CERCHI, Giovanni
Figlio di Niccolò e cugino di Vieri di Torrigiano fu, insieme con quest'ultimo, uno dei rappresentanti della seconda generazione del casato Cerchi, la generazione cioè dei nipoti di Oliviero di Cerchio, che vide l'inserimento della famiglia nel ceto magnatizio e la maturazione del suo conflitto per il potere con le consorterie che facevano capo ai Donati ed altri.
Fino dal 1287-88 il C. occupava un posto di rilievo nel banco dei Cerchi bianchi, e non meno importante era il suo ruolo nel quadro del sistema di alleanze che facevano capo alla consorteria de' Cerchi. Il suo matrimonio con Letta di Giovanni di Gherardino da Pistoia inaugurò la parentela tra i Cerchi e una delle famiglie più importanti dello schieramento guelfo bianco pistoiese. Anche la simpatia che i Cerchi dimostrarono nei confronti del movimento popolano, e che condusse i guelfi bianchi fiorentini e i popolani ad avvicinarsi tra loro, si deve far risalire almeno in parte agli atteggiamenti del Cerchi. Questi difatti partecipò tra l'altro alla seduta del 14 febbr. 1293, fondamentale per la genesi degli Ordinamenti di giustizia.
Negli anni successivi si distinse come uno dei capi più intransigenti della parte bianca, difensore di una linea più dura di quella del prudente, malleabile, tutto sommato pavido suo cugino Vieri. Il suo radicalismo non mancò di alienargli le simpatie di molti suoi amici e collaboratori, che non erano disposti a lasciarsi coinvolgere dalle sue rischiose posizioni: per esempio il banchiere Guido di Filippo dell'Antella, che apparteneva dal 1287 alla sua compagnia bancaria, ne uscì il 1º apr. 1301, come egli stesso scriveva, "per la brigha, ove vennero cho' Donati e compagni". Dopo l'illusoria schiarita apertasi con la missione fiorentina del cardinale Matteo d'Acquasparta, l'assassinio del padre del C. da parte di Simone Donati inaugurò la fase finale del conflitto tra Cerchi e Donati conclusa nel 1302 con la sconfitta e la cacciata dei Cerchi da Firenze. Mentre parecchi membri della famiglia se la cavavano con il confino e la confisca dei beni, al C. fu inflitta la pena di morte, ma egli riuscì a porsi in salvo.
Nell'esilio il C. si votò sempre più fervidamente alla causa bianco-ghibellina e nel 1304 lo troviamo tra i quattordici "capi degli usciti di fora" ricordati dal Compagni, i quali erano stati invitati dal cardinal legato Niccolò da Prato a recarsi a Firenze per trattare una pacificazione con i neri. Ma l'intolleranza e l'abituale indisponibilità al compromesso della parte nera fecero fallire le trattative. Fu lo stesso cardinale a consigliare agli inviati dei bianchi, l'8 giugno, di uscire da Firenze dove l'atmosfera si era fatta minacciosa e gli scontri si susseguivano, costringendo di lì a poco il cardinale medesimo ad abbandonare la città.
I fatti del 1304, nei quali erano rimasti coinvolti anche i Cerchi bianchi di via del Garbo fin lì tollerati dalla fazione donatesca, avevano reso evidente che tra le fazioni fiorentine non poteva esservi intesa. Nel 1306 troviamo il C. ad Imola presso il cardinal legato Napoleone Orsini, insieme con un nutrito gruppo di ghibellini fiorentini. Ormai, dopo la caduta di Pistoia in mano ai neri (aprile 1306) e la cacciata del legato stesso da Bologna - eventi nei quali i neri fiorentini avevano avuto un ruolo determinante -, i guelfo-ghibellini speravano che le forze della Chiesa si sarebbero impegnate per cacciare da Firenze quel gruppo dirigente nero che, pur ostentando fedeltà assoluta alla sede pontificia, si era spinto con la sua insensata politica di parte tanto oltre da procurare alla città l'interdetto. Si sapeva, tra l'altro, che ormai gran parte del clero fiorentino cominciava a solidarizzare con gli esuli e a prendere le sue distanze dai neri. Non è certo casuale che in quest'occasione gli oppositori interni pensassero al C.: i canonici di S. Lorenzo infatti, inviando un'ambasciata ad Imola presso il legato, ne approfittavano per far pervenire una spada al C., un gesto simbolico inequivocabile.
Fallita anche la politica fiorentina dell'Orsini, il C. continuò la sua azione politica nelle file dei fuorusciti: lo troviamo a Pisa nel giugno del 1310, dove sovrintese alla confezione del dono che i Pisani avevano preparato per Enrico VII di Lussemburgo, un corredo di tende da accampamento completo di un ricco padiglione imperiale e valutato 4.000 fiorini d'oro. Il C. ricevette in quell'occasione diversi pagamenti da parte del Comune pisano, per rimunerarlo delle sue fatiche.
Quando il re dei Romani giunse in Italia, il C. ricevette da lui, come del resto molti altri bianchi fiorentini, importanti incarichi di fiducia. Tra l'altro fu inviato in ambasceria a Genova.
Nel 1314 tuttavia, ammalato e vicino alla morte, il C. si rese conto di non poter congedarsi dalla vita senza riconciliarsi con i suoi avversari politici e quindi con la sua città. A tal fine spedì a Firenze il fratello Filippo, ma è probabile che non sia comunque mai rientrato in patria e che sia morto, esule, poco dopo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico. Badia, 1301 nov. 8; Ibid., Notarile antecosimiano. Lapo Gianni, f. 96r, 1314 marzo 18; Firenze, Arch. capitolare di S. Lorenzo, Libro di entrate e di uscite, arm. 6, palch. 5, f. 38r, a.a. 1306; Ferreti Vicentini Historia rerum in Italia gestarum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., IX, Mediolani 1726, col. 974; Le consulte della Repubbl. fiorentina, a cura di A. Gherardi, II, Firenze 1898, pp. 294 s.; Le registre de Benoît XI, a cura di C. Grandjean, Paris 1905, nn. 181, 1232 s.; Constitutiones et acta publica ..., IV, 2, a cura di J. Schwalm, in Mon. Germ. hist., Legum secrio IV, Hannoverae-Lipsiae 1909-1911, ad Indicem; D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. Script.,2 ediz., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, p. 180; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV,Firenze 1960, ad Indicem, nel vol. VIII; S. Raveggi-M. Tarassi-D. Medici-P. Parenti, Ghibellini, guelfi e popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze…,Firenze 1978, ad Indicem.