CAZZANI, Giovanni
Nacque il 4 marzo 1867 a Samperone (Pavia) in una solida e antica famiglia contadina, da Vincenzo e da Amalia Trovati, che avevano altri sette figli. Rimasto orfano di madre a dodici anni, il C. entrò nel seminario pavese che il vescovo diocesano monsignor. Agostino Riboldi, uomo aperto alla cultura e alle scienze moderne, aveva dotato di ottimi maestri. Consacrato sacerdote nel 1889, venne destinato all'insegnamento nel locale seminario e nel collegio di S. Agostino, mentre contemporaneamente frequentava la regia università conseguendo la laurea a pieni voti in lettere e filosofia nel 1892 e poi in teologia nella facoltà teologica milanese l'anno dopo. Collaborava in questi anni alla rivista Scuola italiana moderna dedicandosi alla formazione e all'organizzazione cattolica degli insegnanti elementari.
Con la nomina di monsignor Riboldi nel 1901 a cardinale e arcivescovo di Ravenna il C. lo seguì in quella sede come segretario. Per breve tempo, perché morto l'anno dopo l'arcivescovo, ritornò a Pavia come rettore del seminario. Il 5 agosto 1904 gli giunse la nomina a vescovo di Cesena. L'inizio del suo episcopato coincideva con la crisi modernista e la polemica murriana da un lato, con la propaganda socialista e anticlericale dall'altro più che mai viva in questa zona romagnola. Il C. mostrò subito simpatia per il vivace gruppo democratico cristiano murriano che qui aveva un prestigioso leader in don Giovanni Ravaglia, un periodico molto battagliero e aperturista ne Il Savio e una centrale di spiritualità nuova nel cenobio benedettino di S. Maria del Monte. Dietro consiglio del C. i cattolici cosiddetti d'azione si iscrivevano alla Camera del lavoro socialista allo scopo di creare un fronte unitario per ottenere la revisione dei patti colonici. A questo problema di giustizia sociale il C. dedicò anche la lettera pastorale dell'agosto 1907 che doveva diventare un testo di grande valore per i cattolici aderenti alla Lega democratica nazionale. Senonché la reazione del padronato clericale, capeggiato dal marchese L. Almerici, determinò l'ukase della Curia romana che inviò a Cesena come visitatore apostolico padre Tommaso Pio Boggiani. Veniva così sconfessato l'orientamento progressista del C., le cui idee vennero indebitamente confuse con presunti errori modernistici.
Le varie misure impostegli, fra cui l'esonero di alcuni professori dall'insegnamento in seminario e le dimissioni forzate di qualche parroco, lo mortificarono talmente da fargli ipotizzare perfino l'abdicazione all'episcopato. Ma la fermezza di fronte all'offerta della S. Sede di un ufficio nella Curia romana (fattagli per toglierlo dalla guida della diocesi) e soprattutto la riconosciuta buona fede gli ridonarono la fiducia del papa che lo incaricò della visita apostolica dei seminari beneventani nel 1911.
Del disagio venutosi a creare, frattanto, nella diocesi per via della sua obbedienza alle direttive romane, era testimone monsignor Giacomo Della Chiesa, arcivescovo dì Bologna e primate dell'episcopato romagnolo; il quale, divenuto papa nel 1914, lo inviò a Cremona quale successore in quella sede - di monsignor Bonomelli (15 dic. 1914). Del ministero cremonese si ricorda soprattutto la posizione assunta dal C. di fronte al fascismo, priva assolutamente di qualsiasi gesto spettacolare, secondo lo stile compassato dell'uomo, ma ferma e intransigente che ha fatto del C. uno dei pochi vescovi italiani non compromessi col fascismo a differenza del suo primate milanese cardinale Schuster. Ne fu prova, fra l'altro, la dignitosa difesa del suo sacerdote diocesano don Primo Mazzolari più volte preso di mira dai fascisti.
Emanate anche in Italia le leggi razziali, il C. in un'omelia pronunciata nel duomo di Cremona nell'Epifania del 1939 (Unità cristiana e giudaismo…,Cremona 1939), seguendo sostanzialmente la linea già tracciata da Pio XI nell'enciclica Mitbrennender Sorge (14 marzo 1937), in chiara polemica con il tentativo fascista di imitare l'antisemitismo tedesco si scagliava contro il "materialismo razzista, che fa dipendere l'anima e lo spirito dal sangue" (p. 19); precisava che "la dottrina cattolica non nega la legittimità della resistenza e della difesa d'una razza contro le ingiuste sopraffazioni e le malefiche influenze di un'altra, purché si contenga nei limiti imposti dalla necessità e rispetti le leggi supreme della carità" (p. 60), chiarendo ancora che "la Chiesa ha sempre giudicata pericolosa la convivenza degli ebrei - fin che rimangono religiosamente ebrei - alla fede e alla tranquillità dei popoli cristiani", ma soltanto per "la difesa e la preservazione della religione e del costume dei cristiani dalle malefiche influenze giudaiche" (p. 17). Queste ultime affermazioni furono sufficienti a permettere a Farinacci di sostenere che il C. aveva approvato le leggi razziali fasciste (Regime fascista, 7 genn. 1939, in cui sono riportati alcuni brani dell'omelia sensibilmente alterati). L'episodio suscitò vasta eco sia in senso negativo in chi, come il Mazzolari, fu spiacevolmente colpito dai commenti del Regime fascista (alla versione di questo dettero ancora credito De Gasperi e gli storici De Felice, Fornari e Alfassio Grimaldi), sia in senso positivo in quanti - pubblicato il testo ufficiale dell'omelia - credettero di scorgere chiari riferimenti a Mussolini nell'affermazione del C. che Dio "quando si serviva di Nabucodonosor per punire il popolo ebreo, ancora prediletto, non legittimava le crudeltà e - le empietà di quel potente re babilonese".
Il C. per la sua riconosciuta intransigenza politica venne a trovarsi in grave disagio durante l'occupazione tedesca col ritorno di Farinacci a Cremona dopo l'8 sett. 1943. Tuttavia non abbandonò la sede e affrontò la difficile congiuntura con dignitosa coerenza. Il 25 maggio 1944 Pio XII lo gratificò del titolo arcivescovile ad personam. Dopo la Liberazione la sua autorità morale era cresciuta a tal punto da permettergli di fronteggiare, in epoca pacelliana, perfino il S. Uffizio mal disposto verso don Mazzolari per le sue note simpatie socialiste espresse negli scritti e nel quindicinale Adesso.
Il C. morì a Cremona il 26 ag. 1952.
Il magistero cazzaniano, oltreché nell'opposizione al regime, è espresso nelle numerose lettere pastorali riunite in volume poco dopo la sua morte (Scritti pastorali di S. E. mom. Giovanni Cazzani arcivescovo di Cremona, Alba 1952). Primeggiano in esse i problemi sociali e morali che risentono d'una concezione teologica tradizionale, vivificata però da una sincera ansia democratica non certo troppo consueta in quegli anni negli uomini di Chiesa.
Fonti e Bibl.: Disquisitio circa quasdam obiectiones servi Dei papae Pii X, Cittàdel Vaticano 1950, p. 74; N. Mosconi, G. C. vescovo della libertà, Rovigo 1961; R. De Felice, Storia degli ebrei ital. sotto il fascismo, Torino 1961, p. 373; L. Bedeschi, Il modernismo e R. Murri in Emilia e Romagna, Parma 1966, ad Indicem; Id., Relazione sui seminari beneventani fatta dal visitatore apostolico nel maggio 1911, in Humanitas, XXII(1967), pp. 568-585; C. Angelini, Ritratto di vescovo, Pavia 1969; A. De Gasperi, Lettere sul Concordato, Brescia 1970, ad Indicem; A. Fornari, La suocera del regime, Milano 1972, ad Indicem; U. Alfassio Grimaldi-G. Bozzetti, Farinacci, il più fascista!, Milano 1972, ad Indicem; E. Zelioli Lanzini, Fuantisemita il vescovo C.?, in La Riscossa (Cremona), 15febbr. 1973; Id., La verità su mons. C., ibid., 30 giugno 1973; L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo. Lettere di don Primo Mazzolari al suo vescovo, Milano 1974, passim.