GIOVANNI Cieco da Parma
Nato a Parma (e non a Firenze come sostennero Rua, Flamini e Rossi), fu poeta improvvisatore e cantastorie attivo nella seconda metà del XV secolo.
Assai scarse sono le notizie relative alla sua vita. Alla sua cecità G. deve il nome. Come molti altri letterati parmensi a lui coevi, egli operò lontano dalla sua città natale, sprovvista di una vera corte e di un ben organizzato Studio, preferendo migrare verso terre più generose e ospitali. Stando a quanto egli stesso dichiara nei suoi versi, viaggiò molto, spingendosi sino a Creta, a Cipro, in Siria e in Egitto. Di certo soggiornò in varie corti italiane del tempo, tra cui quelle degli Estensi e dei Gonzaga. Insieme con un altro cieco canterino, noto come il Cieco da Ferrara (Francesco Cieco da Ferrara), fu ospite del duca Ercole I d'Este, come testimoniano documenti dell'Archivio ferrarese relativi a elargizioni e donativi in suo favore. Sulla base dello studio di tali atti, il Bertoni ha datato la permanenza di G. a Ferrara al decennio compreso tra il 1468 e il 1478. Nel 1468 Sforza Maria Sforza, terzogenito del duca di Milano Francesco Sforza, ne apprezzò le doti d'improvvisatore in occasione di un banchetto offerto in suo onore dal duca Ercole.
Autore di medio livello, non eccelso né originale imitatore del Petrarca, dotato di una discreta cultura umanistica, G. si distinse per la sua vena estemporanea. Non è stata ancora approntata un'edizione completa delle sue rime che, composte in lode di personaggi non trascurabili dell'epoca, sono ancora per lo più affidate a diversi manoscritti miscellanei (l'elenco in A. Ceruti Burgio, p. 6). Tra i signori da lui celebrati troviamo il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, presso la cui residenza mantovana egli si trattenne per un certo periodo, probabilmente nei primi tempi del suo governo, protrattosi dal 1484 al 1519. Francesco è descritto come depositario di ogni qualità, egregio erede delle virtù avite, ma anche fine e munifico mecenate, capace di fare di Mantova una nuova Tebe. Talora G. allude anche ai genitori del Gonzaga, Federico e Margherita di Wittelsbach, orgogliosi del figlio, e ne loda la moglie Isabella d'Este ("bella aurora"). In un componimento ("El tempo più d'ogni altra cosa vola") G. dà la parola a uno dei cani prediletti da Francesco, grande appassionato di armi e di caccia. L'animale, ormai avanti negli anni, dimostra di non desiderare altro che di essere nutrito e protetto dal suo padrone in cambio di tanti anni di fedele servizio. Un altro ciclo di componimenti è da G. indirizzato a Dorotea Gonzaga, scomparsa a soli diciotto anni nel 1467. Figlia del marchese Ludovico, avrebbe dovuto sposare, al posto di sua sorella Susanna, Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1466 al 1476), se questi non l'avesse rifiutata dopo averla ferita e oltraggiata con allusioni malevole al suo stato di salute. G. cantò inoltre una Lucrezia, talora dichiarandosene innamorato. Tra le identificazioni possibili sono state proposte quella con Lucrezia d'Este, figlia illegittima di Ercole I, e quella con la ben più nota Lucrezia Borgia, figlia naturale di papa Alessandro VI. Merita ancora di essere ricordato il capitolo in morte di Mario Filelfo (figlio del più famoso Francesco) defunto a Mantova nel 1480, in cui l'estinto è presentato come un profondo conoscitore di ogni branca del sapere, non indegno del confronto con Cicerone, Cleante e Senofonte.
La data di morte di G. è ignota; a collocarla presuntivamente agli ultimi anni del XV secolo o ai primi del XVI contribuiscono i citati rapporti con il duca Francesco II Gonzaga.
Fonti e Bibl.: I. Affò, Scrittori parmigiani, III, Parma 1791, p. 58; Id. - A. Pezzana, Continuazione delle memorie degli scrittori e letterati parmigiani, V, Parma 1825-33, pp. 344-346; G. Rua, Postille su tre poeti ciechi, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XI (1888), pp. 294-298; F. Flamini, Nozze Cian - Sappa-Flandinet, Bergamo 1894; G. Rossi, Il codice estense X.*.34, ibid., XXX (1897), pp. 9-11, 14, 29 s.; G. Bertoni, Il Cieco di Ferrara e altri improvvisatori alla corte d'Este, ibid., XCIV (1929), pp. 272-274; M. Catalano, Vita di L. Ariosto, I, Genova 1930, p. 262; G. Bertoni, G. C. da P. a Ferrara, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XCIV (1931), pp. 378 s.; A. Ceruti Burgio, Per una edizione delle poesie di G. C. Parmense, in Aurea Parma, LXVII (1983), pp. 3-14; Id., Francesco II Gonzaga, Isabella d'Este e altri personaggi storici della poesia di G. C., ibid., LXIX (1985), pp. 147-156; A. Tissoni Benvenuti, Alcune considerazioni su Parma e i letterati parmensi nel XV secolo, in Parma e l'umanesimo italiano, a cura di P. Medioli Masotti, Padova 1986, pp. 121, 132; M. Perugini, G. Orbo, in Letteratura italiana (Einaudi), diretta da A. Asor Rosa, Gli autori, I, Torino 1990, p. 912; A. Ceruti Burgio, La pittura di Giulio Romano e la poesia del suo tempo (echi e motivi da G. C.…), in Parma rinascimentale e ducale…, s.l. 1996, pp. 63-72.