CAETANI ORSINI, Giovanni
Apparteneva al ramo napoletano della potente famiglia degli Orsini ed era figlio di Rinaldo Orsini (m. 1286) soprannominato "Rinaldus Rubeus", fratello di Giovanni Caetani Orsini, divenuto papa col nome di Niccolò III (1277-80). Il nome Caetani Orsini derivava da uno dei suoi antenati, Orso, che aveva sposato una Caetani. Uno dei suoi fratelli era il famoso cardinale Napoleone.
Iniziò la sua carriera come giureconsulto conseguendo una notevole fama. Alberico da Rosciate nel suo Dictionarium… iuris (Pavia 1498) e Oldrado da Ponte nei suoi Consilia seu Responsa et quaestiones aureae (Francoforte 1576)infatti tessono di lui elogi particolarmente sentiti. Ebbe anche una vasta competenza nelle questioni militari.
Nel primo concistoro di Giovanni XXII, celebrato il 18 dic. 1316, entrò a far parte del Sacro Collegio come cardinale diacono di S. Teodoro, insieme con altri sette prelati. La considerazione in cui fu tenuto da Giovanni XXII prima e da Benedetto XII poi gli valse numerosi benefici. Dal 25 genn. 1317, giorno in cui ricevette la chiesa di S. Lorenzo in Salerno, fino alla sua morte avvenuta nel 1335, è lunga la serie delle concessioni in suo favore di cui i registri pontifici conservano i particolari. Conferitagli da Giovanni XXII anche la carica di cardinale protettore dell'Ordine dei serviti, si adoperò in molte occasioni per loro, ottenendo che venissero ad essi accordati numerosi privilegi.
In diverse circostanze poi venne richiesto il suo parere sui grandi problemi di interesse generale che angustiavano Giovanni XXII, come ad esempio quello della povertà di Cristo che allora sollevava accese polemiche. In quest'occasione il C. rifiutò di prendere nettamente posizione, adducendo la propria incompetenza.
Sulla questione dell'opportunità di una nuova crociata invece il suo parere fu assai più deciso. L'occasione di questa consultazione fu determinata dalla venuta ad Avignone del conte di Clermont e di altri feudatari francesi, il 22 marzo 1323, incaricati di prendere accordi col papa per l'organizzazione dell'impresa. Giovanni XXII domandò nel mese di aprile l'opinione del Sacro Collegio e la risposta del C. fu che l'operazione presentava gravi rischi: la Francia infatti non era in grado in quel momento di organizzare un'armata capace di assicurare il successo della impresa e inoltre i sussidi e le navi riunite dal re, dai baroni e dai prelati del regno erano insufficienti per la buona riuscita delle diverse spedizioni. D'altra parte non appariva neppure sicuro che il sovrano potesse in seguito continuare a sostenere, con l'invio di uomini ed equipaggiamenti, l'onere di una crociata molto costosa e che richiedeva una solida organizzazione: infatti le risorse nazionali erano scarse e le imposte non rendevano sufficientemente. Per tutti questi motivi il C. non nascose al papa la sua preoccupazione.
Nel 1326 il C. fu incaricato di un'importantissima missione: fu cioè nominato legato in Italia in appoggio al cardinale Bertrando del Poggetto, troppo impegnato nelle operazioni militari in Lombardia per occuparsi della Toscana e delle regioni vicine. La nomina di un nuovo legato liberava il Poggetto dall'onere del governo di tutta l'Italia centrale a sud di una linea che passasse per Pisa, Città di Castello, Perugia, Urbino e la Marca d'Ancona.
Il C. era invitato infatti a intervenire nell'arcidiocesi di Pisa, nei vescovadi di Città di Castello, Perugia, Urbino, Orvieto e Viterbo, Tivoli, Rieti, Todi e Narni, nella Massa Trabaria, nella Marca d'Ancona, nel ducato di Spoleto, nelle contee della Campagna, della Maremma e della Sabina, nel Patrimonio di S. Pietro. Il legato aveva l'ordine di proteggere l'Italia centrale contro le trame di Lodovico il Bavaro e i suoi partigiani e di ristabilire l'autorità della Chiesa romana in una regione in piena anarchia.
Il 17 apr. 1326 egli ricevette istruzioni estremamente dettagliate che gli conferivano estesi poteri come il diritto di procedere contro tutti coloro che avessero seminato scandali o discordie nella sua legazione e lo avessero ostacolato nella sua missione di pacificazione; il diritto di censura ecclesiastica contro chiunque gli si fosse opposto e non avesse accettato le sue esortazioni; il diritto di ritirare i privilegi e le indulgenze concesse dalla S. Sede ai religiosi, se si fossero opposti alla sua volontà; il potere di trattenere presso di sé i frati predicatori, i minori e tutti gli altri di cui avesse avuto bisogno, col dovere di assoluta obbedienza, come pure la facoltà di inviarli ovunque avesse ritenuto opportuno e di conceder loro il permesso di montare a cavallo e di mangiar carne; il diritto di prendere provvedimenti nei confronti di quei chierici secolari della sua legazione che gli avessero disobbedito, di obbligare prelati sia regolari sia secolari ad aiutarlo finanziariamente; il potere di assoluzione in un gran numero di casi riservati e di indulgenza per tutti coloro che avessero fatto offerte per la costruzione di chiese, ospedali, ponti e per l'assistenza dei poveri. Per un riguardo ai Fiorentini il nuovo legato venne insignito dell'antico titolo di pacificatore generale della Toscana. Tutti gli ecclesiastici, principi, marchesi, baroni, soldati, semplici cittadini e contadini avevano il dovere di riceverlo con tutti i riguardi.
Giunto in Italia, il C. venne accolto a Pisa dal partito guelfo e successivamente entrò a Firenze, si stabilì nel convento di S. Croce e pubblicò la bolla della sua legazione in Toscana e nelle regioni circonvicine. In seguito si adoperò per rafforzare la posizione degli alleati del papa e in particolare riprese Narni. Scomunicò, privandoli di ogni dignità, Castruccio, il tiranno di Lucca e il luogotenente del Bavaro, Guido de' Tarlati, vescovo di Arezzo.
Nel frattempo la situazione a Roma precipitava: nel marzo 1327 Ludovico giunse in Italia e si diresse verso la città. Bertrando del Poggetto dovette rinunciare ad arrestarlo e le truppe ghibelline marciarono indisturbate verso Roma che si dichiarò in favore degli invasori, rifiutando di ricevere entro le sue mura il legato pontificio. Il C. tentò allora di penetrarvi con la forza prima che lo facessero le truppe imperiali: nella notte tra il 27 e il 28 settembre occupò di sorpresa il Borgo e la basilica di S. Pietro con l'aiuto del principe di Morea, fratello del re di Napoli, sperando così di avere il controllo di uno dei quartieri più popolosi di Roma e di poter impedire l'incoronazione del principe bavarese che doveva aver luogo nella basilica. I Romani tuttavia reagirono duramente e respinsero gli attaccanti. L'indomani, il 29 settembre, una nuova offensiva contro la porta di S. Sebastiano si risolse ugualmente in un insuccesso e il C. fu costretto a ritirarsi. Il 7 genn. 1328 Ludovico entrò nella città e dieci giorni più tardi venne incoronato imperatore a S. Pietro (17 genn 1328).
Le passioni si scatenarono: il 3 aprile Giovanni XXII fu deposto con una sentenza dettata da Marsilio da Padova. Il 12 maggio il popolo romano venne invitato a procedere alla elezione di un nuovo papa che fu il francescano Pietro di Corvaro, col nome di Niccolò V. Il nuovo pontefice venne appoggiato soprattutto dai francescani e dagli agostiniani, che dispiegarono uno zelo fanatico per sollevare l'opinione pubblica in suo favore. Michele da Cesena e Guglielmo, d'Ockham accumularono libelli su libelli contro Giovanni XXII.
In questa situazione il C., ritiratosi a Firenze, fece appello al francescano Pietro Toti vescovo di Samo, per rispondere agli attacchi dei partigiani di Ludovico di Baviera: costui compose un trattato Contra Bavarum difendendo la causa di Giovanni XXII. L'opuscolo difende non solo l'indipendenza del papa rispetto all'imperatore, ma anche la sua huperiorità in base alla formula allora comune: "apud papam residet utriusque potestatis et iuridictionis plenitudo; sed potestatem secularem concedit imperatori, mediante ipso eam exercet, sibi ipsi eam non aufferendo sed ipsam integre ac eius exequutionem in certis casibus reservando". Il C. ricorse anche all'opera di un altro frate minore, Andrea da Perugia, che scrisse anch'egli nel 1328 un trattato Contra edictum Bavari, in cui sosteneva che l'autorità papale si estende senza limiti sia alla sfera temporale sia a quella spirituale. Queste opere si inseriscono nell'ambito della pubblicistica che sosteneva allora le prerogative pontificie.
In ogni caso l'influenza guadagnata in Italia da Niccolò V grazie all'attiva propaganda in suo favore era sostenuta solo dalla protezione imperiale: a partire dal momento in cui il soggiorno a Roma divenne impossibile essa declinò rapidamente. L'ostilità crescente dei Romani, la discordia tra i mercenari tedeschi, la penuria di viveri e di danaro imposero la ritirata: il 5 agosto Ludovico e l'antipapa dovettero lasciare Roma tra gli insulti della popolazione. La folla accolse con entusiasmo Bertoldo Orsini e Stefano Colonna. Il C. differì tuttavia il suo ritorno fino al 4 ottobre. Una volta in città si sforzò di ottenere la sottomissione dei rivoltosi: Todi, Viterbo, Cometo e Città di Castello persistevano infatti nella ribellione; solo l'intervento armato ebbe ragione della loro resistenza. Il C. si adoperò inoltre per ottenere l'abiura di tutti i seguaci dell'antipapa: quest'ultimo abdicò il 25 luglio 1330 e lo stesso giorno, di fronte all'arcivescovdo di Pisa Simone Saltarelli ed al vescovo di Lucca Guglielmo di Montalbano, abiurò solennemente; il 24 agosto si trovava ad Avignone; l'indomani comparve in concistoro, rinnovò la sua abiura e ricevette il perdono. Morì nell'oblio tre anni più tardi (16 ottobre 1333). Il C., invece, che aveva contribuito potentemente alla repressione dello scisma, proseguì la sua opera in Italia. Nel 1333 i suoi nipoti Bertoldo e Francesco furono assassinati da Sciarra Colonna; ma quest'ultimo si sottomise a sua volta. Ritornò ad Avignone per partecipare al conclave che elesse Benedetto XII (dicembre 1334). Qui morì il 27 ag. 1335, e fu sepolto il giorno dopo nella chiesa dei frati minori.
Fonti e Bibl.: Il memoriale del C. sulla questione della povertà di Cristo fu pubblicato da F. Tocco, La questione della povertà nel sec. XIV secondo nuovi documenti, Napoli 1910, pp. 171 s., e il parere sulla crociata in Lettres secrètes et curiales de Jean XXII, a cura di A. Coulon, Paris 1900-1961, n. 1707. Vedi inoltre: S. Riezler,Vatikanische Akten, Innsbruck 1891, p. 907; Benoît XII, Lettres communes, a cura di J. M. Vidal, Paris 1902-1911, ad Indicem; Lettres communes de Jean XXII, a cura di G. Mollat, Paris 1904-1947, ad Indicem; Lettres de Jean XXII (1316-1334), a cura di A. Fayen, I, Bruxelles-Rome 1909, p. 669; II, ibid. 1912, p. 856; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, Berlin 1908-1922, I, pp. 422, 427, 346, 441; II, pp.618, 639, 739; III, p. 408; E. Göller, Die Einnahmen der apostolischen Kammer unter Johann XXII. (1316-1334), Paderborn 1910, p. 735; Lettres de Benoît XII (1334-1342) a cura di A. Fierens, Bruxelles-Rome 1910, p. 507; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum… ab a. 1325usque ad a. 1330, in Monumenta Germ. histor., Legum sectio IV, VI, 1, a cura di J. Schwalm, Hannoverae 1914, nn. 439, 497, 692; K. Eubel, Der Registerband des Gegen papstes Nicolaus V., in Archivalische Zeitschrift, n.s., IV(1893), pp. 123-212; R. Sternfeld, Der Kardinal Johann Gaetan Orsini, Berlin 1905; R. Scholz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Luwdigs des Bavern, Rom 1911, I, pp. 28-37, 232-234; II, ibid. 1914, pp.64-88, 576-585; G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, tav. LXIV; M. Mariani, Gli agostiniani e la venuta di Ludovico il Bavaro a Roma, in Arch. della Soc. romana di storia patria, LI(1928), pp. 307-325; E. Baluze, Vitae Paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, II, Paris 1928, pp. 231-233; A. Mercati, Suppl. per la consultazione dell'Archivio Vaticano, Città del Vaticano 1947, pp. 59-76; F. X. Seppelt-G. Schwaiger, Geschichte der Papste…, IV, München 1954-1959, pp. 106 s., 472 s.; B. Guillemain, La cour pontificale d'Avignon, 1309-1376, Paris 1962, pp. 185, 190 s., 222, 275, 379; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, coll. 149-151.