CAVALLI, Giovanni
Nato a Novara il 28 luglio 1808 da Francesco e da Giuseppa Scotti, entrò nel 1818 nella Regia militare accademia di Torino dove, dopo un periodo di iniziale irrequietezza, ebbe modo di esplicare la sua predisposizione agli studi matematici e meccanici, tanto da esser nominato, nel 1826, alla promozione a sottotenente allievo, assistente del celebre G. Plana, che nell'istituto aveva la cattedra di matematica, e da esser incaricato dell'insegnamento delle istruzioni pratiche d'artiglieria. Nel marzo 1828 uscì dall'accademia primo del corso, col grado di luogotenente d'artiglieria, e fu destinato alla compagnia pontieri, della quale diverrà comandante nel 1834, alla promozione a capitano.
Iniziano in quegli anni i suoi studi nei settori degli equipaggi da ponti e delle artiglierie (retrocarica, artigheria volante, rigatura), che lo rivelarono brillante cultore della meccanica applicata e lo resero famoso. Ma oltre che al quadro dello sviluppo di questa scienza, gli obiettivi di queste ricerche del C. appartengono al quadro del rinnovamento dei principi della organica e della tattica, conseguente alla grande lezione napoleonica. Nell'ambito di nuovi concetti offensivi e difensivi, diventavano decisive la rapidità e l'energia dell'esecuzione, quindi la rapidità della manovra da fuoco, e la rapidità della dislocazione e concentramento degli uomini, dei materiali e dei pezzi: questi ultimi alla mobilità dovevano unire semplicità e accresciuto volume di fuoco, sia come celerità di tiro ed effetto sia come possibilità di rifornimento. Il dibattito però sui modi di formazione e di azione dell'esercito si era venuto spostando sulle due concezioni di esercito-numero e di esercito-qualità, le quali, al di là delle loro differenziazioni, erano in realtà la identica punta emergente di una restaurata concezione assolutistica e aristocratica dello Stato e di una funzione repressiva dell'esercito stesso. In Piemonte il riordinamento militare, subito iniziato da Carlo Alberto al suo avvento al trono, aderiva strettamente a quella concezione e a quella funzione, fino al punto da introdurre una crescente contraddizione tra richieste dello sviluppo della tattica, e tra scelte di sviluppo e accoglimento degli apporti della tecnica, a svantaggio delle prime. Questa contraddizione e il suo esito, che resteranno, anche negli anni successivi, dati di fondo dell'esercito piemontese, permettono di vedere il motivo dell'accoglimento e del successo di certi aspetti del lavoro del C., e del rifiuto o della incomprensione per certi altri, come permettono di cogliere uno slittamento del suo stesso lavoro dal piano generale dei problemi tattici a quello particolare degli accrescimenti tecnici.
Il suo progetto di equipaggio da ponti è del 1831, e l'adozione è dell'anno seguente. Partendo dal principio che dovesse assolutamente accompagnare l'esercito, costituendo vero e proprio materiale da campagna, il C. si prefisse un equipaggio il più robusto ma più leggero e semplice possibile, tale da essere trasportato dovunque e gettato rapidamente, in vicinanza del nemico, anche di notte, e su qualsiasi corso d'acqua, e tale da reggere, oltre l'avanguardia, il peso di tutto l'esercito con l'artiglieria e i carriaggi; levato e ricaricato sui carri, doveva poter raggiungere nuovamente, per vie traverse, l'avanguardia. Soppiantando perciò il sistema a cavalletti, elaborò un sistema galleggiante universale, costituito da barconi - divisi in due barche da un piano verticale all'asse e tali da essere impiegate anche singolarmente - e da traverse di barca. Un solo carro bastava al trasporto di un'intera impalcata, mentre il restante materiale era ripartito tra tutti i carri. L'equipaggio era costituito da 30 carri per le barche e le navicelle di manovra, e da 4 carri per le riserve e altri materiali; in complesso si avevano 28 barche, 2 navicelle, 8 cavalletti, 196 travicelli snodati,704 tavole, 168 traverse da barca, 10 travetti, 2 varatoi, e materiali per l'ancoraggio, il ghindaggio, le cosce e le manovre. Con l'equipaggio erano possibili sei tipi di ponte (da quello di barche a una sola carreggiata per 224 metri, a quello di barconi a una sola carreggiata per 112 metri, a quello di barconi a doppia carreggiata per 56 metri), nonché tipi alleggeriti per cavalleria, girevoli, scorrevoli, e chiatte. Per questo progetto il C. ebbe la croce di cavaliere dell'Ordine di S. Vladimiro di Russia (marzo 1833), la croce dell'Ordine civile di Savoia (agosto 1833), la croce di cavaliere dell'Ordine dell'Aquila rossa di Prussia (marzo 1834).
Un altro progetto, del 1851 e sperimentato nel 1860, accresceva la mobilità con l'adozione di carri a due ruote e la sostituzione del barcone in legno con quello in lamiera d'acciaio. Derivando da questo secondo progetto la barca metallica, l'equipaggio da ponti modificato nel modello 1860-1914 rimase in adozione fino alla seconda guerra mondiale.
Anche il progetto per il caricamento dalla culatta delle artiglierie ad anima liscia risale al 1832. Ma varie difficoltà tecnico-metallurgiche lo fecero accantonare, tra la diffusa opposizione, finché nel 1843, per decisione di Carlo Alberto, che aveva seguito e incoraggiato gli esperimenti, fu disposto che le bocche da fuoco in ghisa da ordinarsi in Svezia per l'armamento della piazza di Genova fossero costruite col nuovo sistema. Nel 1844 veniva ugualmente adottato il suo carreggio per l'artiglieria da campagna (presentato nel 1837 in qualità di membro di una commissione per lo studio dei materiali d'artiglieria, e rimasto in adozione fino al 1882) e quello per l'artiglieria da posizione (rimasto fino al 1914).
Nella memoria del 1832 sulle artiglierie a retrocarica il C. accennava anche alla "Artiglieria Cacciatori". Si trattava della concezione, attorno al cui progetto e perfezionamento lavorò a lungo, di un'artiglieria volante, che, se per un verso può essere ritenuta, come lo è stato, antesignana del cannone a tiro rapido quale fu poi sviluppato dagli studi di G. Biancardi e altri, in realtà rispondeva ad un altro concetto ben preciso, lo sviluppo dell'intuizione napoleonica di una artiglieria che, dotata di grande mobilità e velocità di fuoco, nel quadro dell'impiego tattico unificasse il binomio di massa e fuoco dell'esercito.
La retrocarica rendeva possibile il servizio al pezzo con maggior speditezza, con cannonieri in minor numero e più raccolti; il nuovo affusto riduceva il rinculo semplificando ulteriormente il servizio, specie per il puntamento. Questa artiglieria, di cui si danno i dati del modello definitivo, era costituita da un carretto a due ruote di grande raggio (m 1,80), opportunamente studiate per assicurare la massima stabilità al tiro e al traino, sulla cui sala era imperniata la bocca da fuoco (calibro mm 86, peso kg 375; nell'ultimo modello era soppressa la vite di punteria sicché il servente puntava seguendo il bersaglio). Uno o due seggiolini consentivano ai serventi, due al massimo, di caricare il cannone restando seduti; un semplice timone permetteva l'attacco della pariglia per il traino della vettura-pezzo (peso, con due serventi montati, kg 980). La bocca da fuocorestava un usuale cannone a retrocarica da campagna; dall'affusto era eliminato l'avantreno; le munizioni di immediato impiego (40 proietti) erano trasportate in cofani applicati all'incirca all'altezza della sala; la vettura-pezzo era completata da un carretto-cannone, pure a due ruote, che trasportava 100 proietti (peso kg 4,718 ognuno). Il rinculo era frenato, all'atto dello sparo che normalmente doveva effettuarsi a pariglia attaccata, dall'attrito delle ruote bloccate della vettura, dal peso di questa, e dallo sforzo dei cavalli accuditi dal conducente.
Sperimentato, pur a lunghi intervalli,per circa trent'anni, il modello confermò i requisiti di semplicità, mobilità, celerità di manovra e di fuoco,ma non fu mai preso in seria considerazione: l'opinione prevalente e in contrasto col C., la quale aveva nel duca di Genova Ferdinando di Savoia l'esponente principale, era per un'artiglieria pesante anche se poco mobile. Una sezione fu poi sottoposta a prova bellica (18 febbraio-20 marzo 1861) all'assedio di Civitella del Tronto, ma come artiglieria da posizione e non come artiglieria volante.
Dal 1839 al 1845 il C. ebbe l'incarico dell'insegnamento di meccanica applicata nella ripristinata scuola d'applicazione d'artiglieria e genio. I suoi esperimenti e la soluzione della retrocarica avevano intanto avuto notevole risonanza; una memoria da lui presentata nel 1845 alla Reale Accademia delle scienze di Torino gli valse la nomina a socio nel novembre 1846.
Mentre in Svezia, presso le officine Wahrendorff ad Åker, sovrintendeva sulla fine del 1845 alla costruzione dei cannoni a retrocarica e delle altre bocche da fuoco ordinate dal Piemonte, il C. poté concretare il suo progetto di rigatura (rigatura a vento) delle artiglierie. Il 27 apr. 1846 un primo esemplare di cannone fu sottoposto alle prove di tiro; il risultato fu talmente brillante da richiamare in Svezia ufficiali di vari eserciti europei. Il re di Svezia lo insignì della croce di cavaliere dell'Ordine della Spada (dicembre 1846); l'Accademia delle scienze militari di Stoccolma lo nominò socio nel febbraio 1847.
La bocca da fuoco, in ghisa ad anima liscia, era solcata da due righe, diametralmente opposte ed elicoidali, per quasi tre quarti di giro; il proietto di ghisa, cavo per contenere la carica di scoppio, di forma aerodinamica cilindro-conica o cilindro-ogivale, aveva lungo la parte cilindrica due alette, diametralmente opposte per l'incastro nelle righe, e due coppie di sporgenze dette guide, presso l'ogiva e presso il fondo, diametralmente opposte e sul piano passante per l'asse e perpendicolare a quello delle alette. Alla funzione delle alette, di centramento e rotazione elicoidale del proietto, si univa quella delle guide, di attenuazione degli sbattimenti delle alette sui fianchi delle righe e del proietto sull'anima, e di miglioramento del centramento. Il vento tra proietto e anima e tra guide e anima era di circa mm o,5; il peso del proietto era una volta e mezzo quello della palla sferica corrispondente, la carica di lancio era ridotta da un terzo a un decimo; la chiusura della culatta, dopo l'introduzione del proietto, avveniva mediante un corpo a cuneo trasversale incastrato in apposito alloggiamento. Il tiro, con una precisione prima impensabile, aveva una gittata quadruplicata, e mediante la visibilità dello scoppio del proietto poteva essere continuamente regolato e determinato.
Promosso maggiore nello Stato Maggiore dell'arma nel febbraio 1848 e nominato direttore della sala d'artifizi, il C. all'inizio della prima guerra d'indipendenza ebbe il comando della neocostituita brigata pontieri, col compito di sorvegliare i passaggi del Po di Mezzana Corti e di Piacenza. Partecipò poi all'assedio della fortezza di Peschiera, meritandosi la croce di cavaliere dell'Ordine Mauriziano, e alla fine della campagna del '48 fu destinato a Pavia al comando parchi da campagna ed equipaggi da ponti col compito di tenere i passaggi del Ticino e della Sesia per salvare i materiali.
Durante l'assedio di Peschiera ebbe modo di osservare il comportamento dei materiali d'artiglieria, elaborandone miglioramenti. Iniziò anche, con misurazioni degli imbuti dei colpi, lo studio dell'effetto dei proietti per stabilire le dimensioni ottimali di fuoco.Nominato all'inizio del '49 membro del Congresso consultivo permanente di guerra, partecipò alla campagna di quell'anno al comando della brigata pontieri. L'anno dopo, promosso tenente colonnello, fu nominato direttore del laboratorio chimico e della Regia Fonderia; nel 1856 fu promosso colonnello. Nella seconda guerra d'indipendenza comandò il parco d'assedio in radunata ad Alessandria, che non fece a tempo ad entrare in azione; ritornava quindi, direttore, alla Fonderia.
Oltre a promuovere miglioramenti negli esplosivi (a lui risale l'idea delle polveri progressive), il C. riordinò i reparti dell'Arsenale, ne accrebbe la disponibilità di forza motrice facendo costruire un canale ed una speciale ruota idraulica, migliorò le macchine utensili e ne introdusse di nuove, mise in grado la fonderia di fabbricare i grossi cannoni in ghisa prima commissionati all'estero. Al rientro dalla guerra del '59, preparò gli studi e le attrezzature per provvedere alla rigatura dell'artiglieria piemontese, tenendo conto della recente esperienza bellica delle analoghe armi francesi.
I suoi progetti e la sua attività gli procurarono altre decorazioni: la croce di ufficiale dell'Ordine della Torre e della Spada di Portogallo (settembre 1855), la croce di ufficiale dell'Ordine militare di Savoia (giugno 1856), la croce di ufficiale dell'Ordine di Leopoldo del Belgio (luglio 1856), la croce di ufficiale dell'Ordine Mauriziano (settembre 1857). La partecipazione alla guerra del '59 gli valse la croce d'ufficiale dell'Ordine della Legion d'onore di Francia (gennaio 1860).
Promosso maggior generale nel febbraio 1860, fu nominato comandante generale dell'artiglieria delle regie truppe nell'Emilia. Nei quattro mesi di comando, riuscì a rimettere in produzione l'antica e abbandonata fonderia di cannoni di Parma, allargandone la lavorazione anche agli affusti ed ai materiali da carreggio. Nel giugno 1860 era chiamato a far parte del Comitato d'artiglieria, il centro studi dell'arma; nel 1861, per il particolare impulso di L. F. Menabrea, i suoi cannoni rigati entravano in azione, con decisiva influenza, agli assedi di Gaeta e di Messina. Il C., che aveva ricevuto la croce di commendatore dell'Ordine Mauriziano nel dicembre 1860, fu ora insignito della croce di commendatore dell'Ordine militare di Savoia (giugno 1861). Nel marzo 1862 fu promosso luogotenente generale, e decorato della croce di grand'ufficiale dell'Ordine Mauriziano.
Altri riconoscimenti furono la nomina a socio all'Accademia delle scienze, lettere e arti di Modena (gennaio 1862); l'Ordine imperiale ottomano del Megīdìyye (novembre 1862); la nomina a socio dell'Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli (febbraio 1863); l'Ordine di S. Anna di Russia (autorizzazione: novembre 1866).
Nell'aprile 1865 il C. divenne comandante della Regia militare accademia di Torino; nel 1866 elaborò, in una memoria per il Comitato d'artiglieria, gli studi di base per l'adozione del tipo ottimale di fucile a retrocarica per la fanteria. Nel 1870 per una grave malattia cardiaca lasciò l'incarico nel Comitato d'artiglieria, e nel luglio 1879,col collocamento nella riserva, il comando dell'accademia.
Il C. morì a Torino il 23 dic. 1879.
Commendatore (aprile 1868), grand'ufficiale (giugno 1869) e gran croce (maggio 1878) dell'Ordine della Corona d'Italia, cavaliere di gran croce decorato del gran cordone dell'Ordine Mauriziano, il C. fu eletto nel quinto collegio di Torino deputato per la III, V e VI legislatura, e fu nominato senatore nel 1876, senza poter giurare per le condizioni di salute. I suoi studi e le memorie sono stati raccolti in quattro volumi a Torino nel 1910 (Scritti editi e inediti del gen. Giovanni Cavalli, raccolti e pubbl. per ordine del Ministero della Guerra).
Fonti e Bibl.: Per la carriera, cfr. il Foglio matricolare presso il Ministero della Difesa, Direzione generale per gli ufficiali dell'esercito. Per una prima informazione sono sufficienti: U. Allason, La vita e le opere di G. C., Roma 1880; Nel centen. della nascita del gen. G.C. (1808-1908), Roma 1908 (fasc. ricordo della Riv. d'artiglieria e genio); E. Bravetta, G. C.,in Riv. marittima, XLI (1908), 2, pp. 5-10; P. Pieri, Storia milit. del Risorgimento, Torino 1962, pp. 175, 572, 630; L'Arsenale (pseud.), Il gen. G. C.,in Riv. mil., XXIII(1967), 12, pp. 1448-59; Enc. mil.,II, p. 831 (con elenco delle opere principali); VI, pp. 207 ss., s. v. ponte, equipaggio da.