COLI, Giovanni
Nacque nel 1636 a San Quirico (Lucca); fu avviato alla pittura da Sebastiano Gherardi, mediocre pittore lucchese padre di Filippo, amico e socio del C. per tutta la vita. Per quanto ne sappiamo, infatti, tutte le pitture del C. furono eseguite insieme con F. Gherardi. "Non isdegnarono - scrisse l'Orlandi nel 1704 - che l'uno lavorasse nella medesima testa, o panno, o figura dell'altro". Sino alla morte del C., nel 1681, la carriera artistica dell'uno fu intrecciata a quella dell'altro, ma non esistono le minime prove per l'affermazione di N. Dunn-Czak (1975) che fossero quasi certamente omosessuali. Per un certo periodo il C. e il Gherardi studiarono presso un altro pittore lucchese, Pietro Paolini, ma quando anche questi risultò inadeguato si trasferirono a Roma dove frequentarono la scuola di Pietro Berrettini da Cortona.
Intorno al 1662, quando essi avevano profondamente assorbito la maniera barocca del loro maestro, gli artisti si trasferirono a Venezia dove si mantenevano eseguendo copie da Tiziano e da Tintoretto. Ben presto fu loro ordinata la pala d'altare per la chiesa della colonia italiana a Lisbona (una Madonna in gloria ora dispersa), ma la prima commissione importante che ricevettero fu una serie di tele per la biblioteca che Longhena aveva progettato per i benedettini di S. Giorgio Maggiore. Il soggetto delle cinque grandi tele per il soffitto - che il C. e il Gherardi eseguirono nel 1664-65 - si riferisce alla Divina Sapienza (che è rappresentata nelle sembianze di Minerva), tema che fu deciso dall'abate ma elaborato con grande complessità da uno dei monaci, Marco Valle (due bozzetti, con Le tre Muse che sacrificano a Minerva e Mercurio che caccia i vizi e accoglie le virtù nel tempio di Minerva, sono conservati nel Museo Civico di Udine; un terzo con il Trionfo di Minerva è agli Uffizi). Negli anni tra il 1665 e il 1668 i due artisti lucchesi dipinsero anche le due grandi lunette sui portali. Queste opere giovanili sommano tutte le componenti dello stile maturo del C. e del Gherardi. Dal Berrettini derivano il vigore delle composizioni barocche, la vitalità delle figure che volteggiano agilmente, l'impatto delle diagonali che si incrociano. Da Tiziano e Veronese, ma anche da artisti di poco precedenti, come Francesco Maffei, derivano i colori altamente pittorici che d'altra parte nelle mani degli artisti lucchesi non sempre sono giustapposti in maniera armoniosa.
Nel 1669 furono chiamati a Roma da Pietro da Cortona per dipingere la cupola di S. Maria in Campitelli, ma al loro arrivo trovarono non solo che il vecchio maestro era morto, ma che avevano perso la maggior parte dei loro beni, soldi e quadri - possedevano anche dei Tintoretto e Veronese - su una nave che era stata attaccata dai pirati. Inoltre, per aggiungere le beffe al danno, non se ne fece nulla di S. Maria in Campitelli; ma i due, mettendosi sotto la protezione del cardinal Spada, riuscirono a ottenere la commissione della cupola di S. Nicola da Tolentino. L'affresco, con La gloria di s. Nicola, venne dipinto nel corso degli anni 1670-72 (Garms, 1972) e pur derivando direttamente, sia nella composizione generale sia nei dettagli, dall'affresco del Berrettini nella cupola di S. Maria in Vallicella (Cerrato, 1959, p. 162), nella sua leggerezza, ariosità e scioltezza anticipa il barocco più tardo che Baciccio adotterà nella cupola del Gesù.
Intorno al 1672 il C. e il Gherardi ritornarono a Lucca per dipingere tre tele per la chiesa di S. Tommaso in Pelleria, tele che acquistano importanza perché Trenta, nelle sue biografie dei due lucchesi (1818), fondò su di esse il tentativo di distinguere i due artisti.
Infatti, basandosi su una serie di disegni, ora perduti, dei due pittori, Trenta (1818), pur ammettendo che i due si avvicendavano nel lavoro, scrive che i due laterali, Incredulità e Martirio di s. Tommaso che sono più riccamente colorati, più pittorici e liberi, sono del C. mentre l'Immacolata più secca e lineare è del Gherardi. Gli studiosi moderni accettano l'opinione del Trenta e ritengono che tra i due sia migliore il Coli.
Di ritorno a Roma, ma sempre lavorando per committenti lucchesi, i due dipinsero, tra il 1675 e 1677, una serie di quadri nel soffitto di S. Croce dei Lucchesi: L'imperatore Eraclio che riporta a Gerusalemme la vera croce al centro; Angeli col velo della Veronica e Angeli con la s. Croce dei Lucchesi in due grandi ovali ai lati, oltre a otto piccoli triangoli con Putti con strumenti della passione.
Queste pitture sono altamente decorative e il riquadro centrale, in particolare, è di grande effetto per i colori brillanti e arditi, le masse che si snodano intorno alla croce e gli angeli gioiosi che volteggiano nell'aria. La stretta dipendenza dal Trionfo di Venezia del Veronese, nel pal. ducale a Venezia, appare chiaramente non solamente dalla composizione generale con la veduta fortemente scorciata di un grande arco fiancheggiato da colonne e una massa di figure sui gradini in basso, ma anche in singoli dettagli come il mendicante con il cane alla base delle scale o, proprio sopra a destra, il guerriero a cavallo visto di schiena.
Tra tutte le opere del C. e del Gherardi, la più conosciuta è certamente La battaglia di Lepanto in palazzo Colonna: anche per la collocazione dell'affresco, al centro della volta della grande galleria che per la vastità e per la magnificenza della decorazione è stata spesso paragonata alla galleria degli Specchi a Versailles.
In effetti il C. e il Gherardi tra il 1675 e il 1678dipinsero numerose scene della volta: ai lati della Battaglia sono Marcantonio Colonna che riceve da Pio V il comando della flotta e il Ritorno a Roma di Marcantonio Colonna; nelle altre due scene in riquadri più piccoli ai due estremi la qualità inferiore denuncia la partecipazione della bottega. La scena principale, che rappresenta la vittoria della lega sopra i Turchi nel 1571, nella Roma di un secolo dopo acquistava nuovo significato in relazione alla nuova crociata bandita da Innocenzo XI ed era considerata una allegoria della Ecclesia triumphans con tutti i suoi simboli (Enggass, 1964, p. 62). La composizione stilisticamente presenta un eccezionale intreccio di forze contrastanti così complesse e difficili da decifrare e così decisamente diverse dalle altre correnti di pittura decorativa secentesca a Roma che è forse meglio considerarla un interludio isolato, una rielaborazione manieristica dei principî del pieno barocco.
Nel 1678 il C. e il Gherardi furono richiamati a Lucca (Ridolfi, 1882, p. 194) per dipingere nell'abside del duomo la Trinità in gloria, ma l'affresco fu fornito (settembre 1681) dal solo Gherardi dopo la morte del C., avvenuta a Lucca il 24 febbr. 1681.
La leggera composizione semicircolare ripete la decorazione della cupola di S. Nicola da Tolentino, mentre la larga quadratura con l'arco ricco di finti bassorilievi a monocromo e presa direttamente dallo stesso motivo che D. Canuti e E. Haffner usarono nell'affresco della volta della chiesa dei SS. Domenico e Sisto a Roma che era stato scoperto solo tre anni prima. L'affresco del duomo di Lucca, per la tecnica relativamente secca della maggior parte delle figure e per i colori piatti a confronto di quelli di altre opere, è una ulteriore conferma che era il C. a dare il brillante tocco coloristico nelle opere dei due lucchesi.
Tra le opere perdute del Gherardi e del C. vanno menzionate le seguenti: a Venezia, cinque piccole tele allegoriche già sopra le finestre della Biblioteca di S. Giorgio Maggiore (1665-68); una Nascita della Vergine alla Salute, e una Madonna della Fava in S. Filippo Neri; ad Ascoli Piceno, la Vergine che appare a s. Francesco di Sales (dipinto per la cappella di monsignor Saladini prima del 1675); a Roma, Cristo che appare a S. Maria Maddalena de' Pazzi (1675-77 circa), per S. Crisogono; a Lucca, un affresco nella chiesa di S. Giovannetto con soggetto non specificato (circa 1678). Opere non documentate sono state attribuite al Gherardi e al C. solo nel sec. XX: Sacra famiglia con santi, Roma, Galleria Corsini; Matrimonio mistico di s. Caterina, Dresda, Gemäldegalerie; Morte di Didone, Los Angeles, County Museum; Ritrovamento di Mosè, Treviso, Museo civico; Ester e Assuero, già Berlino, coll. Schäffer, ora in collezione privata in Svizzera.
Pochi disegni sono stati identificati: nel British Museum un bellissimo e grande S. Gerolamo nel deserto; negli Uffizi lo studio per una pala di altare con la firma "Coli" sul retro, che potrebbe essere autografa; nel Kupferstichkabinett del Kunstmuseum di Basilea una Scena di sacrificio con schizzi di figure sul retro.
Fonti e Bibl.: M. Boschini, Le minere della pittura... di Venezia, Venezia 1664, p. 569; M. Valle, Pensieri morali espressi nei cinque quadri che stanno nel soffitto della Libreria nell'insegne monastero di S. Giorgio Maggiore, Venezia 1665; P. A. Orlandi Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 151 (Filippo Gherardi); V. Marchiò, Il forestiere informato di Lucca, Lucca 1721, p. 253; O. Panciroli-F. Posterla, Roma sacra e moderna, Roma 1725, p. 237; F. Titi, Descriz. delle pitture..., Roma 1763, pp. 57, 312, 335; Catalogo dei quadri e pitt. esistenti nel palazzo Colonna…, Roma 1783, p. 30; T. Trenta, Memorie e doc. per servire alla storia del ducato di Lucca, Lucca 1818, VIII, pp. 153-161; Id., Guida... di Lucca, Lucca 1820, pp. 36, 113; E. Ridolfi, Guida di Lucca, Lucca 1877, pp. 20, 25, 61; Id., L'arte di Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 60 ss., 134, 194 ss.; E. d'Alençon, La chiesa di S. Nicola de' Portis,S. Bonaventura,S. Croce de' Lucchesi. Memorie, Roma 1908, pp. 40, 121, 156; H. Voss, Kritische Bemerkungen zu Seicentisten in den römischen Galerien, in Repert. für Kunstwissenschaft, XXXIV (1911), pp. 119 ss.; Id., Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, pp. 576-580, 605; V. Moschini, Il C. e il Gherardi a S. Giorgio Maggiore, in Boll. d'arte, XXX (1937), pp. 306-318; E. Waterhouse, Baroque painting in Rome, London 1937, p. 55; A. M. Cerrato, G. C. e F. Gherardi, in Commentari, X (1959), pp. 159-169; E. Waterhouse, Italian baroque painting, London 1962, p. 70; L. Menegazzi, Il Museo civico di Treviso, Venezia 1913, p. 83; F. Haskell, Patrons and Painters, London 1963, p. 156; R. Enggass, The painting of Baciccio, University Park 1964, pp. 62 s.; U. Vichi, S. Croce de' Lucchesi in Roma, Roma 1964, pp. 44 s.; R. Wittkower, Art and architecture in Italy,1600-1750, Harmondsworth 1965, pp. 219, 220, 226, 372, 374; M. Gloton, Trompe-l'oeil et décor plafonnant dans les églises romaines, Roma 1965, pp. 14, 17, 28, 53, 61, 117, 123, 125, 152; V. Golzio, Seicento e Settecento, Torino 1968, I, pp. 645, 646, 648; T. Poensgen, Die Deckenmalerei in italien. Kirchen, Berlin 1969, p. 26; J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria Pamphili zur Kunsttätigkeit in Rom unter Innocenzo X, Roma-Vienna 1972, nn. 93, 353; C. Baracchini - A. Caleca, Il duomo di Lucca, Lucca 1973, pp. 55, 56, 61; N. Dunn Czak, C. and Gherardi,two little-known Painters of the Roman Baroque, in Apollo, CII (1975), pp. 110-114; U. Mertz, Der Bilderzyklus in der Bibliothek des Klosters S. Giorgio Maggiore in Venedig, Venezia 1975; F. Zeri, Un L. Orsi trasformato in Correggio,ovvero un archetipo della perizia commerciale, in Diari di lavoro, II, Torino 1976, p. 124 (nel 1679 il C. è tra i firmatari della perizia); N. Ivanoff, La decoraz. della Biblioteca di S. Giorgio Maggiore, in G. Ravegnani, Le biblioteche del monastero di S. Giorgio Maggiore, Firenze 1976, pp. 101-113; E. Waterhouse, Roman Baroque painting, London 1976, p. 67; M. Natale, Venezian. Kunst in der Schweiz und in Liechtenstein (catal.), Venezia 1978, n. 99, p. 138; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 200.