GIOVANNI Canapario (Campanario)
Nacque presumibilmente a Roma, dove fu monaco e abate nel monastero dei Ss. Bonifacio e Alessio sull'Aventino, tra la fine del sec. X e l'inizio dell'XI.
Le scarne notizie riferibili a lui con buona sicurezza si evincono da una serie di testi agiografici legati ai santi venerati nel cenobio aventinese e ad Adalberto di Praga. Stando al racconto della conversione in extremis di tale Francone Maringo, tramandata nei Miracula s. Alexii, G. proveniva da una famiglia romana di alto lignaggio ("nobilitate carnis pollens et divitiis affluens") e aveva attirato con sé all'osservanza monastica ("monachicum habitum") parenti e amici. Francone, uno di questi, aveva però abbandonato il proposito: trovandosi in fin di vita, venne accompagnato al monastero per implorarne i santi e sciogliere così l'antico voto. Secondo l'agiografo l'episodio si svolse quando G. era ancora semplice monaco ("ea tempestate qua Iohannes Papa [Giovanni XV] praesulabat") e all'epoca dell'abate Leone, se è vero che Francone fu introdotto nel monastero "data licentia ab abbate Leone qui tunc eidem monasterio praeerat […] ubi praestolabatur eum praenominatus Iohannes Canaparius". Solo dopo aver accolto la supplica che Francone innalzò prima di morire ai patroni del monastero, "talibus denique perculus praelibatus Iohannes Canaparius abbatem convocavit et fratres, quibus rei veritatem ordinem narrans, monachum illum fieri rogavit".
Nella Vita Adalberti prior G. ("Campanarius" nella lezione di alcuni manoscritti) compare al cap. XXIX come testimone di una visione celeste: ancora monaco converso, vide scendere dal cielo due tovaglie, candide come neve; su una lesse impresso il nome di Adalberto, sull'altra un nome che non si vuole professare. Nella Vita Adalberti altera, scritta da Bruno di Querfurt nel 1004, G. viene pure ricordato come "abbas", carica che verosimilmente rivestì dopo che Leone divenne abate di Nonantola (25 marzo 997). Più difficile, invece, individuare G. nella lista dei monaci che convenivano sull'Aventino e colloquiavano col futuro santo, anche se J. Karwasińska lo identifica con "maioribus Dei sapiens Iohannes". Sempre come abate, G. compare in un placitum del 1002 (8 marzo) in cui Silvestro II confermava al monastero aventinese la donazione di possedimenti urbani e rustici da parte del prefetto Eufemiano, padre di s. Alessio, vissuto al tempo di Arcadio e Onorio. La donazione cui si fa riferimento è un falso, confezionato nel milieu dell'Aventino, per salvaguardare le proprietà del monastero che con la morte di Ottone III (21 genn. 1002) aveva perso il suo protettore imperiale.
Il cenobio di Ss. Bonifacio e Alessio fu senza dubbio un importante luogo di scambi religiosi in quel torno di anni. Vi si radunavano personalità di rilievo, fra cui Adalberto di Praga che vi soggiornò dal 990 al 992 e dal 995 al 996, dopo aver abbandonato per due volte la sede episcopale a causa delle ostilità del duca di Boemia e delle violente tensioni suscitate dalla sua azione pastorale. Insieme con lui si trovava anche il fratello, Radim (Gaudenzio), che fece la sua professione monastica nel monastero insieme con Adalberto, ma vi fu accolto pure Bruno di Querfurt dal 998 al 1000. Gli studi di J.-M. Sansterre hanno notevolmente ridimensionato il presunto ruolo del monastero in un progetto di espansione missionaria legato alla Renovatio Imperii Romanorum, e confutato che il cenobio, fondato nel 977 dal vescovo Sergio di Damasco, ospitasse intorno al 990 una doppia comunità, greca e latina. L'ipotesi si basava sull'interpretazione forzata di un passaggio della Vita Adalberti altera, in cui Bruno di Querfut afferma che nel monastero "Greci […] inquam, optimi veniunt, Latini similes militantur. Superioribus quatuor pius Basilius, inferioribus quatuor magnus Benedictus" (cap. XVII). In realtà il testo permette solo di affermare che i latini abitavano il monastero e ricevevano la visita di confratelli greci, intrattenendo con loro rapporti spirituali. Ottone III era comunque molto legato a questa comunità monastica (cui donò il mantello della sua incoronazione imperiale, celebrata a Roma nel maggio del 996), e stretto ad Adalberto da un sentimento di profonda venerazione.
Una tradizione di lungo corso e ampia risonanza vuole G. autore della Vita Adalberti prior, composta intorno al 999-1000 da un contemporaneo, protagonista o comprimario delle vicende narrate. L'attribuzione a G. è congetturale e non è mai stata accolta senza discussioni. La questione è difficile da districare perché nel testo non si danno notizie sull'autore. La disputa sull'attribuzione ebbe origine nel 1604, quando Enrico Canisio, primo editore della Vita prior sulla base di un testimone ora deperdito, non ne indicò il nome, riferendosi semplicemente a un "auctor aequaevus". Ma un anno più tardi Cesare Baronio inserì nei suoi Annales ecclesiastici l'informazione, tratta dal cod. Casinensis 145 (Montecassino, Archivio della Badia, sec. XI), che riporta il titolo Vita s. Adalberti episcopi et martyris edita a domino Silvestro papa urbis Romae. M. Freher propose, invece, come autore Cosma da Praga della fine del sec. XII, mentre Bzovio - riferendosi al titolo del cod. Casinensis - sanciva la paternità di Silvestro II.
Le discussioni e le edizioni del sec. XIX limitarono le congetture a due candidati: il fratello di Adalberto, Radim (Gaudenzio) e Giovanni Canapario. W. Kętrzyński (1884) e J. Voigt (1827) si pronunciarono a favore del fratello, compagno di vita monastica, testimone di tutta la vita del santo e primo vescovo di Gniezno. G.H. Pertz (1841), editando la Vita sulla base di una ricognizione di 14 testimoni, avanzò l'ipotesi che ne fosse autore G., indicandolo come tale addirittura nel titolo (Vita antiquior auctore Iohanne Canapario). L'attribuzione di Pertz è stata generalmente accolta e ribadita, anche dall'editrice moderna, J. Karwasińska, i cui lavori filologici dispensano dal ritornare su alcuni dati acquisiti. La tradizione manoscritta annovera 38 testimoni - a cui P. Devos aggiunge il codice conservato a Parigi, Bibl. nationale, Fondslat. 8432 del sec. XV - raggruppabili in tre recensioni. A G. è attribuita la partecipazione alla stesura della redazione cosiddetta "ottoniana" o "imperiale" della Vita, che avrebbe avuto origine dalla volontà dell'imperatore Ottone III di celebrare la vita del vescovo praghese di cui era amico.
G. morì a Roma il 2 ott. 1004 e fu celebrato da un epitaffio ancora visibile, sebbene molto danneggiato, nella chiesa dei Ss. Bonifacio e Alessio sull'Aventino.
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(omisso initio); Acta sanctorum Aprilis, III, Parisiis 1866, pp. 176-189 (Adalberto da Praga); Die Chronik des Bischofs Thietmar von Merseburg und ihre Korveier Überarbeitung, a cura di R. Holtzmann, Berlin 1935, pp. 165-167 (l. IV, cap. 28); E. Canisio, Antiquae lectiones, V, 2, Ingolstadii 1604, pp. 329-354; C. Baronio, Annales ecclesiastici, XI, Romae 1605, ad annum 1003, p. 15; ad annum 1004, pp. 22 s.; M. Freher, Rerum Bohemicarum antiqui scriptores insignes partim hactenus incogniti, II, Hanoviae 1607, pp. 73-84; F. Bzovio, S. Adalberti… Vita et passio, Romae 1629; G. Sceverano, Memorie sacre delle sette chiese di Roma, Roma 1630, pp. 371-374; J. Mabillon, Acta sanctorum Ordinis S. Benedicti, V, Lutetiae Parisiorum 1677, pp. 849-865; F. Nerino, De templo et cenobio Ss. Bonifacii et Alexii historica monumenta, Romae 1752, pp. 134-142; H.G. Voigt, Über den hl. Adalbert und dessen Bibliographen, in Geschichte Prussens, I, Königsberg 1827, pp. 650-658; A. 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