamento alla testa di un consistente drappello di volontari, che ricondusse in Sicilia.
Qui mantenne in armi quattrocento uomini della sua brigata, pronti a entrare in azione qualora "Garibaldi e i suoi si mettessero sul banco per essere processati", come rivelò a Crispi in una lettera del marzo 1863 (Roma, Arch. centrale dello Stato, Carte Crispi provenienti dall'Arch. di Stato di Palermo, fasc. 129, Sottofasc. 14).
Anche dopo che fu concessa l'amnistia per i fatti di Aspromonte, egli non smise, anzi intensificò i preparativi di una rivoluzione isolana che sarebbe dovuta dilagare in tutto il territorio italiano, ispirandosi a un generico programma di democrazia sociale. Appare infondata, infatti, l'accusa di separatismo che diffusero contro di lui principalmente gli azionisti moderati, allo scopo di incrinarne il carisma, come risultò falsa, per i funzionari di polizia più scrupolosi, la denuncia che egli stringesse accordi con borbonici e clericali,(Scichilone, pp. 148 s.); è probabile, invece, che si collegasse con gruppi di bassa mafia.
Il carattere unitario del suo progetto sedizioso può trovare conferma nella imputazione con cui egli venne tratto in arresto il 29 apr. 1863: era accusato, infatti, di volere "proclamar la repubblica nel Siciliano e nel Napolitano per incarico avutone da Garibaldi, il che dovea altresì avvenire nell'alta Italia" (Raffaele, p. 391).
Rilasciato pochi giorni dopo, scampò a una misteriosa aggressione omicida (Scichilone, p. 151), ma il 3 ag. 1863, nella imminenza del giorno anniversario di Aspromonte, per il quale si attendeva lo scoppio della insurrezione, egli venne ucciso in un agguato alle porte di Palermo. L'avvenimento ebbe enorme risonanza in Sicilia (Il Precursore, 5, 10, 13 agosto) e nella democrazia radicale italiana (per il cordoglio di Garibaldi si veda ibid., 28 agosto), ma il processo contro gli ignoti assassini venne archiviato in fretta e, in seguito, il fascicolo contenente gli atti istruttori scomparve dagli archivi del tribunale palermitano.
Autorevoli fonti memorialistiche - innanzitutto la testimonianza di E. Pantano, corredata da un'ampia e impressionante documentazione, cui hanno poi attinto le ricostruzioni storiografiche più accurate - inducono a ricercare la matrice del delitto nella collusione locale tra la polizia, i settori crispini del partito d'azione e la nascente alta mafia governativa.
Fonti e Bibl.: Notizie sul C. sì possono ricavare da: Palermo, Società siciliana per la storia patria, Sala Lodi, carpetta 8, camicia 4, Cenni biogr. di G. C. (manoscritto anonimo, forse di G. Paolucci); R. Viliari, Cospirazione e rivolta, Messina 1882, pp. 40, 49, 451-462, 681; F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861, II, Torino 1907, ad Indicem;G. Manacorda, in Diz. del Risorg. naz., II, Milano 1930, sub voce;G. Falzone, Il "general C."in Arch. stor. sicil., s. 4, I (1975), pp. 169-187. Per la sua partecipazione ai fatti del 1848-49 si veda. G. La Masa, Documenti della rivoluz. siciliana del 1847-49, I, Torino 1850, p. 89; P. Calvi, Mem. stor. e critiche della rivoluzione sicil. del 1858, III, Londra [ma Malta] 1851, p. 330; G. Arenaprimo, La rivoluz. del 1848 in Messina, in Memorie della rivoluz. siciliana dell'anno MDCCCXLIII, I, Palermo 1898, pp. 110, 125 s.; D. Piraino, Mem. stor. messinesi dell'ultima guerra, dal 3 al 7 sett. 1848, Messina 1929, pp. 18, 20; L. Tomeucci, Messina nel Risorg., Milano 1963, ad Indicem. Per il periodo dell'esilio si veda: U. De Maria, Pagine ignorate di G. C. precursore dei Mille, in Atti della R. Acc. di scienze lettere e arti di Palermo, s. 4, II (1941), 2, pp. 489-529; G. Berti, I democratici e l'iniziativa merid. nel Risorgimento, Milano 1962, pp. 720 ss.; N. Giordano, Lettere scelte dal carteggio di G. Oddo presso la Soc. sicil. di storia patria, in Il Risorg. in Sicilia, n. s., III (1967), pp. 25-34; Lettere di R. Pilo, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad Indicem. Sulla impresa compiuta con R. Pilo nel 1860 e sulla sua partecipazione alla campagna garibaldina nel Mezzogiorno si veda: R. Motto, Relazione esatta della spedizione di R. Pilo e F. C. avvenuta nel 1860, Pisa 1877; G. Garibaldi, Le memorie ... redazione definitiva ... 1872, (ed. naz.), pp. 413, 434 ss.; Id., IMille (idem), ad Indicem;Id., Scritti e discorsi politici e militari (idem), I, p. 289; C. Agrati, I Mille nella storia e nella leggenda, Milano 1933, ad Indicem;G. Mazzmi, Scritti editi ed inediti, (ed. naz.), LXVIII, p. 136; E. Librino, R. Pilo nel Risorg. ital., in Arch. stor. sicil., s. 3, III (1948-49), pp. 1-261; G. Falzone, Sicilia 1860, Palermo 1962, pp. 49-60, 123-130, 171-203; P. Pieri, Storia militare del Risorg., Torino 1962, ad Indicem. Per la sua attiv. dal 1861 al 1863: G. Bruzzesi, Dal Volturno ad Aspromonte, Milano s. d., pp. 93 s., 96, 99, 113 ss., 118, 121, 124 s., 127 s., 133, 270, 290-293, 325 e passim;R. Maurigi, Aspromonte. Ricordi storico-militari, Torino 1862, pp. 7, 31 ss., 41, 53, 55 s. e passim;G. Pagano, Avvenimenti del 1866. Sette giorni d'insurrezione a Palermo, Palermo 1867, pp. 24, 26, 29 s.; G. Guerzoni, Garibaldi, II, Firenze 1882, pp. 303 s.; G. Raffaele, Rivelaz. stor. della rivoluzione dal 1848 al 1860, Palermo 1883, pp. 390 ss.; F. Guardione, Aspromonte, Palermo 1923, ad Indicem;G. Garibaldi, Le memorie, pp. 493, 610 s.; G. Pipitone Federico, Lo spirito pubblico in Sicilia prima e dopo la tragedia di Aspromonte, in La Sicilia nel Risorg. ital., II (1932), I, pp. 110, 122; E. Pantano, Memorie. Dai rintocchi della Gancia a quelli di S. Giusto, I, (1860-1870), Bologna 1933, ad Indicem;G. Scichilone, Documenti sulle condizioni della Sicilia dal 1860 al 1870, Roma 1952, ad Indicem; P.Alatri, Lotte polit. in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-74), Torino 1954, ad Indicem;F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d'Italia, in Storia della Sicilia post-unificazione, I, Bologna 1956, ad Indicem;G. Cerrito, Radicalismo e socialismo in Sicilia (1860-1882), Messina-Firenze 1958, ad Indicem; S.F. Romano, Storia della mafia, Milano 1963, pp. 117-120; L. Sciascia, I pugnalatori, Torino 1976, p. 67.