CALDIERA (Calderia), Giovanni
Nacque a Venezia verso il 1395; il nome del padre era forse Iacopo. Nel settembre 1418 era studente a Padova, dove il 29 maggio 1420 conseguì il dottorato in arti e poi il 20 ott. 1426 quello in medicina. Intanto, ancora studente, fu lettore di fisica straordinaria nello studio padovano con stipendio annuale di 20 ducati d'argento e compose e recitò nove orazioni universitarie per l'inizio di anni accademici, per lauree, per la propria elezione al rettorato nel 1-425 ecc., che ci sono conservate dal codice Lat.XI 102 della Biblioteca Marciana di Venezia. Mantenne contatti con lo Studio fino al 143 1, benché allora stabilito a Venezia dove esercitò come medico continuando gli studi astronomici e astrologici iniziati a Padova.
Il 18 febbr. 1428 a Venezia il C. acquistò dai serviti, per quattro ducati, un codice da identificarsi con quello delle Tabulae astronomicae alfonsine, seguite dai Canones tabularum Alphonsi di Giovanni Danckonis di Sassonia, trascritto forse in Fiandra, nel 1367, da Bartolomeo d'Austria e Pietro di Polonia, attualmente codice 162della Biblioteca Plimpton di New York; tali Tabulae dovettero servirgli per il suo Liber canonum astrologiae ac totius orbis descriptio (ora codice Lat.VIII 72 della Biblioteca Marciana di Venezia), indirizzato ad Alfonso V re d'Aragona e perciò compilato prima del 1442, quando questi divenne anche re di Napoli. Il Liber canonum, progettato in dieci libri, si interrompe a metà dell'ottavo capitolo del quarto libro; un elenco dei titoli dei libri mancanti è comunque inserito tra il primo e il secondo libro. Segue nel codice un opuscolo De Sphaera, senza nome di autore, attribuibile anch'esso al Caldiera.
A Venezia il C., forse come assistente del precettore ducale Pietro Parleone, insegnò anche lettere latine ad un gruppo di giovani, fra i quali la prediletta figlia Catteruzza ed Antonio Vinciguerra; per assistere la figlia negli studi scrisse allora un'Expositio dei cosiddetti Disticha Catonis (Modena, Bibl. Estense, Campori App. 293 [Gamma T. 5,5]). Però, prima che egli l'avesse terminata, la giovane si era rivolta verso interessi esclusivamente religiosi ed aveva scritto una propria opera, De laudibus Sanctorum;deluso, il C. concluse il proemio dedicando l'opera al fratello Cristiano.
Da alcune lettere scambiate fra Guarino Veronese e Francesco Barbaro, risulta che Gregorio, figlio di Guarino, si era nel 1451innamorato della figlia del C. e l'aveva chiesta in matrimonio. Benché favorevole, il C. era talmente ostacolato dalla moglie che il Barbaro, al quale Guarino si era rivolto per aiuto, non riusciva ad ottenere una risposta decisiva. Il Guarino ricordava all'amico che per riscaldare la freddezza della famiglia Caldiera necessitavano stimoli assidui, e che "omnia vincit amor"; ma le insistenze a nulla valsero e, alla morte del padre (1460), Gregorio era ancora scapolo. Il conflitto con la figlia e la moglie, messo in evidenza dalle fallite trattative per il matrimonio, spinse il C. a scrivere per Catteruzza le ampie Concordantiae poetarum philosophorum et theologorum, nell'intento di allontanarla dalla sua esaltata religiosità, dimostrandole che in ogni uomo, come in ogni cosa, vi è un che di divino. L'opera fu stampata a Venezia soltanto nel 1547e valse al C. una certa fama postuma di filosofo platonico; tuttavia nelle Concordantiae gli enciclopedici argomenti sono usati disordinatamente ed indiscriminatamente, e l'opera denuncia il fallimento di quelle giovanili promesse di capacità critica che erano nel Liber canonum:degli studi padovani di astrologia resta qui solo un debole rillesso negli accenni alle tradizioni che collegavano i poeti con i vari astri.
Dato che un codice delle Concordantiae (Bibl. Apost. Vat., Pal. lat.985)appartenne a Giamozzo Manetti (m. 1459), la data di composizione dell'opera sembrerebbe anteriore all'anno 1457.
In quell'anno infatti il C., su invito di re Alfonso, si trasferì a Napoli per esercitarvi la professione di medico, ma non risulta per quanto tempo vi sia rimasto. Unica testimonianza di tale soggiorno è una lettera in cui Niccolò Sagundino da Negroponte, segretario ducale veneto alla corte aragonese, scrivendo al figlio Giovanni il 2 nov. 1457, attribuisce la sua guarigione da una malattia alle cure ricevute dal C. (Bibl. Apost. Vat., cod. Ott. lat.1732, f. 61).
A ricordare l'attività di medico del C., infine, restano nella Biblioteca Vaticana alcuni suoi Consilia medica nel codice Pal. lat.1115, un frammento dei suoi Aphorismi nel Pal. lat.1086, e l'intero Aphorismorum liber dedicato a G. Lazzarello nel ms. 339 dei Codici latini Monacensis della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.
Nel 1462, comunque, il C. era nuovamente a Venezia, dove all'indomani della festa di S. Marco (26 aprile) il copista Cornelio de Mera di Zelandia finiva di trascrivergli una nuova opera, l'Expositioin Psalmos, dedicata dal C. al fratello Cristiano (il manoscritto originale è forse l'Est.1000[Alpha K. 3, 6]della Biblioteca Estense di Modena). L'anno seguente il C. si fece ancora copiare da Cornelio di Zelandia due commentari aristotelici, il primo di un Francesco da Siena (forse Francesco di Ugo Benzi) sull'introduzione alla Logica, l'altro di fra' Paolo Veneto (Nicoletti) sui Praedicamenta.
Il manoscritto, appartenuto a Francesco Sanudo, è ora il Ms. Canon. Misc.452della Biblioteca Bodleiana di Oxford, dove, riuniti nel Ms. Laud. Mise.717, si conservano anche i tre ultimi opuscoli del C. con la data del 20 ott. 1473: il primo, De virtutibus moralibus et theologicis in otto libri, dedicato al doge Cristoforo Moro, tratta delle virtù e dei vizi; il secondo, De æconomia veneta in due libri, dedicato a Tommaso Gradenigo, riguarda la vita familiare e domestica, cioè i problemi personali che tanto avevano travagliato il C. - il terzo, De praestantia venetae politiae in cinque libri, indirizzato al Vinciguerra, è un compendio di argomenti, nello stile delle Concordantiae, che risalgono alla storia biblica e classica, illustranti l'origine e la felicità della vita politica veneziana.
In un suo testamento il C. nominò la figlia unica erede, ma aggiunse, secondo la Cosmodystychia di Francesco Negro, un curioso codicillo che rivelava la sua credenza platonica nell'apocatastasi: cioè, nel caso del suo ritorno in vita con la rinnovazione del ciclo cosmico, ella sarebbe stata costretta a restituirgli tutto. La morte di Catteruzza però precorse quella del padre, e venne lamentata nella III satira, I in ordine cronologico, del Vinciguerra, una consolatoria in terza rima indirizzata al C.: come già Gregorio Guarini, anche il Vinciguerra potrebbe essere stato pretendente o innamorato della giovane.
Nella Biblioteca civica Guarneriana di San Daniele del Friuli (codice 57, f. 173rv) esiste inoltre un carme di 18esametri latini, probabilmente del riminese Filippo Federighini, che lamenta la mancata felicità dell'eventuale marito di Catteruzza. Le relazioni d'amicizia tra il C. e il Federighini sono dimostrate anche dal De paupertate symposium di quest'ultimo (nel medesimo codice della Guarneriana, ff. 160-169v e in quello a Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. Lat.VI 132) di cui il C., assieme all'autore e ad Andrea Contrario, è interlocutore sotto il nome di Ippocrate.
Il C. morì a Venezia nel 1474 e fu sepolto nel sepolcro di famiglia, allora esistente nel chiostro di S. Maria dei Servi.
Fonti e Bibl.: Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, a cura di G. Zonta-G. Brotto, I, Padova 1970, ad Indicem;Guarino Veronese, Epistolario, a cura di R. Sabbadini, II, Venezia 1916, pp. 558 ss.; III, ibid. 1919, pp. 445 s., 495, 506 s.; G. F. Tomasini, Gymnasium Patavinum…, V, Utini 1654, p. 496; G. degli Agostini, Notizie istorico-critiche degli scrittori veneziani, I, Venezia 1752, pp. IX n. b, XLIX n. c; II, ibid. 1754, pp. 411-19; G. Facciolati, Fasti Gymn. Pat., Patavii 1757, II, pp. 79, 103; A. Della Torre, Di A.Vinciguerra e delle sue satire, Rocca San Casciano 1902, pp. 19-22, 93-96; R. Sabbadini, Briciole umanistiche, XIII, Caterina Caldiera, in Giorn. stor. della lett. ital., XLIII (1904), p. 245 (loc. del ms. sbagliato); A. Sospetto, Le satire edite e inedite di A. Vinciguerra, Ciriè1904, p. 39; P. L. Rambaldi, Rassegna bibliografica, in Nuovo archivio veneto, n.s., X (1905), pp. 129-63; R. Sabbadini, A. Contrario, ibid., XXXI(1916), pp. 378-433; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, IV, New York 1934, pp. 163-66, 667 ss. (indice dei libri e capitoli del Liber canonum);S.De Ricci-W. J. Wilson, Census of Medieval and Renaissance manuscripts in the United States and Canada, II, New York 1937, p. 1782; G. Mercati, Ultimi contributi alla storia degli umanisti, II, Città del Vaticano 1939, pp. 38 n. 4, 69; G. M. Cagni, I codici Vaticani palatino-latini appartenuti alla biblioteca di G. Manetti, in La Bibliofilia, LXII (1960), p. 24 n. 35 (Maneti 32); P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.