CENCI, Giovanni
Figlio di Giacomo, compare per la prima volta con la qualifica di "cancellarius Urbis" in un rogito di Antonio di Lorenzo Stefanelli de Scambiis del 12 ag. 1367, relativo all'impegno, assunto dal C., anche a nome di Pietro suo fratello, di non molestare e proteggere da eventuali violenze di terzi Giacomo e Paolo de Magistris, figli di Pietro, canonici di S. Maria in Trastevere. La nomina di cancelliere gli era stata conferita dai "presidentes generali consilio Romane urbis" per i meriti acquistati durante le lunghe lotte della città contro il Comune di Velletri, ma poi anche Urbano V, accogliendo una petizione del medesimo C., con una lettera del 13 dic. 1368, lo confermava nella carica, elogiandolo per il suo operato. Sembra del resto ulteriore testimonianza dei buoni rapporti instauratisi tra la Curia pontificia e il cancelliere di estrazione popolare l'incarico a quest'ultimo affidato circa un mese prima (13-22 novembre) di provvedere alla sistemazione di "vinea et piscaria" nei giardini del papa.
Successivamente dovettero verificarsi episodi, diretti ad intaccare il potere e il prestigio del cancelliere: vi accenna Gregorio XI in una lettera del 28 nov. 1374 da Avignone, con la quale "praeter detractiones emulorum suorum", attesta al C. di riconoscerlo suo fedele e devoto. Che la fiducia del pontefice fosse ben riposta lo dimostrarono i successivi avvenimenti. Nel 1376 la guerra dei Fiorentini contro Gregorio XI propagò a macchia d'olio nelle terre del Patrimonio i fermenti della rivolta, guadagnando alla propria causa anche il prefetto Francesco, di Vico. In quella precaria situazione, il 9 febbr. 1376 i tre conservatori della "Camera Urbis", i due esecutori di giustizia, i quattro consiglieri della "felix societas pavesatorum et banderensium" e due governatori per la pace e la libertà della Repubblica, facenti le veci di Lorenzo Sanguigni, assente da Roma, nominarono il cancelliere C. capitano generale del popolo romano, ordinatore e riformatore presso i porti e le terre del distretto di Roma site in Tuscia, Collina e Sabina, gli conferirono inoltre l'alta e la bassa giurisdizione in dette terre, con la facoltà di intervenire sugli ordinamenti interni delle medesime e di stringere patti con le singole città e castelli. Il neoeletto capitano si accampò tra Montalto e Toscanella da dove, ai primi di marzo, scriveva agli Otto della guerra per indurli alla resa e al riconoscimento della sovranità romana: le risposte del 5 e 15 marzo, del 23 aprile e 14 maggio, mentre assicuravano un ossequio tutto verbale nei confronti di Roma, ribadivano anche la necessità per i Fiorentini di non venir meno all'impegno, preso con i propri alleati, non ultimi il prefetto e Viterbo.
L'intervento del cancelliere diede tuttavia buoni risultati e sebbene il di Nico, sostenuto soprattutto da Firenze e Viterbo, avrebbe continuato ancora per tutto l'anno successivo ad organizzare spedizioni contro l'esercito romano, molti paesi si arresero e tra gli altri, si sottometteva al C. Corneto: l'atto relativo è databile molto probabilmente al marzo 1376. Anche Toscanella, poco dopo, abbandonava i ribelli per sottomettersi a Roma, ma la completa giurisdizione romana su Corneto e Toscanella, come verosimilmente sopra altre città allora riconquistate, ebbe carattere transitorio: poco dopo, infatti, col ritorno di Gregorio XI a Roma, furono reintegrate nello stato di soggezione alla Chiesa.
Morto il pontefice, sembra che il C. avesse un certo peso nell'elezione del successore Urbano VI., del quale fu strenuo difensore contro l'antipapa Clemente VII (Roberto di Ginevra). Tra il 27 e il 29 aprile 1379 riusciva a piegare la guarnigione francese insediata in Castel S. Angelo e otteneva da Pierre Rostaing la consegna della fortezza. La cessione di Castel S. Angelo al papa dové alienare al C. le simpatie del governo popolare, stando almeno ad una lettera di s. Caterina, del 6 maggio dello stesso anno, ai banderesi e ai quattro boni homines reggitori della Repubblica romana, nella quale si esprime rammarico per l'ingratitudine da questi ultimi mostrata nei confronti del cancelliere. Di fatto, nel novembre, il C. non godeva più dei pieni poteri, e faceva invece parte di una commissione di "tres gubernatores pacis et libertatis reipublicae Romanae". La nomina senatoriale, nei primissimi mesi del 1380, fu assai verosimilmente un'espressione di gratitudine da parte di Urbano VI.
Che la carica gli fosse conferita non a conclusione di una sollevazione popolare - come alcuni ipotizzano sulla scorta di notizie fornite dal Diario d'Anonimo Fiorentino, forse relative ad altro episodio: "Oggi, a dì X ottobre anno 1379 civenne novelle da Roma come 'l popolo di Roma anno chiamato trebuno di Roma uno cittadino c'a nome Gianni Cincio cancelliere della Pescina" - ma dal pontefice, sembra risultare chiaro da una lettera del 5 marzo 1380 di Francesco Casini da Siena, medico di Urbano VI, al Comune di Siena, nella quale si comunica la normale elezione dei senatori C. e Nuccio Negri per la durata di sei mesi.
Al C. senatore si rivolgono gli Otto di Firenze il 20 marzo 1380 perché venga indennizzato un loro concittadino derubato dalle genti di Luca Savelli e, il 4 maggio, i Priori del Comune di Rieti per chiedergli la conferma di uno dei quattro romani candidati dai Reatini alla podesteria. Ancora in carica in una sentenza del 24 settembre, non lo è più il 31 ottobre, quando compare senatore neoeletto Pietro Lante da Pisa.
Morì qualche anno più tardi: in un documento del 23 dic. 1383 si parla, infatti, di "heredes quondam Iohannis de Cinthiis" e in un altro del 13 genn. 1384 il figlio Pietro è detto "natus quondam nobilis viri Iohannis de Cinthiis cancellarii Urbis". Lasciò ai figli, Pietro e Francesco, un considerevole patrimonio, costituito per la maggior parte da immobili siti "in regione Caccabariorum". Il Gregorovius e il Levi a torto identificano il C. con l'omonimo nipote, figlio di Pietro, morto decapitato l'11 dic. 1416.
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