CARDONA, Giovanni
Nacque da antica famiglia catalana probabilmente intorno al 1530 da Antonio, viceré di Sardegna dal 1534 al 1549. Visse vicino agli ambienti di corte e fu in rapporto di familiarità con Filippo II, come testimoniano le espressioni che si colgono nelle lettere indirizzate al sovrano. Sposò Maria figlia di Gabriele Requesenz, fratello di Berengario, capitano generale delle galere di Sicilia.
Il C. iniziò certamente molto giovane la dura carriera del mare e pare che abbia preso parte, imbarcato su galere siciliane, alla sfortunata campagna del duca di Medinaceli conclusasi con la sconfitta di Gerba. Certo è che nella estate del 1563 era al comando di tre galere del Regno di Sicilia e che alla fine dell'anno giungeva con esse a Messina dopo aver fatto felicemente il viaggio da Barcellona.
Scrivendo al sovrano di questa sua missione lamentava la pesante intromissione del Medinaceli nel sostituire comandanti e uomini di ciurma e chiedeva l'intervento del re perché ciò non avesse a ripetersi per evitare che ne soffrisse la capacità operativa delle unità.
Nel 1565, come comandante delle galere del Regno di Sicilia, il C. operò attivamente al fianco di Garcia di Toledo per portare soccorso ai cavalieri di S. Giovanni assediati a Malta dall'armata turca.
L'8 maggio, prima ancora che la flotta turca investisse l'isola, vi approdò con due galere e vi sbarcò 200 uomini; fece poi il periplo dell'isola ispezionando attentamente tutte le rade, insenature e spiagge e facendone anche precisi disegni per riconoscere i luoghi dove eventualmente sbarcare con sicurezza altri rinforzi nel caso in cui l'isola fosse caduta in mano al nemico.
Il 16 giugno, quando già i Turchi occupavano saldamente la maggior parte di Malta e stringevano da presso forte Sant'Elmo, uno dei caposaldi della resistenza dei cavalieri, il C. lasciò Messina con due galere di Sicilia e due dei cavalieri e mosse al soccorso dell'isola, dove il 30 giugno sbarcò 600 uomini, armi e vettovaglie, che andarono a rafforzare le difese della città vecchia.
Il 23 agosto il C. partecipò alla riunione dei comandanti indetta da don Garcia per approntare i piani di sbarco nella isola, apportandovi l'esperienza accumulata nei viaggi fatti per soccorrere gli assediati. Per questa sua esperienza, quando il 3 settembre don Garcia di Toledo mosse da Messina per la riconquista dell'isola e la liberazione degli ultimi centri di resistenza dei cavalieri, al C. fu affidato il compito di fungere da pilota della flotta. Dopo la liberazione di Malta, in riconoscimento dei meriti acquisiti il gran maestro dell'Ordine concedeva al C., per sé e per i suoi discendenti, il privilegio dell'ammissione nell'Ordine senza nulla dover pagare "al tesoro di essa Religione".
Nel febbraio del 1568 il C. fu nominato capitano generale delle galere del Regno di Sicilia e gli vennero date minute istruzioni circa gli obblighi del suo ufficio sia per l'armamento e l'equipaggiamento delle unità sia per le ciurme, i forzati al remo, gli schiavi e la fanteria imbarcati su ogni galera. Dopo l'assunzione dell'alta carica, e per i quasi dieci anni in cui la detenne, obiettivo principale della sua azione fu il potenziamento della flotta del Regno, che riuscì a portare da dieci a ventidue galere.
Egli muoveva dalla convinzione che la Sicilia era "la frontiera dell'impero contro il nemico" (Arch. Gen. de Simancas, Estado, leg. 1135, f. 129) e che perciò nei mari di Sicilia si combatteva per la sicurezza della Spagna. Per questo volle fare della flotta del Regno uno strumento manovrabile e potente non solo per numero di unità, ma anche, e soprattutto, per qualità di comandanti di ciurme e di fanterie imbarcate. Ma in questo suo sforzo di potenziare la flotta di Sicilia dovette contrastare con la penuria di denaro e di uomini adatti a formare equipaggi qualificati (considerava poco adatte al combattimento sulle galere le fanterie italiane, meno esperte e meno combattive di quelle spagnole). La corrispondenza intercorsa tra il C. e Filippo II è ricca di preziose testimonianze: vi si colgono lamentele perché nel Regno i tribunali condannavano poca gente al remo, pressanti richieste d'intervento presso il viceré perché provvedesse di armi e denaro, di equipaggi e fanterie le galere, e vi si leggono anche accorati appelli perché non si interferisse nella sua azione di comando sottraendo uomini agli equipaggi o, addirittura, sostituendo i comandanti delle unità della flotta.
Durante gli anni in cui fu a capo della flotta di Sicilia il C. concentrò la sua attività ordinaria nell'organizzazione, durante la stagione propizia (in genere tra aprile e ottobre), di crociere offensive lungo le coste del Regno e dell'Italia meridionale, fino a Napoli e alle coste di Sardegna, per "ripulirle" dai corsari e per prevenire scorrerie di unità della flotta turca. A volte la flotta del C. operò rafforzata da unità private assoldate dal re di Spagna o da galere del granduca di Toscana o del Regno di Napoli poste momentaneamente sotto il suo comando.
Nei mesi invernali, quando le galere erano messe a "svernare" nei porti di Palermo e di Messina e gli equipaggi erano licenziati, le cure del C. erano rivolte alla direzione dei lavori di riparazione, riadattamento e manutenzione generale, di cui le unità abbisognavano dopo le crociere estive. Preoccupazione del C. fu anche il potenziamento delle basi, alle quali la flotta si appoggiava, e per questo il 25 marzo 1571 presentava al marchese di Pescara, viceré di Sicilia, un memoriale (inviato poi in copia a Madrid) perché facesse modificare il progetto di prolungamento del molo del porto di Palermo in modo da diminuirne la lunghezza, eccessiva rispetto alle necessità della flotta, e col denaro risparmiato facesse costruire all'interno del porto una darsena adatta ad assicurare un rifugio più sicuro alle galere.
Questo memoriale costituisce anche un documento delle sue qualità di sobrio amministratore del denaro pubblico, qualità che traspaiono anche dalla minuziosa cura con cui faceva redigere il rendiconto delle, spese per il mantenimento delle galere e di cui il sovrano gli dava apertamente atto.
Gli anni in cui il C. svolse la sua azione di comando in Sicilia furono cruciali per la vita delle flotte mediterranee di Filippo II e spesso all'attività ordinaria il C. dovette affiancare lo svolgimento di missioni speciali.
Nel 1570, tra aprile e maggio, egli fu impegnato nel trasporto di aiuti alla guarnigione di La Goletta e in due viaggi riuscì a sbarcare circa 1.000 uomini, armi (tra cui tre cannoni) e vettovaglie in notevole quantità. Nella seconda metà di luglio 1571 era nelle acque di La Spezia per imbarcare truppe tedesche e italiane per la flotta della lega, che si stava concentrando a Messina agli ordini di don Giovanni d'Austria. Nel raggiungere le acque liguri catturò, lungo le coste laziali, due brigantini turchi, che poco prima avevano attaccato una "saetta" della flotta pontificia, e tra la fine di luglio e i primi di settembre compì due viaggi tra La Spezia e Messina. In operazioni di trasporto di truppe o di armi e munizioni dai porti liguri a quelli siciliani o a Napoli il C. fu impegnato con le galere del Regno anche nel giugno del 1572, nel maggio del 1575 e nel dicembre del 1576.
Quando il 16 sett. 1571 la flotta cristiana lasciò le acque di Messina per il Levante, don Giovanni d'Austria affidò al C. il comando dell'avanguardia composta da otto galere, di cui tre siciliane. Attardato nelle acque di Petalia dall'imperizia di un pilota, il C., il 7 ottobre, raggiunse in ritardo il golfo di Lepanto, in tempo tuttavia per accorrere validamente in aiuto dell'ala destra dello schieramento cristiano, investita dall'attacco turco.
Il comportamento del C., che nella battaglia rimase ferito di freccia e di archibugio, e che con il suo tempestivo intervento aveva mostrato non comune perizia, fu molto apprezzato dal sovrano e da don Giovanni d'Austria. Quest'ultimo, che già lo aveva tra i suoi collaboratori più fidati, quando il 1º sett. 1572 concentrò la flotta della lega nelle acque di Corfù gli affidò il comando delle unità di riserva. Era questo, indubbiamente, incarico di alta fiducia perché in caso di emergenza i tempi e i modi dell'intervento della forza di riserva erano lasciati all'iniziativa del comandante e perciò dipendevano interamente dalle sue capacità tattiche di valutazione e di manovra. Com'è noto però 'Ulūǵ 'Alī, la cui flotta era stata individuata nel porto di Navarrino, valutate le forze cristiane evitò il combattimento e don Giovanni d'Austria dovette rinunciare al suo piano di annientamento.
Nell'ottobre del 1573 il C. fu nuovamente al fianco di don Giovanni d'Austria nella rapida campagna che portò alla conquista quasi incruenta di Tunisi.
Già in aprile-maggio era stato impegnato in due crociere da Palermo e da Trapani per portare oltre 2.000 uomini a La Goletta. Poi, partito il 19 giugno da Messina con venti galere, raggiungeva Taranto e faceva ritorno nello stretto il 5 luglio con sette compagnie di soldati spagnoli e viveri in grande quantità. Il 7 ottobre, nell'anniversario di Lepanto, muoveva con don Giovanni d'Austria da Marsala, il 9 era nelle acque di La Goletta e l'indomani metteva a terra sulla costa tunisina gli uomini imbarcati sulle unità al suo comando. Indi, mentre il principe marciava su Tunisi, restava a capo della flotta nei pressi di La Goletta a sorvegliare la costa.
La conquista di Tunisi fu vittoria effimera: dopo poco meno di un anno la città doveva ritornare in mano ai Turchi e anche La Goletta veniva perduta. Ma nel corso di quell'anno il C. si prodigò con la sua flotta per portare rinforzi, denaro, viveri e armi ai difensori di quelle piazze.
Tra la metà di maggio e la metà di agosto si calcola che compì almeno tre viaggi da Palermo e Trapani alla costa tunisina e poco prima che Tunisi fosse presa dai Turchi organizzò l'invio di un estremo soccorso imbarcando su due galere 200 forzati italiani e spagnoli, armati con la promessa di libertà se fossero riusciti a raggiungere la meta.
L'inverno del 1574 vide le unità di Sicilia continuamente in movimento e nel febbraio 1575 il C. era preoccupato per le condizioni di usura della flotta, non ancora posta a svernare. Ma alla fine dell'aprile seguente tali apprensioni non gli impedivano di proporre a Filippo II di far prendere il mare alle galere del Regno per bloccare una flotta turca di quaranta unità che da Costantinopoli muoveva verso Algeri.
Infatti, soprattutto preoccupato per la difesa della Spagna, il C. poneva in risalto che se le galere turche avessero raggiunto Algeri e si fossero unite alle unità corsare, che stazionavano in quei mari una grave minaccia si sarebbe profilata per le stesse coste spagnole.
Il. 10 dic. 1576 il C. fu nominato capitano generale delle galere del Regno di Napoli in sostituzione del marchese di Santa Croce chiamato a comandare la flotta di Spagna.
Tuttavia l'11 di marzo del 1577 il C. era ancora a Palermo e ricordava al sovrano che era privilegio dei Siciliani che i comandanti delle sei galere che il Regno manteneva col donativo straordinario votato al tempo dei Medinaceli fossero regnicoli. Dopo tanti anni di permanenza nell'isola il suo pensiero era ancora legato alle sorti della marina siciliana e nell'isola il C. tornò più volte anche dopo avere assunto il comando delle galere napoletane.
Le notizie che abbiamo sull'attività svolta dal C. dopo che lasciò il comando della flotta di Sicilia sono scarse. Nella estate del 1578 condusse un'intensa campagna navale, con ventotto galere napoletane e quattro di privati, lungo le coste calabre, le isole Eolie, e, dopo una sosta a Palermo, toccando l'isola di Favignana, la Sardegna e la Corsica, tornava infine a Napoli. Scoppiata la guerra del Portogallo, il C. vi partecipò a capo di ventidue galere del Regno di Napoli e con esse fece parte della flotta del marchese di Santa Croce che contribuì in maniera decisiva alla conquista di Setubal. È probabile che alla conclusione di questa campagna il C. non sia più tornato in Italia e sia stato chiamato a ricoprire alte cariche in Spagna. Certo è che egli nel 1597 era viceré e capitano generale del regno di Navarra, componente del Consiglio di guerra di Filippo II e poteva vantare il titolo di maggiordomo maggiore di sua altezza. È probabile, data l'età avanzata, che sia morto nei primi del sec. XVII.
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