CATTANEO (Cataneo), Giovanni
Figlio di Tommaso, incerta è la data di nascita, anche se R. Mortier, sulla base di una allusione autobiografica (cfr. Alessifarmaco, p. 28), ha potuto fissarla a Venezia nel 1691. Mancano pure notizie dirette sulla sua giovinezza e formazione.
Per secoli la famiglia Cattaneo era vissuta in Morea: il nonno del C., Giovanni, infatti, era un nobile feudatario di Candia che si distinse al comando delle armate veneziane. Così la fine del dominio veneziano sull'isola, conquistata dai Turchi, costrinse i Cattaneo a un brusco ritorno a Venezia spogliati di ogni loro avere. Il padre del C., Tommaso (1660-1725), scelse la carriera di insegnante e fu professore di filosofia a Padova (1686) e amico di Michelangelo Faldella, Domenico Lazzarini e Scipione Maffei; poi, ritiratosi a Venezia, di Apostolo Zeno e Antonio Conti, che lo ricorda come acceso difensore della filosofia cartesiana. Toccherà ai figli Giovanni e Pietro pubblicarne le Opere postume (Venezia 1736).
L'attività del padre, il prestigio e le buone amicizie che questi seppe conquistarsi, lasciano supporre che il C. ricevette una buona educazione, conducendo regolari studi letterari e filosofici.
La prima attività documentata del C. è la pubblicazione, assieme con Girolamo Soranzo e Angelo Calogerà, de Il Gran Giornale di Europa (Venezia 1725-26), con il programma di raccogliere "principiando da più antichi Giornali... successivamente e universalmente, da tutti gli altri, quanto riferivano di più raro, ed eccellente in ogni materia" (I, 1, p. VI); in pratica il giornale tradusse o riassunse una scelta del Journal des Sçavans del 1665.
L'insuccesso dell'iniziativa, durata poco più di un anno, riporta il C. nell'ombra finché, nell'ottobre del 1731, il re di Prussia Federico Guglielmo I lo nomina suo agente a Venezia. Dall'anno successivo, così, il C. inizia un'intensa attività di informatore, redigendo frequenti rapporti al sovrano sull'attività politica della Serenissima e, più in generale, dell'Europa orientale. Nonostante qualche screzio con la corte di Berlino, nel 1741 il C.,che nel frattempo si è anche impegnato a reclutare, soprattutto in Istria, truppe mercenarie per Federico II, viene nominato incaricato d'affari, assumendo così un ruolo diplomatico ufficiale.
Un'intricata e oscura lite con il nobile veneziano Giovan Francesco Molin (1741-42), suo allievo per più di un decennio, al quale probabilmente è legato da una segreta passione omosessuale, è all'origine della sua disgrazia; così il C., ormai padre di sette figli, quattro femmine e tre maschi, è privato del titolo di incaricato d'affari e riprende il ruolo di semplice agente, occupandosi tra l'altro di assumere musicisti e cantanti per il teatro dell'Opera di Berlino. In questo ruolo il C. viene coinvolto nella contestata chiamata alla corte prussiana della ballerina Barberina Campanini (1743-44), che diventerà l'amante del re Federico II.
Le vicende di questi anni hanno bruscamente interrotto la carriera diplomatica del C. che riversa ogni sua ambizione in un recupero dei suoi giovanili interessi filosofici e letterari, esordendo non più giovanissimo nel 1748. Sua, per evidenti ragioni ideologiche, non sembra essere la lettera del canonico Brigoli Sopra la machina elettrica (Verona 1748), che gli è stata attribuita dal Mazzuchelli; certamente invece gli appartengono i dialoghi Alessifarmaco, Il Lucianino e L'idiota, pubblicati con lo pseudonimo di p. Giovancarlo Ignazi (Venezia 1748), e L'Uranide (s.l. né d.), nei quali appare evidente la sua polemica contro la scienza e la filosofia moderne e l'appassionata difesa della tradizione e dell'ortodossia cattolica. Il C. infatti avversa la tradizione del razionalismo europeo e si oppone a tutta la fisica nuova di Galileo e Newton, convinto che "non passerà gran tempo, che tutto il vano dell'astronomia moderna caderà" (L'Uranide, p. 127).
Disilluso dai propri insuccessi, avvilito nella vita privata, il C. si intestardisce in una sterile polemica contro tutta la cultura contemporanea, difendendo con ostinazione le posizioni più conservatrici e reazionarie. Convinto che la battaglia contro i lumi si svolga ormai a livello europeo, dal 1752 scriverà spesso direttamente in francese onde confrontarsi con i materialisti e i deisti, confutando Montesquieu ne La source, la force et le veritable Esprit des Loix (Berlin 1752). Fontenelle nelle Lettere moderne né più né meno di quel che sono (Venezia 1752), Voltaire nelle Lettres à l'illustre M. de Voltaire (Berlin 1754) e nei Principj fisici (Lucca 1754), e un po tutti ne Le papillon qui mord (Berlin 1753), ne Le petit Hérodote (ibid.), nelle Lettres beryberiennes (ibid. 1754), e ancora ne Il filosofismo delle Belle (Venezia 1753).
L'opposizione del C. alla cultura scientifica e filosofica del suo tempo non conosce dubbi o incertezze e coinvolge ogni aspetto del sapere e della civiltà, andando ben oltre le stesse posizioni conservatrici che in quegli anni trovano numerosi consensi a Venezia; ne è una prova il sostanziale, insuccesso della sua attività di polemista invano sorretta dai fogli più reazionari come le Novelle della Repubblica letteraria dell'abate Medoro Ambrogio Rossi, che lo incita "a confutare i Fatalisti, e tutti coloro, che ne' punti più vulnerabili dell'Ortodossa Religione non ammettono se non il loro depravato sentimento come il supremo Arbitro e Tribunale" (28 giugno 1749, p. 202), o ancora "a rinvangare i pensieri arditi che provengono ordinariamente dagli Scrittori Oltramontani" (10 ag. 1754, p. 254).
Dopo la lunga fila di opere pubblicate tra il 1748 e il 1754 (tra cui è da ricordare ancora La libertà del cantare, Lucca 1752), cui si aggiunge solamente nell'anno 1756 La Fisica e l'Amore (ibid.), il C. ritorna definitivamente nell'ombra, per morire povero, indebitato e solo alla fine del 1761, prendendo parte, negli ultimi mesi di vita, alla nascita de La Minerva o sia Nuovo Giornale de' letterati d'Italia (Venezia 1762 e ss.) in cui trova ospitalità l'estrema difesa del conservatorismo ideologico e politico veneziano.
Fonti e Bibl.: Un centinaio di lettere del C. (1734-58) sono conservate all'Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, busta 568; una lettera a G. F. Molin è al CivicoMuseo Correr di Venezia, Cod. Cicogna 3169; le relazioni del C. al re di Prussia (1753-60) si trovano al Deutsches Zentralarchiv, Abteilung Merseburg, rep. 11, n. 288, fascicoli 9-10, 12-14, 16-23; rep. 96, n. 72 A 1. Povera la bibliogr. sul C.: A. Calogerà, prefaz. a La Minerva..., I, Venezia 1762, p. 10 (ora in M. Berengo, Giornali venez. del Settecento, Milano 1962, p. 81); G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia 1763, II, 4, p. 2102; M. Battagia, Delle accad. veneziane, Venezia 1826, p. 85; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia..., Venezia 1855, p. 362; A Bazzoni, Un confidente degli Inquisitori di Stato di Venezia, in Arch. stor. ital., s. 3, XVII (1873), 2, pp. 285-288; A. D'Ancona, Memorie e documenti di storia ital. dei secc. XVIII e XIX, Firenze 1913-14, pp. 67, 149; Memorie dell'I. R. Accad. dei SS. LL. ed AA. degli Agiati di Rovereto, Rovereto 1901, p. 428; R. Saccardo, La stampa period. veneziana..., Padova 1942, p. 29; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento...,Firenze 1956, p. 145; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento ital., Firenze 1960, pp. 46 ss.; infine, ricchissimo di notizie, R. Mortier, Un adversaire vénitien des "lumières", le comte de Cataneo, in Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, XXXII (1965), pp. 91-268, su cui cfr. C. De Michelis, L'illuminismo italiano, in Lettere ital.,XVIII(1966), pp. 314 s.