CIMA, Giovanni
Figlio di Benuttino, signore di Cingoli e senatore di Roma, e di Ambrosina di Giovanni conte dell'Anguillara, successe al padre, morto nel 1400, nel vicariato della città marchigiana. Seguendo la tradizione patema, si mise al servizio del pontefice romano, Innocenzo VII. Alla morte di quest'ultimo, il C. si mise al servizio del papa Gregorio XII, suo successore di nomina romana, e da lui fu insignito della Rosa d'oro, l'alta onorificenza papale che era stata elargita anche al padre Benuttino. Nel 1407 Gregorio XII lo nominò senatore di Roma. Ma il C. poté esercitare la carica solamente per due mesi; la situazione romana era infatti particolarmente instabile per la scomoda presenza nel Lazio di Ladislao e per le tensioni provocate dallo scisma. Nel brevissimo periodo in cui poté esercitare la carica, il C. confermò gli statuti dei merciai e dei pescivendoli e condannò a morte Galeotto dei Normandi, accusato di tradimento.
Sempre nel 1407 Gregorio XII lasciò Roma e si rifugiò a Viterbo: qui lo seguì anche il C. che rinunciò alla carica di senatore.
A Viterbo lo colse la notizia della morte del figlio Giovambattista, rimasto a Cingoli per tenervi il vicariato. Il C. tornò allora in patria, trovando la Marca di Ancona in agitazione, perché l'antico rettore Ludovico Migliorati, nipote del deflinto Innocenzo VII, non voleva cedere l'incarico al vescovo di Montefeltro, destinato a succedergli. Ladislao istigava e sosteneva il Migliorati, mentre il legittimo successore era appoggiato da Braccio Fortebracci da Montone. Il C. si fece mediatore tra le due parti e riuscì a far recedere il Migliorati dalla sua ostinata posizione.
Braccio da Montone aveva però occupato il castello di Apiro, antico feudo dei Cima, per scacciarne le milizie merceùarie di Martino da Faenza, da lui assoldate al tempo del conflitto per il rettorato della Marca, che erano poi passate al servizio della famiglia degli Smeducci, sostenitrice del Migliorati. Il C., Volendo recuperare il castello che spettava alla sua famiglia, preferi venire a patti con Braccio da Montone piuttosto che affrontarlo in una guerra che di sicuro avrebbe perso. Si venne all'accordo che il castello sarebbe stato riconsegnato al C., dietro pagamento di 5.000 fiorini d'oro. Ma, versata la cifra, non fidandosi di Braccio, il C. fece presidiare Apiro dalle stesse milizie di Martino da Faenza. Braccio da Montone attaccò allora Cingoli, sconfisse il C. e mise al governo della città Anselmo Montemilino.
Nel frattempo gli Smeducci, approfittando della guerra in atto tra il C. e Braccio da Montone, avevano ripreso il castello di Apiro. Il C. si riconciliò allora con il suo avversario, riottenendo il governo di Cingoli e rassicurazione di aiuti per riprendere il conteso castello; nel 1408 finalmente riuscì a rientrarne in possesso, ma dovette sostenere ancora per quattro anni una logorante guerriglia con gli Smeducci.
Nel 1412, costretto a reprimere ima ribellione dei suoi vassalli del castello dello Staffolo, rinunciò definitivamente al castello di Apiro, che fu consegnato ad Antonio Smeducci. Nel 1413 il C. ricevette dall'antipapa Giovanni XXIII la conferma di tutti i privilegi concessigli dagli altri pontefici. Pochi anni dopo si concludeva a Costanza lo scisma di Occidente con l'elezione pontificia di Martino V. Il nuovo papa confermò, probabilmente all'inizio del 1419, il vicariato di Cingoli al C. e il 24 maggio dello stesso anno gli concesse una riduzione della tallia da lui dovuta, portandola a 450 fiorini. Sempre nel maggio il C. versò alla Camera apostolica il censo di 50 fiorini per l'anno in corso e gli arretrati per gli anni precedenti.
Il C. morì nel 1422 o nel 1421, sembra ucciso dalla seconda moglie, Rengarda Brancaleoni. Lasciò una sola figlia, Francesca, ultima discendente dei Cima. Alla sua morte Cingoli fu nuovamente occupata da Braccio da Montone che la governò mediante Anselmo Montemelino. Nel 1424 il crollo dello Stato braccesco oinvolse anche la città marchigiana che passò al governo diretto della Chiesa.
Fonti e Bibl.: A. Theiner, Codex diplom. domimi temporalis S. Sedis, III, Romae 1862, p. 151; O. Avicenna, Mem. della città di Cingoli, Jesi 1644, pp. 176, 187, 190 s.; G. Baldassini, Mem. istor. dell'antichissima e regia città di Jesi, Jesi 1762, pp. 120 s.; A. Vendettini, Serie cronol. de' senatori di Roma, Roma 1778, p. 69; D. M. Manni, Osservaz. stor. sopra i sigilli antichi, IV, Firenze 1790, p. 23; A. Vitale, Storia diplomatica de' senatori di Roma, II, Roma 1791, p. 376; E. Stevenson, Statuti delle arti dei merciai e della lana di Roma, Roma 1893, p. 50; E. Colini Baldeschi, Signorie e vicariati nella Marca di Ancona, in Atti e mem. della R. Deput. di storia patria per le Marche, s. 4, I (1925), pp. 51-55; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, II, Roma 1935, p. 159; P. Partner, The Papal Stato under Martin V, London 1958, pp. 48 e n. 4, 83 n. 1; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Cima di Cingoli, tav. II.