CANALE, Giovanni
Nacque a Cava dei Tirreni (Salerno) nella prima metà del sec. XVII. Studiò legge ed esercitò la professione di notaio prima a Napoli e poi nell'Abruzzo aquilano, dove egli si trasferì in data imprecisabile, ma sicuramente posteriore alla rivolta masanelliana.
Le sue poesie, singolarmente povere di dati autobiografici, non lasciano trapelare alcuna notizia circa i motivi del trasferimento dalla nativa Campania in Abruzzo. Sembra però lecito arguire dal tono particolarmente risentito di alcune liriche che non si dové trattare di un trasferimento volontario, o, per lo meno, che egli fu costretto ad allontanarsi da Napoli per motivi inerenti alla propria salute (una volta accenna fugacemente a una grave infermità mentale che lo avrebbe turbato durante i moti del '47). Costretto a vivere in Abruzzo, egli indirizza disperati appelli all'amico C. A. Stella, e appena ricevuta la notizia che può rientrare in patria, scrive in questi termini a Federico Meninni: "Grazia del ciel! Nel tribunal delfato / della mia volontà scritto è 'l decreto, / che dai monti del Sannio or sprigionato / della Sirena lo torni al grembo lieto". "Ma fuggo e torno a voi, colli frondosi, / placidissimo cielo, aria serena, / del ciel liquido specchio, onda tirrena, / a goder sospirati i miei riposi", esclama in una lirica dettata nella medesima circostanza, anticipando con la fantasia la gioia di riscoprire un paesaggio familiare.
Ritornato in patria, il C., che si confessava "spinto dal lucro a cui sto intento e desto", resse la regia dogana di Napoli, esercitando la professione di notaio a Cava e a Salerno. Nell'archivio notarile di questa città rimangono numerose testimonianze di atti rogati da lui dal 1690 al 1722.La sua morte dové avvenire in un anno assai prossimo a questa data. Aveva sposato Isabella De Vicariis, dalla quale aveva avuto tre figli: Giuseppe, Flavio e Adeodata. Da un'ode indirizzata al congiunto Nicola Pisapia De Vicariis sappiamo che due di essi morirono prima del padre.
La produzione letteraria del C. fu vasta e occupa una serie cospicua di anni, se si pensa che una prima raccolta di liriche fu stampata, divisa in due parti, a Venezia nel 1667. Seguì un poema di ispirazione religiosa, L'anno festivo, ovvero i fasti sacri (Venezia 1674) e un farraginoso romanzo intitolato Amatunta (Venezia 1681); dopodiché lo scrittore tornò alla primitiva raccolta di Poesie ristampandole, con notevoli aggiunte, a Napoli nel 1694. Questa silloge, dedicata "all'eminentissimo e reverendissimo principe il signor cardinal F. Vincenzo Maria Orsini", si differenzia dalla prima raccolta, oltre che per il numero delle poesie, per un piùrigido ordinamento di esse, che vennero ripartite, secondo gli argomenti, in amorose, eroiche, encomiastiche, funebri e sacre.
Una serie considerevole di poesie è incentrata sul rimpianto della patria cavese, allorché il C. fu costretto a vivere in Abruzzo. Gli stessi destinatari della sua prolungata esercitazione poetica (lo scrittore Tommaso Gaudiosi, il vescovo di Policastro Tommaso De Rosa, Giuseppe Canale, presidente della Regia Camera ed avvocato fiscale, il barone Michele Vitale) sono gli amici che egli conservava durante l'esilio e ai quali si rivolgeva con accenti di amaro rammarico. Anche i luoghi rievocati si iscrivono immancabilmente in un paesaggio remoto e insieme familiare, ravvicinato nella memoria dell'esule, come avviene in quei sonetti, uno dei quali piacque al Croce, in cui si esalta la vita solitaria nel monastero della SS. Trinità.
Fra le liriche motivate dalle più urgenti ragioni sentimentali, il C. trova l'opportunità di inserire un personale omaggio alla letteratura del tempo celebrando, in un'ode a Urbano Carrara da Sulmona, l'Accademia degli Occulti, ovvero lodando in termini di sincera ammirazione il più applaudito poeta contemporaneo, il Marino ("Perché qui posa al sotterraneo seno / il grande Autor della famosa Lira, / cha te dolcezza inspira, / Febo partenopeo, / delle muse e d'amor pompa e trofeo", come si legge in un'ode indìrizzata a Ottavio Gaudiosi). Questi elogi del Marino sono significativi per determinare precise derivazioni letterarie nella poesia del C., che è sempre in grado di padroneggiare lo stile marinistico, quale che sia l'argomento prescelto per l'esercitazione lirica. Non solo il tema amoroso, o la pura descrizione mitologico-allegorica si atteggiano ai moduli d'espressione consueti della lirica concettistica, ma anche la confessione autobiografica, i temi del disagio e del disgusto per una vita quotidiana sradicata dal luogo che è il centro degli affetti vengono svolti secondo la magniloquenza che richiede una esibizione di cultura letteraria. Vero è che a questo scrittore, consegnato alla tradizione come una delle rare voci spontanee che si avvertono nel secolo dell'artificio, mancò una reale possibilità di poesia autobiografica, tanta è l'urgenza in lui di mediare il ricco patrimonio di esperienze e di affetti dietro il diaframma di una professione letteraria, che avrebbe dovuto riabilitarlo agli occhi dei contemporanei. Si che più delle poesie amorose o autobiografiche conservano un valore retrospettivo proprio quelle rime morali in cui appare manifesto l'intento dello scrittore di misurarsi con i grandi temi poetici del secolo.
Il C. cantò il trascorrere del tempo, la vanificazione dell'esistenza, il trionfo della morte, con una intensità stilistica che lo inserisce a pieno diritto nella stagione barocca della poesia europea. I suoi simboli sono l'orologio, la danza macabra, il vecchio, ed è intorno a queste immagini lungamente vagheggiate che si raccoglie la varia e accesa fantasia dello scrittore.
Evidentemente non tutta la lirica del C. si mantiene ad un livello accettabile di rappresentazione. Accanto all'ode in morte del filippino Carlo Canale, che è da annoverarsi tra le più suggestive del genere, esistono le solenni ma glaciali rime di ispirazione sacra, quelle dettate da motivi occasionali o encomiastici, costruite, come le migliori d'argomento morale, su un gioco sempre molto sapiente di sfumature metaforiche, di antitesi e di parallelismi; solo che, data la contingenza del movente, l'equilibrio retorico spesso si infrange nel giudizio del lettore moderno e l'artificiosità della forma rende ancor più manifesta la sottigliezza dell'ispirazione.
Bibl.: Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, p. 469; E. Risi, Poesia marinistica meridionale, Pompei 1932, pp. 11-28; L. Cassese, I notari nel Salernitano ed i loro protocolli dal 1362 alla fine del '700, in Notizie degli Archivi di Stato, VIII (1948), pp. 153 s.