COLLA, Giovanni
Probabilmente di famiglia parmense, nel 1491 faceva parte da epoca imprecisata della Cancelleria del duca di Milano. Nella primavera dello stesso anno compì una missione in Germania. A lui infatti Ludovico il Moro indirizzava una lettera nel maggio per comunicargli che sarebbero stati posti a disposizione dell'imperatore 12.000 fiorini di Reno, anziché i 20.000 da lui richiesti, purché la cosa rimanesse segreta.
Quando nel settembre del 1499 il duca di Milano abbandonò la città sotto l'incalzare dell'esercito di Luigi XII, il C. lo seguì in Germania, dove divenne precettore dei figli di lui, Massimiliano e Francesco. Inoltre, non si sa da quando, ricevette la qualifica di segretario e consigliere di Massimiliano d'Asburgo, che lo utilizzò in missioni diplomatiche almeno dal 1511. Allorché in quell'anno, infatti, la decisione dell'imperatore di rimanere fedele all'alleanza con la Francia, rivolta contro Giulio II collegato con Venezia, cominciò a venir meno, il C., nel gennaio, fu inviato al papa, che aveva allora portato a termine la vittoriosa impresa della Mirandola. Uno dei punti di contrasto che impediva di giungere alla pace era la pretesa dell'imperatore di avere Verona, a cui il papa non intendeva cedere. La missione del C. continuò a Roma, dove egli rimase per parecchi mesi, verosimilmente proseguendo i suoi tentativi. Egli faceva da tramite anche in scambi di cortesia fra l'imperatore ed il papa, che il 25 dicembre gli chiese se Massimiliano avesse apprezzato il dono di una corniola da lui stesso inviatagli; il C. si affrettò a confermare quanto l'imperatore avesse gradito il dono.
Di questo periodo è la prima delle testimonianze dei contemporanei sul carattere del C., che, invero non doveva suscitare molte simpatie. Il conte Girolamo di Porzia infatti, scrivendo al Senato veneto l'8 ott. 1511, lo definiva "un certo deserto melanconico" (Sanuto, Diarii, XIII, col. 86).
L'11 novembre, intanto, poco dopo la proclamazione della lega santa (5 ott. 1511), Massimiliano d'Asburgo aveva affidato al pontefice la mediazione per addivenire alla pace con Venezia. Non sappiamo che parte ebbe il C. in questo avvenimento, ma verosimilmente non fu estraneo alla trattativa. Il 5 marzo dell'anno successivo l'accordo sembrava raggiunto, quando il C., ricevute lettere dalla Germania, "disconzò tutto" (Sanuto, Diarii, XIV, col. 24). Evidentemente egli aveva bisogno di altre istruzioni, poiché nello stesso mese lasciò Roma, diretto in Germania. Passò per Chioggia il 7 aprile e vi fu ricevuto onorevolmente.
Mentre si sviluppava l'azione degli Svizzeri collegati con l'esercito veneziano e quello papale per il recupero del ducato di Milano, il C. alla fine di maggio giunse a Verona, di nuovo inviato dall'imperatore. Il 31 dello stesso mese, insieme con Alberto da Carpi, egli presentò le lettere di credenza al Senato veneto. Gli ambasciatori esposero le condizioni di Massimiliano per addivenire alla tregua. Avendole Venezia sostanzialmente accettate, la missione del C. risultò pienamente riuscita. Da Venezia egli proseguì quindi per Roma, ove si trovava nel giugno e dove forse fece al papa una relazione su quanto aveva operato.
Avveniva intanto a Milano la restaurazione sforzesca nella persona di Ottaviano Sforza, che il 20 giugno prese possesso della città in nome del primogenito del Moro, Massimiliano. Risulta quindi errata la notizia (Santoro, 1968, p. 385) che il C. fosse divenuto primo segretario ducale il 24 maggio 1512. Forse si deve intendere l'anno 1513.
Non sappiamo se il C. seguì Massimiliano Sforza sin dal suo arrivo nella città (29 dic. 1512) 0 se ancora per qualche tempo continuò a servire esclusivamente l'imperatore. Certo è che, anche se nel marzo 1513 (quando salì al soglio pontificio Leone X) era a Roma e nel giugno a Novara come oratore cesareo, insieme con Andrea del Borgo, presto egli fu costantemente accanto al duca, di cui era considerato uno dei favoriti.
Questa stima non era però condivisa da tutti. L'inimicizia che nutrì, ricambiato, per Girolamo Morone, data comunque da ancor prima del ritorno a Milano di Massimiliano Sforza. È infatti del 4 dic. 1512 una lettera del Morone piena di astio per il C., il quale lo aveva attaccato accusandolo di essere stato un troppo buon servitore dei Francesi per essere un fedele sforzesco. Il Morone, della cui famiglia il C. era stato al servizio, ritorse le accuse contro di lui, chiamandolo "servitore di due padroni". Oltre che di essere filofrancese, il C. accusò il suo potente nemico anche di aver tramato con Ottaviano contro Massimiliano Sforza. Anche da ciò il Morone si difese e, mentre fra di loro l'astio cresceva, nel gennaio 1513 in una lettera all'arcivescovo di Bari, dipinse il C. definendolo vile, sordido, ignorante ed ignaro di ogni cosa, imbecille, inadatto alla diplomazia, indegno. Il ritratto rappresenta a tutto tondo la figura di un uomo che interrogato, ammutolisce rodendosi le unghie, che, senza provocazione, è preso dall'ira, che è privo di amici, altero ed anche sgradevole nel suo aspetto esteriore, degno servo insomma di un padrone detestabile.
Anche il cardinal M. Schiner, scrivendo nel luglio di quell'anno ai Conservatori dello Stato di Milano, urtato per certe mene del C. per ottenere la commenda di S. Giovanni di Cremona, concessa invece ad un suo nipote, non esitò a definirlo "domini sui neglectorem, ne dixerimus, proditorem" (Korrespondenzen und Akten..., I, p. 249).
Tuttavia egli rimaneva nelle grazie del duca di Milano, che lo utilizzò inviandolo nel settembre-ottobre 1513 presso gli Svizzeri, come oratore ducale, in un momento in cui l'influenza di costoro nel Milanese era preponderante. Nel 1514 il C., che perseverava nella sua fedeltà al duca e nella sua inimicizia nei confronti del Morone, divenne tesoriere generale. L'anno successivo, mentre la minaccia francese al ducato, nella persona di Francesco I, si rinnovava, il duca nel tentativo di organizzare in qualche modo la resistenza, lo inviò a chiedere ancora una volta l'aiuto degli Svizzeri, i quali il 13 giugno accettarono di scendere in difesa dello Sforza, dietro compenso di 300.000ducati, che il duca stava già da tempo invano tentando di mettere insieme. L'ultima notizia che si ha del C. è che in quell'occasione tornò a Milano insieme con dodici ambasciatori svizzeri, venuti verosimilmente per perfezionare l'accordo.
Non è forse avventato credere che il C., mentre il suo acerrimo nemico, il Morone, riceveva dal sovrano francese le nomine di senatore ed auditore regio, seguisse invece il duca Massimiliano nel suo esilio in Francia, dimostrando così a dispetto di tante critiche, una certa coerenza.
Fonti e Bibl.: Correspondance de l'empereur Maximilien Ier et de Marguerite d'Autriche, a cura di M. Le Glay, II, Paris 1839, pp. 157-60, 254, 262, 268; G. A. Prato, Storia di Milano, in Arch. stor. ital., III (1842), pp. 309, 327 s.; G. Morone, Lettere ed oraz. latine, a cura di D. Promis-G. Müller, in Misc. di storia ital., II (1863), pp. 259-265, 267, 274 ss., 303, 305 s., 418-21, 451 s.; M. Sanuto, Diarii, XI-XX, Venezia 1884-1887, ad Indices; L. G. Pélissier, Documents relatifs au règne de Louis XII…, Montpellier 1912, pp. 159 s.; Korrespondenzen und Akten zur Geschichte des Kardinals Matth. Schiner, a cura di A. Büchi, I, Basel 1920, pp. 220, 249 ss., 263, 271, 378; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 64; Gli offici del Comune di Milano, a cura di C. Santoro, Milano 1968, pp. 385, 409; C. Gioda, Girolamo Morone, Torino-Roma-Milano-Firenze 1887, pp. 95 s., 99, 101 s.; A. Luzio, Isabella d'Este ne' primordi…, in Arch. stor. lomb., s. 4, VI (1906), p. 455; A. Schulte, Kaiser Maximilian I. als Kandidat für den päpstlichen Stuhl, Leipzig 1906, pp. 19, 31, 33; A. Luzio, Isabella d'Este di fronte a Giulio II, in Arch. stor. lomb., s. 4, XVIII (1912), pp. 122, 444; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, p. 800; G. Franceschini, Le dominazioni sforzesche..., in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, pp. 142, 165.