CERRINA FERONI, Giovanni
Nacque a Firenze il 18 luglio 1866, primogenito del marchese Costantino e di Giulia Feroni, ed entrò in marina all'età di quindici anni. Distintosi durante il corso per allievi ufficiali, s'imbarcò prima sulla nave "Barbarigo" e poi sulla "Staffetta", partecipando, tra il 1888 e il 1889, alle operazioni intese a rafforzare le posizioni italiane sulla costa eritrea. Con il grado di capitano di corvetta, diresse la crociera della "Barbarigo", prima in Mar Rosso e poi nell'Oceano Indiano; si andavano frattanto precisando, nelle lunghe navigazioni, i suoi interessi per le questioni connesse all'amministrazione coloniale e ai rilievi geografici e idrografici. Partecipò nel 1905 al congresso coloniale svoltosi all'Asmara, e nel gennaio del 1906 venne nominato reggente il governo del Benadir - che tenne poco piú di un anno - con il compito di consolidare la precaria occupazione, limitata allora alla sola costa.
Si occupò subito e con grande energia dell'andamento e dello sviluppo della colonia e, nel marzo dello stesso anno, presentò al ministero degli Esteri una dettagliata relazione sulle condizioni economiche e sociali del paese. Venivano richiesti mezzi per la penetrazione all'interno, dove si sarebbero potute creare vaste risorse mediante l'irrigazione e la coltivazione razionale di foraggi, cotone e semi oleosi, e veniva sottolineata la necessità di arrivare ad una sollecita definizione dei confini con l'Etiopia meridionale, per evitare le frequenti scorrerie degli Abissini. Nel rapporto, che permette di mettere a fuoco le idee di politica coloniale del C., piuttosto aperte ma anche un poco paternalistiche, si dichiarava convinto della necessità di uno sviluppo economico del territorio in grado di promuovere, prima ancora che l'arricchimento della metropoli, il maggior benessere della popolazione indigena; questo benessere avrebbe reso più facile la penetrazione e l'occupazione con mezzi pacifici. Non poté tuttavia realizzare le sue intenzioni, e per la brevità del mandato, e perché dovette fronteggiare la tribù dei Bimal, poco disposti ad accettare la supremazia italiana, e le frequenti incursioni e razzie, di un capo musulmano, Mohamed Ben Abdullah, il quale godeva di notevole prestigio presso parecchie tribù somale e, in lotta con gli Inglesi, si era stabilito nella parte nord del paese.
Nel 1911, con lo scoppio della guerra libica, il C., promosso capitano di vascello, venne destinato al comando delle operazioni in Mar Rosso. Giunto in Eritrea nel dicembre a bordo del "Piemonte", pose la sede del comando a Massaua e provvide al taglio dei cavi telegrafici, alla repressione del contrabbando di armi dirette in Libia e alla difesa del traffico. Latore di istruzioni riservatissime dategli dallo stesso Giolitti, allacciò rapporti di amicizia con lo sceicco Said Idris, già in lotta con il governo turco, e provvide a fornirgli segretamente, a più riprese, armi e denari, perché spingesse a fondo la ribellione intrapresa. Riuscì anche ad eliminare, in breve tempo, le unità turche operanti nel Mar Rosso, ottenendo il controllo di questo.
Dopo aver ottenuto l'invio di qualche silurante per meglio penetrare nei canali della costa arabica, studiò attentamente le mosse dell'avversario per sorprenderlo con una serie di veloci puntate e con metodici rastrellamenti. Tra le isole Farisan e Gedda, non lontano da Kunfida, il 7 genn. 1912 due caccia scoprivano l'intera flottiglia turca composta da otto cannoniere; fatti segno al fuoco avversario e anche a numerosi colpi delle batterie costiere, resistevano dando così tempo al "Piemonte" di avvicinarsi navigando abilmente tra i bassi fondali. Dopo una vivace azione senza danni da parte italiana, tutte le unità nemiche furono messe fuori combattimento, e una, catturata, venne portata a Massaua.
Il C. diede poi il via ad altre operazioni, volte al bombardamento di fortificazioni e di concentramenti di truppe attendate lungo la costa. Rientrato in patria nell'aprile del 1912, e trascorso un altro periodo di imbarco a bordo dell'"Aretusa", nella primavera del 1914 fu nominato governatore dell'Eritrea e della Somalia. Alla vigilia della guerra mondiale riuscì a sventare le manovre del console austro-ungarico che, dopo aver fornito armi all'Etiopia, cercava di utilizzarla per creare difficoltà alle frontiere italiane; assicurò i rappresentanti diplomatici inglesi che l'Italia non aveva intenzioni di espansione territoriale a danno delle potenze impegnate in Europa, e provvide poi a sedare alcuni torbidi nel Tigrè, sconfessando un capo abissino che intendeva sollevarsi sostenendo di avere l'appoggio italiano. La sua opera di colonialista ebbe modo però di svilupparsi soprattutto in Somalia, dove rimase fino al 1918 e dove non dovette limitarsi alla parte diplomatica. Qui provvide alla ripresa dei rilievi idrografici e agli scavi della barriera madreporica per agevolare gli approdi, curò la sistemazione del porto di Brava, promosse la costruzione di nuove strade e l'irrigazione di migliaia di ettari di terreno, organizzò i servizi sanitari, e riuscì a istituire un sindacato per l'industria e il commercio della colonia. Per la sua opera nel 1917 venne nominato grand'ufficiale della Corona d'Italia, e alla fine della guerra promosso contrammiraglio.
Lasciato il servizio attivo, il C. giunse nel 1927 al grado di ammiraglio di squadra nella riserva navale. Stabilitosi a Roma, accettò di assumere, dopo qualche incertezza, la presidenza dell'Istituto per l'Africa italiana.
Morì a Roma il 2 luglio 1952.
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