CISTERNI, Giovanni
Nacque a Rimini nel 1775da Cristoforo e da Maria Cipriotti. I cronisti riminesi Nicola e Filippo Giangi, che, praticando la mercatura come il C., lo citano di frequente, ne parlano come di un personaggio all'origine "miserabile artista e giovane di botega" (F. Giangi, Cronaca di Rimino,sub anno 1822, 3 luglio, p. 158). La sua ascesa sociale fu dovuta, oltre che alla sua intraprendenza, al matrimonio con Antonia Manzoni di Forlì, appartenente a famiglia dedita da tempo ai traffici e titolare di un piccolo banco, con l'aiuto della quale costituì ad Ancona, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, una casa di commercio. Fu durante l'offensiva napoleonica della primavera-estate del 1800che il C., sfruttando la doppia residenza ad Ancona e a Rimini, accrebbe enormemente la sua fortuna attraverso forniture alle truppe francesi, che stavano rioccupando l'Italia centrosettentrionale.
Con le fedi di credito, avutene in cambio, comprò a vil prezzo terreni e fabbricati degli Ordini religiosi soppressi, tra cui il monastero di S. Maria Annunciata degli olivetani, situato sul colle di Covignano nei pressi di Rimini, che egli demolì per venderne, come materiale decorativo e da costruzione, lo spoglio e la risulta della demolizione, suscitando lo scandalo dei contemporanei (M. Zanotti, Giornale di Rimino,sub anno 1802, maggio, pp. 91-94).
Nel periodo della Repubblica italiana fece una breve apparizione anche sulla scena politica: nel 1802 fu designato componente del Collegio elettorale riminese dei commercianti (M. Zanotti, cit., sub anno 1802, febbr., p. 44), a rappresentare i quali, nel maggio di quell'anno, si recò a Brescia per eleggere i deputati ai seggi vacanti nel Corpo legislativo (G. C. Mengozzi, Figure e vicende del Risorgimento, in Storia di Rimini dal 1800ai nostri giorni, Rimini 1978, I, p. 63). Negli anni del Regno italico preferì, invece, non esporsi troppo politicamente e ricoprire cariche nell'amministrazione finanziaria: dal 1808 al 1814fu in Ancona cassiere della direzione del Demanio e diritti uniti e ricevitore generale dell'Ufficio del registro dei dipartimenti del Metauro, Musone e Tronto (C. Albertini, Storia d'Ancona, II, ff. 134v, 135v).
Intanto l'assorbimento del Regno di Napoli nella sfera diretta dell'influenza politica francese nel febbraio 1806 e la conseguente fuga di Ferdinando di Borbone in Sicilia, in permanente stato di ostilità con la Francia e sotto la protezione dell'Inghilterra, avevano causato, sul mercato controllato dai Francesi, una grave carenza di zolfo, materia prima indispensabile nella fabbricazione non solo della polvere pirica, ma anche dell'acido solforico, richiesto dai vari settori industriali, soprattutto da quello tessile. Fu in questo periodo che si assistette ad un rilancio dello zolfo marchigiano e romagnolo, rilancio favorito dal regio decreto del 9 ag. 1808, che accordava facilitazioni per lo sfruttamento delle miniere anche contro le difficoltà opposte dai proprietari.
Nel 1810 il C. ottenne diverse concessioni per lo scavo di terreni zolfiferi ed acquistò, insieme a Domenico Manzoni, dalla famiglia Masi di Perticara il possesso e i diritti di un'antica miniera denominata Pozzo Pupi. Fu presumibilmente grazie alle benemerenze acquisite come fornitore di zolfo del governo italico che ebbe il titolo comitale, e, all'atto dell'occupazione di Ancona da parte delle truppe austriache (giugno 1814) vantava uno dei più cospicui patrimoni della città adriatica, tanto che le truppe occupanti gl'imposero un prestito forzoso di 6.000 lire (A. Leoni, Ancona illustrata, Ancona 1832, II, p. 420).
Dopo la restaurazione il C. si presentava possessore delle miniere di Perticara, Marazzana e Formignano, situate tra il Montefeltro e la Romagna, senza averne, tuttavia, la proprietà piena ed assoluta, in quanto sopra tutte le miniere e le cave dello Stato pontificio rivendicava l'alto dominio la Reverenda Camera apostolica. La ricomparsa, però, in questi anni dello zolfo siciliano, a prezzi incredibilmente bassi, sul mercato internazionale, costrinse il C. ad una grande ristrutturazione delle sue miniere e ad economie di scala al fine di aumentarne la produttività unitaria e sostenerne la concorrenzialità. Nel 1822, inoltre, costruì sul molo del porto di Rimini una raffineria di zolfo, che, pare, non avesse eguali in Italia per la modernità dei macchinari e per la tecnica di raffinazione adottata.
L'ammirazione dei contemporanei per la audacia imprenditoriale del C. fu unanime e già una relazione, datata al 28 ott. 1824 e firmata dalla magistratura riminese (Filippo Battaglini, Daniele Felici, Giuseppe Bornacini e Andrea Menghi), metteva in risalto l'enorme aumento della produzione delle tre miniere (da 10 mila a 750 mila libbre annue) ottenuto mediante la costruzione di fornaci di fusione capaci di minor consumo di combustibile a resa costante, l'introduzione di una macchina di estrazione dello zolfo dal pozzo mossa da cavalli, "il trasporto dei secchioni dall'una all'altra delle inferiori gallerie fino al pozzo della suprema [a mezzo] degli uomini che, collocati a brevissima distanza gli uni dagli altri, se li passavano con una misurata rapidità e senza interruzione reciprocamente fino ad assicurarli al canape della macchina,) (Archivio di Stato di Roma, Statistica,Legazione di Forlì,Comune di Rimini,Memoria relativa alla statistica industriale e manifatturiera richiesta dal Governo). Grazie ai lavori eseguiti per evitare gli allagamenti e per una migliore aerazione, per la prima volta l'attività in miniera non subiva la sospensione estiva ed il personale impiegato assommava ad oltre cinquecento unità.
I più cospicui profitti, tuttavia, il C. realizzò grazie a premi di esportazione abbastanza consistenti (dall'8 al 15 e 1/2%, del fatturato) concessigli dal governo pontificio tra il 1828 e il 1830, e, dopo la sospensione di questi, fu in grado di mantenere attive le miniere e la raffineria per via dei prestiti accordatigli dal banchiere israelita riminese E. Foligno, col quale aveva costituito un'accomandita. Nel 1835 eresse una fabbrica di acidi, il cui andamento, contrariamente a quello degli altri settori, si rivelò sempre abbastanza florido.
Nel 1837, dopo l'arresto delle operazioni commerciali provocato dalla diffusione dell'epidernia di colera, il C. non fu in grado di osservare gli obblighi finanziari contratti col Foligno e sospese ogni attività nelle miniere e nella raffineria. L'intervento, però, di operatori economici francesi nel mercato dello zolfo siciliano ed il successivo contratto stipulato dalla compagnia Taix-Aymard & C. con il governo borbonico nel luglio 1838, eliminando gl'incettatori inglesi dello zolfo siciliano e programmandone la produzione alla domanda del mercato, aprirono allettanti prospettive di rialzo di quell'importante prodotto e attirarono sulle miniere del C. l'interesse di speculatori francesi (Augustine Picard, Charles Pothier ed altri), che ne richiesero l'acquisto. Ma, avendo la Reverenda Camera apostolica impedito ogni contratto di compravendita, il C. fu costretto a ripiegare sopra un'accomandita (rogito del notaio capitolino Domenico De Santis in data 13 ott. 1838) con il Picard e il Pothier, nella quale immetteva in società miniere e raffineria contro 700.000 franchi necessari a pagare i debiti contratti. La rescissione, però, nel luglio 1840 del contratto Taix-Aymard & C., imposta al governo borbonico dalla Gran Bretagna sotto la minaccia dei cannoni della sua flotta da guerra del Mediterraneo, portò al fallimento anche l'accomandita costituita dai soci francesi col C., il quale, solo dopo una lunga sequela di vertenze giudiziarie, riuscì a recuperare miniere e raffineria, che cedette nel febbraio 1844 ad una società bolognese (la pregiudiziale della Reverenda Camera apostolica era che ogni cessione doveva essere fatta a sudditi pontifici). Negli ultimi anni della sua vita s'interessò soltanto all'andamento della sua fabbrica di acidi, che affidò alle cure del bolognese Angelo Legnani, col quale costituì un'accomandita nel marzo 1846.
Il C. morì a Roma il 9 marzo 1853.
Il C. fu anche console generale di Danimarca ad Ancona dal 1818 al 1850, anno in cui, costretto alle dimissioni, fu insignito dal sovrano danese del titolo di cavaliere di Danneberg di terza classe (Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, rubrica 220, anno 1850, fasc. 3, ff. 67-68), membro delle Camere di commercio di Ancona e di Rimini, giudice del Tribunale di commercio di Rimini, nel 1851 consigliere municipale e anziano nella magistratura comunale riminese (per quest'ultima notizia, vedi L. Tonini, Diario 1843-1874,sub anno 1851, 19 maggio e 16 giugno). La sua morte fu seguita da quella del figlio Alessandro, unico erede maschio, avvenuta a Parigi il 9 ott. 1853. Delle cinque figlie, Leonilde sposò un figlio di Francesco Milesi Ferretti, patrizio anconitano, e di Laura Strina riminese; Carlotta il conte Sallustio Ferrari Banditi riminese; Adelaide il conte Francesco Graziani riminese; Emilia il nobiluomo Giuseppe Agnelli, nativo di Urbino ma ferrarese di adozione (vedi la voce scritta da C. Zaghi, in Diz. Biogr. degli Italiani, I, p. 422); Enrica il cittadino francese Nicolas Micard.
Fonti e Bibl.: Necrologio di G. C., in Giornale di Roma, n. 65, 22 marzo 1853 (rist. anche a parte in opuscolo); le opere cit. di Nicola e Filippo Giangi, dello Zanotti e del Tonini si trovano manoscritte nella Bibl. Civica Gambalunga di Rimini; quella dell'Albertini nella Bibl. comunale Benincasa di Ancona. Oltre alle fonti e alla bibl. indicate nel corpo della voce e in M. Fatica, Nicolas Micard nel quadro delle operaz. econom. e politiche francesi nello Stato pontificionell'età di Gregorio XVI e di Pio IX, in Annuariodell'Istituto stor. italiano per l'età moderna e contemp., XXI-XXII, Roma 1973, pp. 5-104, cfr.: Esposizione storica dei fatti passati fra i sigg. conte G. C. ed il suo erede e il sig. Angelo Legnami di Bologna, Prato 1860; Atti del Comitatod'inchiesta industriale, IX, Relazioni delle Cameredi commercio, II, Roma 1873, pp. 93 s.; C. Tonini, Compendio della storia di Rimini dalle origini al1861, I-II, Rimini 1896, ad Indicem; M. Battistelli, Le miniere di zolfo del Santagatese, in Studimontefeltrani, III, San Leo 1975, pp. 35-64; N. Matteini, Rimini negli ultimi due secoli, I, Rimini 1977, ad Indicem; G. Porisini, Nascita di unaeconomia balneare(1815-1914), in Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, II, Rimini 1977, ad Indicem.