COLOMBO, Giovanni
Mancano purtroppo per i Colombo, una famiglia modenese trasferitasi a Venezia nel Seicento, notizie precise. Del padre del C. si conosce solo il nome, Matteo, mentre dal testamento di suo fratello Girolamo si deduce che la madre fosse una Pasqualini, una famiglia di cittadini originari di scarso rilievo; meglio noti sono gli zii Gianalberto e Giangiacomo, il primo segretario del Senato ed entrambi più volte segretari d'ambasciata a Costantinopoli. Stando al necrologio, il C. nacque a Venezia nel 1714, ed ebbe due fratelli, Giovanni Alberto, monaco cassinese e professore di astronomia allo Studio di Padova, e Girolamo, segretario degli ambasciatori veneziani a Parigi e a Vienna e dal 1753 segretario del Senato; di una sorella monaca, suor Maria Anna, si ha notizia dal testamento del Colombo. Nel corso della sua residenza a Milano, il C. sposò la ricca nobildonna milanese Teresa del Conte, ma non ne ebbe discendenza, cosicché la famiglia si estinse con la morte, di Girolamo nel 1790.
Intrapresa con l'appoggio degli zii la carriera burocratica, il C. entrò nella Cancelleria ducale nel 1735, e svolse il suo primo incarico di qualche rilievo due anni dopo, accompagnando il futuro doge Alvise (IV) Mocenigo nella sua ambasciata straordinaria a Napoli presso Carlo di Borbone. Da Napoli si trasferì a Madrid, al servizio dell'ambasciatore veneziano in Spagna Girolamo Corner, protrattosi sino al 1741; infine, dal 1741 al 1744 lavorò come segretario del provveditore generale in Dalmazia e Albania Girolamo Querini. In quest'occasione il C. strinse duratura amicizia con Carlo Gozzi, anch'egli al servizio in armata, che ne ricorderà nelle sue Memorie l'"animo soave", la "indole gioviale", il "diletto per le belle lettere".
Ottenuta nel 1745 la nomina a segretario del Senato, il C. aveva ormai maturato l'esperienza necessaria per affrontare quegli incarichi all'estero che costituivano una tappa indispensabile per chi ambisse ai più alti gradi della burocrazia. Nel 1749 gli veniva appunto affidata l'appena istituita residenza di Torino, dove giunse agli inizi dell'anno successivo.
Il C. si trovò a svolgere la sua missione nel periodo di particolare tensione diplomatica seguente alla pace di Aquisgrana, presso una corte la cui inclinazione poteva incidere sensibilmente nell'equilibrio politico generale. Nei suoi dispacci egli si sofferma dunque anzitutto sulle pressioni delle potenze europee su Carlo Emanuele III per guadagnarsene l'appoggio nel caso di una futura guerra che appare già inevitabile, seguendo in particolare l'incerto procedere delle trattative che conducono all'accordo di Madrid del 1752, considerato assai più efficace di Aquisgrana a tener lontane dalla penisola le minacce che incombono sull'Europa, D'altra parte egli sa cogliere acutamente ogni elemento capace di turbare in futuro la pace italiana, come la questione dei feudi imperiali contesi tra Genova e Piemonte, o la successione nei ducati estensi, o l'apertura di nuovi accessi alla pianura padana - i porti di Massa e La Spezia con i corrispondenti valichi negli Appennini - pericolosi servigi resi in nome del commercio alle velleità belliche francesi. Se dunque una propensione si può cogliere nell'ostentata impersonalità dei suoi dispacci, sempre attenti ad attribuire ad altri le opinioni espresse, è quella di riconoscere nella sicurezza indisturbata del predominio austriaco la condizione necessaria alla tranquillità italiana e all'allontanamento di nuove guerre; ma comunque sia, resta soprattutto l'impressione che, ben aldilà dell'ossequio dovuto per l'autonomia decisionale del Senato vi sia nel C. una chiara coscienza della totale inerzia veneziana, di una passività rigorosamente perseguita in quel gioco politico e diplomatico di cui pure si continuano a seguire con preoccupata attenzione le mosse. Per converso la funzione dei C., una volta ottemperato al ruolo di informatore scrupoloso, si riduce a ben poca cosa, esaurendosi nel rivendicare un posto adeguato nel cerimoniale di corte, o nella rassegnata richiesta di risarcimenti per le continue razzie dei corsari muniti di patenti savoiarde ai danni di battelli veneti, o al più nelle trattative, peraltro poco convinte da parte piemontese, per incrementare l'interscambio commerciale tra i due Stati, e in particolare per la ripresa dei transito lungo il Po del sale veneto, a lungo interrotto dagli Austriaci con la scusa dei danni sofferti dalla ferma di Milano.
Il C. era ancora in servizio a Torino quando gli giunse la nomina alla residenza di Milano. Lasciata nel giugno del 1753 la capitale piemontese, si trasferì nel settembre successivo in quella lombarda, dove lo attendeva un incarico certamente più delicato di quello appena concluso, se non altro per l'entità degli interessi e delle relazioni che intercorrevano tra la regione e la Repubblica; d'altro lato, tanto più illusoria doveva risultare la separazione tra i problemi particolari dei rapporti veneto-austriaci e le questioni generali della politica europea.
L'arrivo dei C. coincide con l'inizio dei governatorato di Francesco III d'Este, secondo un accordo che egli considera gravemente lesivo dell'equilibrio italiano. Il C., che nutre una pessima opinione del duca di Modena, insiste a lungo sulla sua ambiguità politica e sul suo insaziabile bisogno di denaro, e rileva con soddisfazione le difficoltà e gli imbarazzi cui va incontro e la vanità delle sue pretese di esercitare effettivamente un potere di cui è solo nominale detentore. Per converso il suo interlocutore preferito è il gran cancelliere Beltrame Cristiani, la cui autorità sul piano civile e militare egli nota con piacere accrescersi di continuo. Ma poi è proprio da costui che il residente è costretto a subire, nei non rari momenti di attrito, i più umilianti rimbrotti e recriminazioni, nonostante la sua preoccupazione "didimostrar ogni possibile condiscendenza in tutto ciò che riguarda la corte di Vienna e questo governo". Scontri tra le popolazioni di confine, contrabbandi, rifugio di banditi in terra veneta, dazi considerati vessatori provocano spesso le risentite proteste degli Austriaci, e offrono loro il destro per rifarsi sui mal tollerati interessi commerciali dei sudditi veneti e soprattutto per riconfermare implicitamente la sostanziale subordinazione della Repubblica. Basta, per esempio, un'ispezione fatta per errore su dei bauli diretti a Maria Teresa per provocare per lungo tempo il blocco totale del commercio veneto, costretto per ritorsione a percorsi del tutto antieconomici. Di una lamentela sui dazi imposti ai legnami del Tirolo approfitta il Cristiani per un'autentica sfuriata contro le segrete trattative veneziane coi Grigioni per attivare la strada di S. Marco tra il Bergamasco e la Valtellina: il plenipotenziario minaccia il C. di ritorsioni tali che non solo i Grigioni, "ma i Veneziani ancora si pentirebbero di avervi pensato", poiché questi "sono in tal modo circondati dagli Stati della Imperatrice che potrà facilmente risarcirsi da tutti i danni che fossero inferti al suo commercio", concludendo brutalmente "che poi di questa nuova strada si potrà servire la Imperatrice per far venire le sue truppe in Italia". Di fronte a una così pesante schiettezza, il C. non sa che ammutolire, negando di sapere alcunché e subendo poco dopo l'ironia del cancelliere per il fallimento della trattativa. In occasione di una nuova analoga rampogna, il C. stesso, alludendo alla recente alleanza austro-francese, si premurerà del resto di consigliare velatamente al Senato un atteggiamento di prudenza e sottomissione, "anche per il torpido aspetto delle cose presenti, e per il nuovo sistema in cui trovasi in ora costituita l'Europa per l'unione delle due più potenti monarchie che vi signoreggiano".
Né furono solo queste le difficoltà che egli dovette affrontare nel suo periodo milanese. Nell'aprile del 1754 ebbe infatti l'ordine di recarsi a Genova, dove una nave veneziana era costretta alla fonda senza poter scaricare, in seguito ad uno scontro dei suo presidio con la popolazione conclusosi con diversi feriti ed uno schiavone ucciso. Alla pretesa genovese della consegna dei responsabili, Venezia replicava rivendicando a sé sola il diritto di punire i propri soldati. La cosa si risolveva solo alla fine di giugno, grazie alla mediazione francese, con lo scambio di reciproche scuse; ma nel frattempo il C. era costretto a fare i conti coi furibondi Genovesi, privo soprattutto di un interlocutore cui fare con sicurezza riferimento:. "qui - si lamenta di continuo - non vi è consiglio assicurato, e si procede con disordine e con impeto in tutte le cose", e mentre le magistrature sono condotte "dal capriccio più tosto che dal riflesso", il popolo è sempre in tumulto, bellicoso e "indomabile"; non c'è da stupirsi dunque dei grave dissesto dell'erario, delle difficoltà incontrate in Corsica, del totale asservimento di Genova alla Francia.
Il Senato non manco comunque di apprezzare l'operato del C. se, conclusasi nel dicembre del 1756 la sua missione a Milano, appena sei mesi dopo gli conferiva il prestigioso incarico di residente a Londra, proprio nel pieno svolgimento della guerra con la Francia, con la commissione particolare di recarsi prima all'Aia per indagare sulle clausole del trattato di Versailles. Giunto solo in novembre nella capitale olandese a causa di una lunga malattia, il C. vi rimase fino al febbraio successivo, offrendo esaurientemente le informazioni richieste sull'alleanza austro francese e sull'andamento della guerra.
Alla corte inglese il C. poté riprendere da un osservatorio privilegiato l'impegno che gli era congeniale di scrupoloso informatore e di acuto interprete degli avvenimenti della politica mondiale, esaurendosi in qualche lamentela per le depredazioni dei corsari le questioni attinenti direttamente alla Repubblica. Egli accentra dunque tutta la sua attenzione sulla guerra in corso, cogliendo con chiarezza l'elemento fondamentale che sta alla base dei successi inglesi, e cioè l'intreccio strettissimo della condotta militare con gli interessi mercantili. La guerra gli appare come un affare economicamente attivo per la nazione inglese: il commercio è "tanto felice da non potersi credere agevolmente nelle circostanze presenti, di maniera ch'entrarono e sortirono da questi porti nell'ultimo anno cinque milla bastimenti mercantili col carico di tutti di oltre 500 m. tonnellate", cosicché "si vive con i maggiori comodi, e non si vede che lusso e opulenza"; la maggiore prosperità d'altronde rende facilmente tollerabili le imposte straordinarie con cui il governo può sostenere gli interessi del debito pubblico, i cui titoli sono in costante aumento, permettendo così il lancio di nuovi prestiti con cui finanziare nuove vittorie e conquiste: è un circolo chiuso che al C. non sembra destinato a incepparsi, ed egli non sa trattenere il suo ammirato stupore ad ogni rinnovo dei prestiti, vedendo come in breve si raccolgano somme enormi a interessi bassissimi. Per converso la Francia, dove "era rovinato il traffico, non vi era che disordine e confusione, né si trovava il danaro che coi mezzi rovinosi dei vitalizi", gli sembra destinata a sconfitta sicura. Il C. ha dunque una grande ammirazione per Pitt, ed egli stesso gode a corte di una certa stima e di particolari attenzioni da parte della famiglia reale. Non è forse del tutto casuale che proprio dopo la morte di Giorgio II, adducendo gravi motivi di salute, egli chieda con grande insistenza di poter anticipare il proprio ritorno a Venezia, approfittando dell'arrivo dei due ambasciatori straordinari inviati a rendere omaggio al nuovo re.
Lasciata l'Inghilterra nel luglio del 1761, il C. era appena rientrato al suo posto al Senato quando venne chiamato, assieme al cugino Pietro Franceschi, al delicato compito di segretario della magistratura straordinaria creata per la correzione del Consiglio dei dieci. Ma ancora non eranofinite per lui le missioni all'estero: nel giugno del 1762 gli veniva affidato l'incarico di recarsi a Coira per perfezionare l'accordo coi Grigioni per l'attivazione della strada di S. Marco. L'apertura di un valico tra il Bergamasco e la Valtellina rappresentava per la Repubblica l'unico modo di sfuggire al soffocante accerchiamento asburgico, ed era quindi per evidenti motivi osteggiata da Vienna più ancora di quanto non fosse auspicata da Venezia. Dopo l'accordo rimasto inattuato del 1705, e la timida ripresa del 1755, che aveva suscitato l'irritata reazione del Cristiani, la trattativa era stata nuovamente messa in piedi per gli intrighi di un intermediario ufficioso, l'abate Novara; eliminato ogni equivoco, la missione del C. doveva dare il crisma dell'ufficialità al negoziato e imprimergli una spinta risolutiva. Ma contemporaneamente anche gli Austriaci avevano lavorato per consolidare la loro egemonia sulle Tre Leghe, e proprio mentre il C. arrancava per il Bergamasco era in corso a Milano una trattativa coi Grigioni per una nuova convenzione tra i due Stati. Accolto con ogni favore, il.C. si diceva convinto del proprio successo e del fallimento austriaco, ma doveva presto subire un'amara disillusione. Da Milano giungeva infatti ai primi di luglio la notizia della firma di un "formale trattato" che confermava i privilegi del transito austriaco per Chiavenna e di fatto proibiva l'apertura del valico di S. Marco. A rendere più bruciante lo smacco subito, il C. non tardava a comprendere che della sua presenza a Coira i Grigioni si erano abilmente serviti proprio per costringere Vienna a quelle concessioni che altrimenti si sarebbe rifiutata di fare. Evitato con imbarazzo da tutti, addirittura dileggiato dal presidente Salis, che era stato l'artefice di questo astuto voltafaccia, al C. non restava che chiedere accoratamente di rimpatriare per por fine ad una situazione quanto mai umiliante: a metà agosto riprendeva l'impervia strada della Valtellina, consolandosi malignamente al pensiero di quali difficoltà - "una Guerra civile" - avrebbe comportato per le Tre Leghe l'espulsione dei settemila Grigioni che lavoravano nello Stato veneto.
Era comunque un fallimento dovuto alla miope ed incerta politica della Repubblica, che non doveva riflettersi sulla carriera di Colombo. Nel 1763 veniva infatti nominato segretario del Consiglio dei dieci, ed il 17 dic. 1765 egli poteva coronare il suo lungo servizio con l'elezione a cancellier grande, la niassima carica burocratica della Repubblica.
Affetto "da tabe universale con sospetto di piaga nella vescica", il C. morì a Venezia sei anni dopo, il 5 marzo 1772.
Fonti e Bibl.: Inassenza dei processi per l'ammissione alla cittadinanza originaria, si possono trarre dati anagrafici da Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta, II; G. Tassini, Cittadini, vol. VIII, c. 663; ibid., Storia veneta, 5: T. Toderini, Cittadini, vol. V, c. 612; il testamento del C. è Ibid., Notarile, Testamenti, Florio Bellan, b. 130, reg. II, cc. 159-161v; quello della moglie sitrova nei medesimi busta e reg., alla c. 138; il testamento del fratello Girolamo è Ibid., Testamenti, Giovanni Cabrini, b. 1161, n. 565; la notifica della morte è Ibid., Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 959, 5 marzo 1772; per le nomine del C. vedi Ibid., Segretario alle voci, Pregadi, reg. 23, c. 130, e reg. 24, cc. 128, 130; i dispacci sono Ibid., Senato secreta, Disp. ambasciatori, Torino, filza s, n. 497, e filze 6, 7; Milano, filza 195, n. 182, e filze 196, 197, 198; Inghilterra, filza 113, n. 31, e filze 114, 115, 116; Svizzera, Grisoni, filza 16, nn. 1-12; Expulsis papalistis, filza 31, nn. 14, 18, 22; filza 32, nn. 27, 29, 32, 35, 38, 41, 44, 46, 49, 53, ss, 62, 72; filza 35, nn. 78, 84, 89; filza 37, nn. 187, 189, 193, 195, 198; filza 39, nn. 134, 141, 148, 152; le commissioni del Senato al C. sono Ibid., Senato secreta, Corti, reg. 126; reg. 127, cc. 1-261 passim; reg. 128, cc. 1-296 passim; reg. 129, ce. 4-376 passim; reg. 130, cc. 3-254 passim; reg. 131, cc. 5-276 passim; reg. 132, cc. 3-289 passim; reg. 133, cc. 6-207 passim; reg. 134, cc. 162-198 passim; reg. 35, cc. 15-281 passim; reg. 136, cc. 1-252 passim; reg. 137, cc. 8-249 passim; reg. 138, cc. 2-102 passim; reg. 139, cc. 53-151 passim; dispacci del C. in materia sanitaria sono Ibid., Provveditori alla Sanità, b. 375/5, nn. 7, 10-31. I dati sull'elezione a cancellier grande nella Biblioteca naz. Marciana, ms. It., cl. VII, 865 (= 8944): Consegi, 17 dic. 1765; vedi anche Ibid., ms. It., cli. VII, 2000 (= 7716): Cancellieri Grandi di Venezia. Notizie sul C., la descrizione delle feste per la sua elezione, il suo discorso al doge ed il suo funerale nella Biblioteca del Civico Museo Correr, ms. P. D., c. 767; su Teresa del Conte, Ibid., cod. Cicogna, 3416/2; lettere private del C. e del fratello Girolamo a G. F. Olivieri segretario dell'ambasciatore veneziano a Madrid, Ibid., ms. Correr, 1375, fasc. 41, 42; una scrittura del C. in materia di benefici ecclesiastici, Ibid., cod. Cicogna, 1109, fasc. VIII, cc. 39-40: Raccoltadi scritture...; per l'amministrazione dei lasciti testamentari del C., Ibid., cod. Cicogna, 3433/14; vedi inoltre Ibid., cod. Cicogna, 1684: P. Franceschi, Istoria dei Correttori eletti nell'anno 1761..., cc. 22v-23; P. A. Gratarol, Al magnifico D. G. C. cav. cancellier Grande... Gratulazione, Venezia 1766; S. Franzoni, Ad Ioannem Columbum... magnum Ven. Reipublicae Cancellarium... Oratio, Venetiis 1766; Componimenti poetici in occasione del glorioso ingresso di.. G. C. ... Cancell. Grande, Venezia 1766; Poesie per l'ingresso... di... G. C. cav. e Cancell. Grande, Venezia 1766; Poesie per l'ingresso... di... G. C. Cancell. Grande, Venezia 1766; G. Romano, Per il solenne ingresso di... G. C. ... Gran Cancell. ... Stanze, Padova 1766; G. A. Zavanti, Oratio in funere... Ioannis Columbo... habita coram Ser. Principe excell. Senatu..., Venetiis 1772; P. A. Gratarol, Narrazione apologetica..., Venezia 1797, p. 78; C. Gozzi, Mem. inutili, a cura di G. Prezzolini, Bari 1910, I, pp. 62 s.; II, pp. 231 s., 288; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, I, Venezia 1824, p. 126; II, ibid. 1827, pp. 374a, 375a, 433; III, ibid. 1830, p. 489; IV, ibid. 1834, p. 201; A. von Sprecher, Gesch. der Republik der Drei Bünde (Graubünden) im achtzehnten Jahrhundert..., I, Chur 1873, pp. 397-408; J. Jegerlehner, Die polit. Beziehungen Venedigszu den Drei Bünden vornehmlich im achtzehntenJahrhundert, in Jahrbuch für schweizerische Geschichte, XXIII (1898), pp. 258-274; V. Ceresole, La République de Venise et les Suisses., Venise 1890, pp. 214 s., 220; P. J. Blok, Relazioni veneziane. Venetiaansche Berichten over de VereenigdeNederlanden van 1600-1795..., 's-Gravenhage 1909, pp. 385 s.; M. Berengo, "La via dei Grigioni" e la politica riformatrice austriaca, in Arch. stor. lombardo, LXXXV(1959), pp. 56-59, 64, 95, 102 s.; O. F. Winter, Repertorium der diplomat. Vertreter aller Länder, II, Zürich 1950, pp. 413-416; III, Graz-Köln 1965, p. 466; A. Da Mosto, I dogi di Venezia, Milano 1960, p. 511; Relaz. di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I, Inghilterra, Torino 1965, p. XXXVI.