COLLINA (Collina Graziani), Giovanni
Nacque a Faenza il 28 agosto 1820 da Giacomo e da Pasqua Galanti. Giovanissimo, nel 1832 fece le sue prime esperienze in campo ceramico alla scuola del formista G. Lanzoni e quindi presso G. Pani, ministro della fabbrica Ferniani. Al ginnasio faentino frequentò la scuola di disegno dell'incisore Marri e quasi contemporaneamente iniziò l'apprendistato nella bottega di G. B. Ballanti (Ballanti Graziani), di cui divenne l'allievo prediletto. Risalgono a questo periodo i busti di Napoleone I, Gregorio XVI e una Maddalena, tutti nella collezione Ferniani a Faenza.
La stessa esigenza di perfezionarsi e approfondire le proprie conoscenze artistiche che aveva spinto tanti faentini ad abbandonare la città natale, lo portò nell'anno 1840 a Firenze, dove, probabilmente per consiglio dei Ballanti, seguì per quattro anni Lorenzo Bartolini all'Accademia di belle arti. Divisero con lui il soggiorno e gli studi fiorentini Federico Argnani e il figlio di Francesco Ballanti, Giuseppe, la sorella del quale, Rosina, diverrà sua moglie poco tempo dopo il ritorno a Faenza, La nuova parentela, acquisita e soprattutto le lodi lusinghiere del Bartolini ("l'Italia porterà un celebre in più" lettera del 1841 conservata dagli eredi Collina) gli fecero assumere un ruolo sempre più preminente all'interno della bottega di via Bondiolo. Il modellare delicato, per linee eleganti e composte, la nuova vena stilistica improntata sui modi del Bartolini, in più la grande tradizione tecnica che sempre contraddistinse le opere dei maiolicari faentini, procuravano numerose e sempre continue commissioni per il C. che nel 1847, alla morte di Francesco Ballanti, ultimo erede della famiglia, rilevava la direzione della bottega e aggiungeva Graziani al proprio cognome.
Nel 1844 aveva eseguito il monumento funebre per la moglie di G. Marri nella chiesa dei cappuccini a Faenza. Nel 1847, a Faenza, collaborò alla decorazione plastica della chiesa dell'Osservanza (un S. Giovanni della Croce nella navata) e a quella della chiesa del monastero di S. Umiltà. Nel 1869 partecipò al vasto piano di risanamento del teatro comunale di Faenza, condotto dall'architetto A. Ubaldini, restaurando gli stucchi e ricomponendo le statue mutile. L'anno successivo eseguì le lunette e i pannelli in terracotta (Città italiane, Battaglia di Solferino e Battaglia del Volturno) per la facciata di palazzo Gucci-Boschi; questa decorazione, come l'altra eseguita dall'artista per palazzo Cattani (figurazioni allegoriche delle Stagioni e dell'Abbondanza), è di rara sobrietà e compostezza.
Sappiamo che nella casa-laboratorio dei Ballanti-Graziani erano conservati numerosi modelli in gesso ispirati a disegni di Tommaso Minardi (Golfieri, 1975): questi, guida-simbolo di tanti artisti contemporanei, specialmente faentini, dovette influenzare sensibilmente la produzione di plastiche religiose dei C. in modi che, sebbene impoveriti rispetto all'idea ispiratrice, risultarono così facili al vasto pubblico da fare la fortuna di un certo tipo di statue a soggetto religioso (pietismo esagerato, atteggiamenti standardizzati, colori pastello), ancor oggi facilmente riconoscibili in molte delle nostre chiese.
Dei cinque figli avuti da Rosa Ballanti, Giuseppe (Faenza 19 nov. 1847 - ivi 15 febbr. 1916) e Raffaele (Faenza 15 dic. 1852 - ivi 14 dic. 1938) furono avviati alla plastica ceramica. In collaborazione col padre produssero presto una serie di opere che, oltre a mantenere viva la tradizione della famiglia, erano destinate a far conoscere anche all'estero l'attività dei maiolicari faentini. Le grandi esposizioni europee di Vienna nel 1865, di Parigi nel '78 e di Milano nell'81, diedero l'occasione ai Collina di prodursi in alcuni gruppi in ceramica di grandi dimensioni, notevoli oltre che per la ricerca stilistica anche per quella tecnica. Nel 1878 la vecchia fabbrica Ferniani commissionò al C., che era entrato a far parte delle maestranze, alcuni rilievi. Le grandi ceramiche invetriate raffiguranti Caino e Abele, Giovanna d'Arco e una grande portiera con Amorini (Faenza, collez. Ferniani), riecheggianti per la particolare lavorazione le opere dei Della Robbia, furono premiate con numerose medaglie e riconoscimenti.
Il C. morì a Faenza il 26 marzo 1893.
Dopo la sua morte la fama dei figli fu affidata soprattutto alla statuaria cosiddetta d'altare. In stucco o cartapesta, terracotta o ceramica, spesso esemplate sugli stessi modelli di Giovan Battista Ballanti, le statue, prodotte in maniera quasi industriale, furono esportate in ogni parte del mondo. Evidentemente questo impoverimento del valore artistico provocò tante e tali critiche che nel 1899 Giuseppe e Raffaele si sentirono in dovere di rispondere con una lunga e retorica giustificazione in difesa delle loro opere. Lo scritto, stampato in un fascicoletto (Faenza 1899) di venti pagine, fu in realtà composto da uno zio materno dei Collina, padre Raffaelangelo Ballanti, osservante riformato e grande oratore, molto noto nelle Romagne per le sue prediche spesso altamente polemiche. L'ultima opera di un certo rilievo uscita dalla bottega dei Collina fu la grande Via Crucis eseguita da Raffaele nel 1895 per la cattedrale di Washington. L'artista, che eseguì tra l'altro numerosi monumenti funebri per il cimitero faentino dell'Osservanza, modellò le quattordici formelle ispirandosi a quelle fatte all'inizio del secolo per la chiesa della Verna da Giovan Battista Ballanti. L'attività della bottega, intensissima per circa due secoli, si concluse nel 1938, alla morte di Raffaele (per il quale si vedano i necrologi nella biblioteca del Museo internazionale della ceramica [14 dic. 1938] e in Corriere padano, 16 dic. 1938).
Fonti e Bibl.: L'antica fabbrica dei conti Ferniani all'Esposizioneuniversale di Parigi, Firenze 1878, pp. 6, 9, 11; C. Malagola, Mem. stor. sulle maioliche di Faenza, Bologna 1880, pp. 201, 204-207, 273, 274. 404, 425, 528; G. Pasolini Zanelli, Belle Arti, in La Riv. europea, XII (1880), p. 301; F. Argnani, La Pinacoteca comunale di Faenza, Faenza 1881, pp. 67, 92; A. Montanari, Guidastor. di Faenza, Faenza 1882, p. 191; G. Corona, L'Italia ceramica, Milano 1885, pp. 23, 77, 78, 80; A. Montanari, Uomini ill. di Faenza, Faenza 1886, pp. 88 s.; C. Malagola, Cenni stor. sulla antica fabbrica dei conti Ferniani per l'Esposiz. in Bologna nel 1888, Bologna, 1888, p. 7; G. Pasolini Zanelli, Il teatro di Faenza dal 1788 al 1888, Faenza 1888, p. 33; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, ad Indicem; L'officina di maioliche dei corti Ferniani, in Collana di studi d'arte ceramica, Faenza 1929, pp. 80 s., 111; G. B. Tasselli. Restauri nella cappella del beato Nevolone, in Il Nuovo Piccolo (Faenza), 31 luglio 1932; P. Zama, Il Monastero e l'educandato di S. Umiltà, Faenza 1938, p. 160; A. Minghetti, Ceramisti, Milano 1939, p. 125; E. Golfieri, Artisti neoclassici a, Faenza, Faenza 1949, p. 22; F. Ferniani, Le maioliche Ferniani di Faenza, in La Ceramica (Milano), XIII (1958), 7, pp. 37-40; A. Zecchini, Il cenacolo Marabini, Faenza 1952, pp. 44-54; E. Golfieri, Il cenacolo della Fabbrica Ferniani e i pittori di genere aFaenza, in Faenza, Faenza 1967, pp. 58-63; Id., La casa faentina nell'800, I, Faenza 1969, pp. 8-10; II, ibid. 1970, prefaz., pp. non num.; Id., L'arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, I-II, Imola 1975-77, ad Indicem; C.Mazzotti-A. Corbara, S. Maria dei Servi di Faenza, Faenza 1975, pp. 131, 168; Arte e pietà (catal.), Bologna 1980, pp. 253-54; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 231 s.