CITTADELLA, Giovanni
Nato a Padova il 7 marzo 1806 dal conte Francesco e da Lucia Raspi, ricevette un'ottima educazione classica sotto la guida dell'abate Nodari, docente di latino nel locale seminario; nella residenza paterna di Onara, dove ereditò una vasta e fertile tenuta, ebbe per amico negli anni della fanciullezza un altro latinista, B. Trento, traduttore delle Georgiche. Come molti esponenti del patriziato padovano negli anni della Restaurazione si accostò agli ambienti liberali e formò i suoi ideali di indipendenza e unità nazionale sulle pagine di alcuni tra i più noti storici e politici del Piemonte albertino, tra cui una particolare influenza esercitò C. Balbo con la sua teoria della monarchia rappresentativa. Cattolico convinto e praticante, non sentì mai la fede religiosa nemica del civile progresso, delle libertà politiche e degli ideali patriottici, che peraltro fece propri con una moderazione e un gradualismo reputati eccessivi da molti suoi concittadini.
Allo scoppio della rivoluzione del 1848 venne nominato membro della Consulta straordinaria di Padova (25 febbraio) e successivamente inviato dal Manin insieme al Benvenuti al campo di Carlo Alberto a Bozzolo per concordare con lo Stato Maggiore l'ulteriore avanzata dell'esercito piemontese; la missione si concluse in un completo fallimento per il reciso rifiuto del re di accelerare le operazioni militari fino a quando a Venezia i "fusionisti" guidati da Castelli e Paleocapa non avessero imposto l'immediata annessione del Veneto alla Lombardia e al Piemonte.
Ritornati gli Austriaci il C., per evitare contrasti con le autorità, si'chiuse in un lungo e fecondo isolamento di studi, ponendo le basi di quella vasta esplorazione archivistica e bibliografica su cui costruì negli anni seguenti le sue più fortunate opere storiche. Sin dal 1842 era stato nominato membro effettivo dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti; radiato nel 1854 assieme al Pasini, fu successivamente riammesso nel 1857, nell'ambito di un ampio e articolato tentativo del governo austriaco di riconciliarsi Con alcuni settori della classe dirigente e del mondo accademico-culturale. Nonostante qualche riserva (C. Leoni, nell'aprile del 1853, gli rimproverava nel suo diario Segreto di aver collaborato alla colletta per il tempio votivo per la salvezza dell'imperatore), il C. mantenne per tutti gli anni del dominio austriaco un contegno di fiera e dignitosa opposizione e offrì tra l'altro un prezioso apporto di mezzi e di idee al Comitato segreto presieduto da F. Coletti. Nel 1860 per incarico dell'emigrazione veneta stese per il Cavour una relazione, intitolata Uno sguardo sulle condizioni delle Provincie Venete, che illustrava il pessimo governo del Veneto da parte dell'Austria; attivo organizzatore dei soccorsi ai feriti nelle battaglie di S. Martino e Solferino, fu anche tra i principali promotori della Società di cultura e incoraggiamento di Padova. Alla vigilia dell'annessione del Veneto all'Italia, il 16 luglio 1866, venne aggregato alla giunta municipale della città, e nel dicembre di quello stesso anno nominato senatore del Regno.
Pressoché nulla è la sua attività politica negli anni successivi che lo vedono invece operoso e infaticabile studioso della storia d'Italia e soprattutto della città di Padova, cui dedicò numerose e apprezzate ricerche. Già nel 1839, in occasione di nozze, pubblicò un bel saggio su Ilcastello di Cittadella. Cenni storici (Padova 1839), corredato di un vasto sussidio erudito, cui fece seguire, nel 1842, un accurato profilo di alcune località padovane inserito nella Guida di Padova e della sua provincia offerta agli scienziati italiani riuniti per il loro IV congresso nazionale. La scelta dell'età carrarese come materia del suo primo e più fortunato impegno storiografico obbediva ad interessi ed impulsi culturali già tipici della seconda metà del '700, quando anche a Padova, come in altre città della terraferma veneta, la progrediente disintegrazione politica ed economica del dominio veneziano si riflette e traduce in un vivace municipalismo e revisionismo erudito.
La rivendicazione dell'onore e della gloria dell'illustre famiglia da Carrara, che già aveva ispirato negli anni della caduta di Venezia le pagine risentite e polemiche di Pietro Ceoldo, è il filo conduttore dei due volumi sulla Storia della dominazione carrarese in Padova (Padova 1842), che mirano a difendere i Carraresi dalle accuse postume degli storici veneziani e ad esaltarne, spesso con palese parzialità, il ruolo nelle vicende italiane del '400, sino a presentarli come i principali artefici di un'opera di incivilimento che dalle "tenebre dell'antecedente barbarie" guida "il cammino per cui poscia si mise a grandi passi la umana famiglia, nel giovare insieme cogli altri principi fratelli di nazione allo sviluppo dei germi primi donde rampollò l'italica civiltà, maestra e legislatrice a quella di tutta l'Europa" (II, p. 558). L'opera si snoda in accurato ordine cronologico dal 1310 al 1435, quando Marsilio da Carrara, fallito un ultimo disperato tentativo di restaurare il suo potere a Padova, viene decapitato per ordine del Consiglio dei dieci e cede quindi definitivamente al dominio e al diritto del più forte; alla narrazione ampia e dettagliata delle vicende politiche e militari il C. affianca densi capitoli sulle finanze, l'agricoltura, le arti, il commercio e la popolazione, attingendo largamente da una messe di fonti edite ed inedite forse sin troppo ricca e non sempre selezionata per esattezza e valore. Particolare influenza sull'impianto e l'articolazione del lavoro, oltre ovviamente agli storici locali e alle grandi opere del Muratori e del Verci, esercita il volume del Cibrario (Della economia politica del Medio Evo, Torino 1839) da cui il C. attinge soprattutto lo spiccato interesse per il quadro economico-sociale.
La crescente partecipazione del C. agli ideali del Risorgimento orientò in senso spiccatamente nazionale i suoi successivi studi storici e li trasformò in vibranti strumenti di battaglia politica. Osserva acutamente il De Leva nel 1886, commemorandone la vita e le opere, che il C. "si affacciò alla storia non con lo sguardo freddo dell'indagatore, ma con l'entusiasmo e la passione del patriota che chiedeva a cotesta, come la chiamava Cicerone, maestra della vita, fatti e personaggi da far rivivere sotto gli occhi de' suoi contemporanei per agitarli e infiammarli". L'Italia di Dante, pubblicata a Padova nel 1865, è già su questa linea di teso e ingombrante finalismo patriottico e si risolve in una appassionata e polemica rivendicazione dell'italianità del poeta, sostenitore sì di un Impero, ma diverso da quello antico dei Romani, che conculcava le libertà nazionali dei popoli, e anche da quello di Carlo Magno, e che doveva invece avere sede in Roma ed essere guidato da "un monarca, che alle altre condizioni di futura italianità congiungesse il principio della soprastanza laica di fronte all'autorità ecclesiastica nelle ragioni del tempo" (p. 31).
Anche in altri scritti minori, come i Pensieri intorno alla lega lombarda (Padova 1874) e Petrarca a Padova e ad Arquà (in Padova a Francesco Petrarca nel quinto centenario della sua morte, Padova 1874, pp. 15-76), il C. alternò lo studio attento e amoroso della sua terra natale ad un elevato impegno civile che affondava nella storia medievale e moderna le idealità patriottiche del Risorgimento. Coronamento di questo suo appassionato modo di far storia all'ombra degli ideali liberali sono i due volumi de L'Italia nelle sue discordie. Studij storici (Padova 1878), un amplissimo profilo degli avvenimenti italiani dalle antiche origini preromane sino alla recente Unità; il filo conduttore è l'"unità" etnica, culturale e civile di un popolo e di una nazione cui solo una serie di sfortunati eventi storici ha sottratto sino al secolo XIX l'identità politica nell'ambito dell'Europa delle nazioni. E già nella sua Proposta di un lavoro che avrebbe per titolo storia d'Italia considerata nelle cause che ne ritardarono l'unità politica, letta nell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova l'11 marzo 1866, il C. anticipava l'ideale politico rigorosamente monarchico e fieramente antidemocratico che pone come linea interpretativa del suo rapido excursus su quasi venti secoli di storia italiana.
La mancanza di una "monarchia nazionale" è la causa principale dei dissidi italiani e della mancata unità della penisola dopo la caduta dell'Impero romano; ma anche nel particolarismo dell'Italia preromana e nell'ostinato conservatorismo antitaliano dei ceti nobiliari romani legati a Silla il C. rinviene una delle cause lontane del frazionamento politico della penisola, nonostante i generosi tentativi del Gracchi di "volgere il pensiero anche all'Italia" e di suscitare nobili fiamme di "onesto italico sentimento" (I, p. 31). L'ottica tutta "risorgimentale" di questa ricostruzione storica esalta Cesare, che accordando la cittadinanza romana a tutti i popoli fra l'Alpe e il Po bene merita "della sua vera patria, l'Italia", ma condanna aspramente l'Impero romano, monarchia multinazionale, "un complesso d'invasioni, una violenza contro natura, che, come tutte le simili, doveva prestq o tardi cadere" (I, pp. 38, 43). L'"individualismo", funesto nemico degli ideali unitari, già vivacissimo nell'Italia preunitaria, viene fecondato in età medievale dai conquistatori nordici e segna tutta la storia dell'età di mezzo, in un convulso alternarsi di lotte fratricide in cui rischia di smarrirsi definitivamente la coscienza dell'unità etnica e spirituale dell'Italia. L'età moderna non merita, secondo il C., nessun particolare interesse perché vi si intravede solo un'Italia "politicamente passiva"; lo storico della civiltà vi può indagare lo sviluppo delle scienze, lettere, belle arti, industrie, commerci, "ma l'insofferente della schiavitù nazionale non vi ode che il rumore dffie catene anche tra il fremito delle guerre. Quei secoli sono per lui una sterile landa, che presenta appena qualche gracile fiore in breve d'ora avvizzito" (II, p. 338). La narrazione del C., ampia e distesa sino alla fine del '700, si fa nervosa e concisa dopo il 1797, in cui inizia l'"aurora del riscotimento d'Italia", per diventare addirittura telegrafica negli anni successivi che dal Regno italico, prima fonte del sentimento di nazionalità, alle "tenebre" del restaurato dominio austriaco, vedono l'Italia raggiungere la sospirata unità intorno alla casa Savoia, la vera "monarchia nazionale" garante dei liberi ordinamenti dello Stato contro le inutili e pericolose fantasie repubblicane e democratiche.
Il C. fu parecchio deluso dell'insuccesso di questo suo libro cui aveva dedicato alcuni degli anni migliori della sua vita di senatore; in effetti l'opera è pesante, retorica e gravata di un eccessivo spirito patriottico, e risulta più una calda testimonianza dei suoi ideali liberali e unitari che un'autentica ricerca storica.
Il C. morì a Padova il 21 dic. 1884.
Fonti e Bibl.: G. Barbera, Mem. di un editore, Firenze 1930, pp. 107, 112 n.; La Repubblica Veneta nel 1848-49, I, I documenti diplomatici, a cura di R. Cessi, Padova 1949, pp. 7, 21-29, C. Leoni, Cronaca segreta de' miei tempi, a cura di G. Toffanin, Padova 1976, passim; L. Scarabelli, rec. alla Storia della domin. carrarese in Padova, in Arch. stor. ital., III (1846), App., pp. 385 ss.; Il conte G. C., Padova 1885; G. Zanella, Comm. del membro effettivo co. G. C., in Atti del R. Istituto veneto di sc., lett. ed arti, s. 6, V (1886-1887), pp. 483-494; G. De Leva, Della vita e delle operedel conte G. C., in Atti e mem. d. R. Acc. di sc., lettere ed arti in Padova, n.s., CCLXXXVIII (1886-1887), 3, pp. 233-249; G. Solitro, La "Società di cultura e di incoraggiamento" in Padovanel suo primo centenario, Padova 1930, passim; R. Cessi, Carlo Alberto,Venezia e il problemadella fusione nel 1848, in Arch. veneto, s. 5, LII-LIII (1958), pp. 49-52; Diz. del Risorg. naz., II, p. 704.