CAPPELLO, Giovanni
Secondogenito di Lorenzo (1555-1625) di Piero e di Orsetta di Andrea Bernardo, nacque a Venezia il 9 ag. 1584 e studiò a Padova seguendo in particolare gli insegnamenti filosofici di Cesare Cremonini e Camillo Belloni e quelli matematici di Giulio Zabarella. Iniziò quindi la carriera politica. È eletto il 3 giugno 1612 camerlengo di Comun, ma rifiuta; il 10 ag. 1612 è della Quarantia civil nova (farà poi parte della Quarantia ordinaria nel giugno-luglio 1615 e nell'aprile-maggio 1618); il 24 maggio 1615 è esecutore sopra le Acque; il 4 dic. 1615 provveditore alla Sanità; il 22 dic. 1616 auditor novissimo. Nel 1618 è uno degli elettori del doge Antonio Priuli. È nominato il 19 luglio 1622 ufficiale alla "camera d'imprestidi", ma rifiuta; il 2 marzo 1625 è capo del Consiglio dei dieci, il 6 luglio 1625 podestà di Brescia, ove entra il 9 nov. 1625 e rimane sino all'11 apr. 1627.
Nella relazione su tale podesteria, letta il 27 apr. 1627, premette che ha dovuto amministrare una "città grande con ampio territorio di cittadini e popoli fedeli e feroci, a' quali la natura, che nelle viscere del terreno ha inserto il ferro, ha infuso negli animi ancora la ferocità". E se la prima caratteristica, la fedeltà a S. Marco, era positiva, non altrettanto poteva dire della seconda, fomentatrice di continui e gravi "accidenti". Egli ha fatto il possibile per contrastarla, reprimendo con vigore le violenze "dei bravi e sicarii, peste che del continuo soleva affliggere quella città et infestar l'aria", proibendo che "gente forestiera camini con l'armi al servitio di alcuno", richiamando severamente all'osservanza della legge persino i nobili più riottosi. Ed ascriveva così a suo vanto l'aver ridotto "la città et il territorio nella maggior tranquillità che godesse mai". Ma per reprimere la criminalità occorreva ben altro che proclami e grida. Realmente utile invece il riordino dell'archivio disposto dal C., con particolare attenzione alle cause penali, della cui "confusa moltitudine" varie "persone d'autorità" riuscivano ad approfittare. Da rilevare infine nella relazione il richiamo alla vigilanza sull'"importante negocio dell'inquisitione", specie sulla "publicatione... degl'editti generali che, con l'occasione dell'ingresso degl'inquisitori, vengono pubblicati": questi si andavano, "con ordine di Roma", sempre più ampliando a pregiudizio dell'autorità dello Stato.
Di nuovo a Venezia, eletto a far parte del Pregadi il 26 sett. 1627, savio alla Mercanzia nel 1628, è quindi inviato in qualità di bailo a Costantinopoli. Le vicende principali del periodo ivi trascorso - vi giunse il 15 dic. 1630, ne partì il 1º marzo 1633 - sono riassunte e illustrate nella relazione conclusiva.
"Con li primi Visiri, Capitani, Bassà e Muftì - ricordava - ho... avuto grandi e spinosi negozii", resi ancor più ardui dalle "frequenti mutazioni" ai vertici della burocrazia ottomana. Il momento di più acuta tensione si verificò quando, in un impeto d'ira, il pascià Mustafà, cognato del sultano, "percosse con la mano", alla presenza del C., il dragomanno Grillo che giustificava la cattura di una galeotta corsara da parte di Venezia; il C., coll'appoggio del primo visir, riuscì ad ottenere ampie scuse dell'"atto inumano", gravemente lesivo del "decoro" della Repubblica.
Altri meriti attribuitisi dal C. furono la deposizione del "bassà della Bossina" Abassà che pretendeva una "revision generale de' confini nella Dalmazia"; la indefessa attenzione per "il commodo e l'indennità a' mercanti sudditi" e per la liberazione degli schiavi; la salvezza di religiosi e altri sudditi veneti, "alcuni innocenti altri non senza colpa", da lui sottratti alla morte; l'opposizione a frequenti proteste contro la Serenissima di ragusei, pei quali suggerisce di agevolare il "negozio" a Venezia, sì da sviarli da quello in Ancona; le "estrazioni di genti e grani" ottenute durante l'occupazione di Mantova e le incursioni imperiali in territorio veneto; il concorso all'eliminazione, avvenuta attorno a Clissa, di Girolamo Fasaneo, suddito veneto fattosi turco, del quale, inoltre, aveva sventato, a Costantinopoli, le mene antiveneziane; la pubblica clamorosa esecuzione capitale di un "turco principale indiziato nello svaleggio delle galee a Durazzo".
Con particolare impegno il C. - gratificato, non a caso, di "indicibil devotione" dalle fonti francescane - protesse le consuetudini e i diritti "dei Religiosi Franchi Osservanti" preposti, a Gerusalemme e Betlemme, alla custodia dei luoghi santi: di fronte a manovre sempre più esplicite per sottrargliela e affidarla ai cappuccini o ai gesuiti, ottenne, in loro favore, il 20 febbr. 1631 un firmano; indusse il gran muftì ad opporsi a una esorbitante pretesa a loro danno del cadì di Gerusalemme, che venne poi sostituito; li sostenne con successo nelle continue beghe coi preti greci e armeni. Meno fortunati invece i suoi sforzi per la punizione dei corsari e il recupero delle "prede fatte" ai sudditi veneti; gli stessi alti funzionari turchi ammettevano francamente di non avere autorità in "Barberia". Per di più i vari bey e sangiacchi periferici erano spesso, in quanto partecipi dei frutti del bottino, conniventi.
Breve pel C. il soggiorno in patria, ove era stato nominato, il 19 nov. 1632, consigliere pel sestiere di S. Croce, poiché deve partire come "sindico inquisitor et avogador in Levante" assieme ai colleghi Marco Contarini e Pietro Correr.
Nella relazione, presentata dai tre il 27 sett. 1638, si riferisce sui "disordini" individuati in 35 mesi trascorsi nella "visita" degli "stati di Levante" e sui "rimedi... applicati", specie nell'isola di Candia, i cui "diffetti... non consistono in quei popoli... obbedienti e buoni vassalli; ... i mali provengono da chi ha la direttione et il governo de' medesimi popoli", spesso solo interessato all'arricchimento individuale. Con viva preoccupazione si indica nell'"altezza del reale", valutato circa 10 lire e 8 soldi, la prima causa di un "negotio... scomposto et inordinato" e della miseria della soldatesca, che "con la paga antica" erosa dall'inflazione non può "vivere e sostentarsi". Quanto al C., visitò da solo Cefalonia e Zante, colpite da "li travagliosi accidenti de' terremoti".
Provveditore generale in Terraferma dal febbraio 1641 al marzo 1642, ispeziona - come ricorda nella relazione del maggio 1642 - le otto piazze da lui dipendenti (Crema, Bergamo, Brescia, Asola, Orzinuovi, Legnago, Peschiera, Verona) e il presidio veneziano a Mantova, preoccupato soprattutto di ridurre il costo e il numero delle milizie. Ancora provveditore generale in Terraferma dall'ottobre 1647 all'ottobre 1649, nel periodo in cui - come osserva nella relazione del 27 nov. 1649 - le "mosse del... duca di Modena, unito a' Francesi" e la guerra di questi con gli Spagnoli "posero in gran dubbio e contingenza la quiete", si preoccupò di contenere gli sconfinamenti di truppe tali da coinvolgere Venezia nel conflitto.
Tre furono i momenti di particolare tensione: quando si temette che i Francesi volessero tentare "il passo del fiume" Oglio, in terra veneta, per portarsi all'attacco di Cremona; quando, respinte dagli Spagnoli, truppe piemontesi ripararono nel Cremasco portandovi "il ferro et il fuoco"; quando, fallito l'attacco a Cremona, i Francesi vollero, per "la necessità de' viveri", oltrepassare l'Oglio e rifornirsi in territorio veneziano. In questo caso si escogitò un felice compromesso: sudditi veneti vennero autorizzati a somministrare, "di là dal fiume, quella moderata provvision de' viveri" bastevole a far proseguire "la marchia" ai soldati francesi.
Di questo secondo provveditorato del C. va anche ricordata la repressione affidatagli nei confronti di un "tumulto" della plebe "infima" a Vicenza ("canaglia" addirittura pei deputati della città precipitatisi a scusarsi a Venezia), che, il 19-21 ag. 1648, affamata ed esasperata dalla vista di sacchi di farina destinati a Venezia, aveva invaso magazzini e granai dei sospetti incettatori di frumento.
Il C., fattosi precedere da 200 svizzeri e 200 morlacchi, giunge a Vicenza, con quattro compagnie a cavallo (tre di "corazze" e una di "cappelletti"), il 29 agosto, intenzionato ad esercitare gran rigore "sopra li principali delinquenti, con particolare applicatione a quelli che con inchiette et appalti de formenti havessero per avventura cagionati i scandali che sono occorsi". Non v'era dubbio, infatti, che il moto avesse tratto origine dalle "inchiette et appalti di biave in... pregiuditio" dei più poveri. Ma in realtà, consigliato dai rettori, dai "deputati publici, cavalieri e gentilhuomeni", si preoccupò anzitutto di far deporre "l'audacia" alla "plebe", con "essemplari castighi", sì da ridurre "l'affare al segno del dovuto rispetto et obbedienza alla pubblica maestà". Fa perciò impiccare - altri, condannati a morte, si sottraggono colla fuga - sulla pubblica piazza un uomo, colpevole di espressioni ingiuriose nei confronti del podestà, e una donna, "prima motrice della radunanza del popolo", e condanna a cinque anni di galera Domenico Pilotto "misurador di biave, che, sopra il pubblico mercato" incettava frumento, "non ne restando per la povertà".
Compito più agevole del C. quello, - impostogli quando ormai si accingeva a tornare a Venezia - di assistere, in qualità di ambasciatore straordinario, al passaggio per lo Stato veneto della figlia dell'imperatore, destinata sposa al re di Spagna, e della sua numerosa scorta, guidata dal fratello re d'Ungheria. Ne ebbe da questo in premio il titolo di cavaliere e dalla regina una "collana con un gioiello e due anelli uniti ad essa".
Di nuovo a Venezia, la vita del C. pare avviarsi a una vecchiaia serena, confortata dal prestigio e dall'autorevolezza (già attestati dai voti che aveva ricevuto nel lungo conclave per la nomina del successore al doge Erizzo) di cui godeva, quando, profilandosi qualche speranza di pace col Turco, il 6 giugno 1652, venne nominato ambasciatore straordinario alla Porta. Affidata, il 20 giugno, la "sua ultima volontà in testamento", partì assieme a G. B. Ballarino, che aveva voluto come segretario, e giunse a Pera il 20 genn. 1653.
La missione si basava però sull'equivoco: mentre Venezia, incoraggiata dall'ambasciatore francese alla Porta de La Haye che tanto s'era adoperato per l'avvio del sondaggio di pace, sperava nella possibilità di un compromesso, sia pure oneroso, che, tuttavia, non implicasse la cessione di Candia, i Turchi s'erano invece illusi che il C. giungesse con l'autorizzazione esplicita a trattare le modalità dell'abbandono dell'isola, ove già occupavano, tra l'altro, Retimo e la Canea. Il che, al contrario, era tassativamente escluso dalle istruzioni senatorie del 26 ott. 1652, secondo le quali il C. doveva, con cortesia ma, anche, "con risoluzione... render capace ogn'uno" della "ferma volontà" veneta "di non assentirvi in alcun modo", mentre poteva, qualora avesse intravisto qualche spiraglio di disponibilità all'accordo, garantire la conservazione delle moschee già esistenti a Candia e offrire un'indennità di guerra di 100.000 reali e un tributo annuo di 40.000.
Per disgrazia della Repubblica e del C., al malleabile gran visir Murād, da poco deposto, era successo Aḥmet, intransigente e fanatico; questi, per quanto il C., coadiuvato dal rappresentante francese (che prodigò tutta la sua abilità e prestigio in una affannosa e sfortunata opera di mediazione), si sforzasse di sfumare le posizioni di Venezia, non esitò, il 26 gennaio, a intimargli, sdegnatissimo, di uscire dai domini ottomani, non appena appurò che il C. non era autorizzato a mettere in discussione l'isola. Il C. obbedì; ma, giunto il 27 gennaio ad Adrianopoli "credendo - come scrive egli stesso il 10 febbraio al Pregadi - continovar questo mio forzoso camino, sopravengono ordini del Visir per il mio arresto, che furono immediate essequiti". Inutile che il de La Haye scongiurasse per il suo rilascio, inascoltate le proteste avanzate a nome della Repubblica per una così brutale determinazione: il C. fu costretto a una dura prigionia. Né valse a consolarlo la nomina, del 19 giugno 1653, a procuratore di S. Marco; in preda a un progressivo scoramento, tentò, all'inizio del 1654, il suicidio, ferendosi, non gravemente, con tre colpi di coltello. Tale gesto, la considerazione della tarda età e del turbato equilibrio psicologico convinsero il Senato a trasferire, il 20 maggio 1654, l'onere dell'ambasciata al segretario Ballarino, che già, di fatto, sostituiva il C., e a permettere al C. il rimpatrio, qualora fosse divenuto possibile. Assunta dunque, a partire dal luglio 1654, la rappresentanza ufficiale dal Ballarino, che svolgerà il suo compito con coraggio in un continuo alternarsi di diffidenti contatti e minacciosi isolamenti, al C., ambasciatore ormai solo di nome, venne concesso, nel 1658, il ritorno a Costantinopoli.
Qui morì il 4 nov. 1662, affranto più dal "peso dell'afflitioni", che da quello, pur rimarchevole degli anni.
Nella chiesa dei gesuiti ci furono solenni esequie; il corpo, imbalsamato, rimase per alcuni mesi nell'ambasciata inglese, quindi, tagliato in due e celato in un barile di caviale, venne portato a Tenedo e di lì, in un vascello olandese, a Venezia perché riposasse nella tomba di famiglia. Erede del C., privo di discendenza diretta, divenne il nipote Giovanni, figlio del fratello Andrea, futuro podestà di Padova.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 55(Libro d'oro nascite, V), c.51r; Ibid., Testamenti, busta 1138/138; la relazione del C. sulla podestaria di Brescia, le due relazioni sui suoiprovveditorati in Terraferma e quella sull'inquisitorato e sindacato in Levante, Ibid., Senato. Relazioni, buste 37, 53, 74; una lettera del C., bailo a Costantinopoli, Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di ambasciatori e rappresentanti, busta 7 n. 156; le lettere del C., podestà di Brescia, provveditore generale in Terraferma, inquisitore in Levante, Ibid., Senato. Lettere Bressa e Bressan, filze 26-28, e Senato. Lettere provveditori da terra e da mar, filze 104 s., 115-118, 1191-1193 bis, e Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di rettori e altre cariche, buste s nn. 42-44, 29 nn. 1-51 passim, 30nn. 118-157 passim, 31nn. 96, 148, 150, 165; sul tumulto di Vicenza e l'azione repressiva del C., Ibid., Senato. Lettere Vicenza e Vicentino, filza 31;lettera del C. in Venezia, Civico Museo Correr, mss. P.D. C1049/159; Relatione... della grande controversia nata in Gerusalemme circa alcuni santuarii da greci usurpati a' latini... descritta da un religioso minorita, Lodi 1637, pp. 48-55, 68; Relatione del passaggio per Bressa d'Anna Maria d'Austria figliuola di Ferdinando terzo imperatore et moglie di Filipo quarto re delle Spagne, Venetia 1649; S. Cosmi, In funere... Io. Baptistae Ballarino... oratio, Venetiis 1667, p. 26; Id., Hermathena sive... orationes funebres…, Ferrariae 1792, p. 233; M. Trevisan, L'immortalità di Gio. Battista Ballarino…, Venetia 1671, pp. 120, 123 s., 128 s.; Die Relationen der Botschafter Venedigs über Deutschland und Östrreich, a cura di I. Fiedler, in Fontes Rerum Austriacarum, s. 2, XXVI, Wien 1867, pp. 384, 386; Le relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasc. veneti nel secolo decimosettimo. Turchia, a cura di N. Barozzi-G. Berchet, I, Venezia 1871, pp. 9 s., 325; II, ibid. 1872, pp. 5-67, 71, 101; Documente privitóre la istoria Românilor, a cura di E. de Hurmazaki, Bucuresci 1884-85, IV, 2, pp. 438-464; VI, 1, p. 20; Corrisp. tra la corte di Roma e l'inquisitore di Malta durante la guerra di Candia, a cura di A. Piccolomini, in Arch. stor. ital., s. 5, XLV (1910), pp. 304, 337, 342; Calendar of State papers... relating to English affairs existing in the archives... of Venice, a cura di H. B. Hinds, London 1916-1932, XXI, pp. 39-41; XXII, pp. 256-594 passim; XXIII, pp. 44-96 passim; XXIV, pp. 386, 439, 450 s., 453, 569; XXIX, pp. 10, 103 s.; XXXII, pp. 243, 278; XXXIII, pp. 110, 233 s., 278-280, 284; Le cronache bresciane inedite…, a cura di P. Guerrini, Brescia 1927-1931, II, pp. 326, 560; IV, pp. 214-255 passim; Croniche ovvero Annali di Terra Santa, a cura di G. Golubovich, Firenze 1929-1936, II, pp. 178-80, 196-98, 201; III, pp. 3 s., 11-14, 29; V, pp. 159 s.; G. Sagredo, Memorie istoriche de' monarchi ottomani, Venetia 1677, pp. 963 s.; P. Rycaut, The history of the Turkish Empire the year 1623 to the year 1677, London 1680, passim; B. Nani, Istoria della Repubblica veneta, in Degl'istorici delle cose venez., IX, Venezia 1720, pp. 229, 311-313, 335, 349, 475; P. Daru, Histoire de la République de Venise, V, Paris 1821, p. 61; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 421-423; G. Cappelletti, Storia di Padova, II, Padova 1875, p. 265; G. Soranzo, Bibliografia venez., Venezia 1885, p. 245 n. 2993; [B. Cecchetti], Un bailo accusato di stregoneria, in Archivio veneto, XXXIV(1887), pp. 358, 361; G. Zulian, Le relazioni tra il card. Giulio Mazzarini e Venezia, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XXI (1911), pp. 354 s.; XXII(1911), pp. 335-343, 349 s.; T. Bertelé, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinooli, Bologna 1932, pp. 193-201, 234 s. nn. 82-83, 417 s., 424; F. Capretti, Mezzo secolo di vita vissuta a Brescia nel Seicento, Brescia 1934, pp. 326, 560; H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, III, Stuttgart 1934, pp. 326, 328, 330, 335; F. Antonibon, Le relaz. a stampa degli ambasc. veneti, Padova 1939, p. 38; Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 17, 21; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia veneziana del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, p. 293; A. da Mosto, I dogi di Venezia, Milano 1960, p. 378; C. Iacini, Il viaggio del Po, VIII, Le città, pt. V, Venezia, I, Milano 1964, pp. 114, 117; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, LVI, p. 12.