BORROMEO, Giovanni
Conte di Arona, primogenito dei tredici figli di Giulio Cesare II e della contessa Giovanna Cesi poi duchessa di Ceri (dalla quale il B. erediterà il titolo di duca di Ceri), nacque nel 1616. Educato nei primi anni sotto la direzione dello zio cardinale Federico (che lo inviò ad Augusta a studiare lettere e filosofia e lo fece istruire anche nella pratica delle lingue tedesca e francese), fu avviato giovanissimo alla carriera delle armi. Collaborò attivamente con gli Spagnoli alla, difesa della rocca d'Angera, stretta d'assedio dall'armata del maresciallo di Créqui nella primavera del 1636, durante l'offensiva franco-piemontese nel Milanese, arruolando proprie milizie nelle terre del feudo locale, di cui egli era stato investito di recente in base a uno speciale privilegio concesso nel 1623 dal cardinale Federico ai primogeniti del conte Giulio Cesare. Seguì quindi, col grado di capitano di fanteria, il padre a capo di un "tercio" sotto le mura di Vercelli durante la controffensiva del governatore spagnolo Leganés in Piemonte. Alla morte del padre, nel giugno 1638, alla vigilia della presa della città, il B. ereditò il comando del reggimento mettendosi in luce poi nel vittorioso assalto alla vicina fortezza di Trino.
Apertesi le porte all'avanzata spagnola in Piemonte in seguito allo scoppio della guerra civile fra "madamisti" e "principisti", il B. venne insediato dal Leganés nell'aprile 1639 al governo d'Ivrea, passata con tutto il Canavese dalla parte di Tommaso di Savoia, e incaricato di presidiare poi dal 1642, con duemila dei suoi borghigiani, assoldati dai feudi del Verbano, anche la città di Vercelli. Fu tuttavia presente alle operazioni militari che portarono al recupero di Tortona (persa poi nel novembre 1642) e collaborò ancora al successo delle armi spagnole respingendo un attacco di sorpresa delle truppe francesi su Santhià. Dopo il mutamento delle fortune militari seguito alla fine delle lotte intestine in Piemonte e al trattato di pace del giugno 1642 fra i principi e Cristina, il B., innalzato al grado di commissario generale delle forze spagnole in Piemonte e in Lombardia, riuscì a contenere ad Arona nel 1644 l'offensiva portata dal principe Tommaso, ora a capo delle forze franco-piemontesi, nei territori del Verbano. Aveva ottenuto nel frattempo anche un seggio nel Consiglio segreto dello Stato di Milano e il governo della città di Pavia, con il compito di contrastare il passo all'avanzata sabauda sul Po e di rendere difficile, tagliando i rifornimenti, la posizione del principe Tommaso a Voghera. In questo senso, il B. ebbe a rivelarsi anche abile organizzatore delle retrovie alleviando gli oneri degli alloggiamenti, rafforzando le difese di Novara e di Mortara e demolendo le fortificazioni di Breme in Lomellina, già occupata dai Piemontesi nell'autunno del 1635. Partecipò quindi all'espugnazione di Vigevano, recuperata dagli Spagnoli agli inizi del 1646, dopo la presa della città da parte delle forze francesi nel corso della campagna militare di Tommaso di Savoia sul Ticino, e dispose opportuni aiuti in soccorso di Sabbioneta durante l'azione franco-estense contro la Lombardia nel settembre-ottobre 1647. Sotto il nuovo governatore di Milano marchese di Caracena, il B. ebbe a curare l'organizzazione della cavalleria, contribuendo personalmente, in un periodo di accentuate ristrettezze finanziarie, all'allestimento del corpo. Con l'aggravamento della situazione economica e l'appesantimento del bilancio della Regia Camera per le spese di guerra, determinati dalla ripresa in grande stile delle operazioni militari in Italia dopo il 1648 da parte degli Spagnoli, non pochi oneri erano venuti del resto a ricadere direttamente sulle più cospicue famiglie dello Stato; ma ad esse furono anche assicurate, giocoforza, più ampie responsabilità di comando. Nel 1655, in uno dei momenti cruciali della lotta tra Spagna e Francia segnato dall'intimazione del Caracena al duca di Modena di disarmo e di consegna di alcune piazze e, per contro, dall'ingresso delle truppe francesi nel Milanese, il B. (che già nel settembre 1651 era stato chiamato a far parte dei Sessanta decurioni della città di Milano) levò, per la maggior parte a proprie spese, un terzo di duemila fanti in diciannove compagnie ottenendo tuttavia che ne assumesse la direzione, come "mastro di campo", il giovane fratello Antonio Renato, passato in seguito, col grado di capitano, al comando di un reggimento di cavalleria. Curò quindi, ne]l'estate del 1656, l'ingresso e l'acquartieramento delle truppe chiamate dalla Germania in soccorso di Valenza, assediata dalle truppe francesi al comando del duca di Modena.
Con il graduale esaurimento delle lunghe lotte alle porte della Lombardia tra Francia e Spagna, il B. poteva ritirarsi infine dalla milizia attiva e interessarsi più da vicino alle fortune della famiglia e a opere di mecenatismo. Fu promotore dell'Accademia dei Faticosi, eretta presso il convento di teatini di S. Antonio per iniziativa dei padri Giovanni Battista Rabbia e Celso Quattrocase, in coincidenza con il rinnovato interesse a Milano per la dottrina aristotelica e la ripresa della preparazione culturale del clero intrapresa a suo tempo dal cardinale Federico.
Morì il 7 ag. 1660; la sua commemorazione funebre fu tenuta nell'Accademia da Carlo Carcassola. Aveva sposato in prime nozze (1644) la contessa Isabella de' Arcimboldi e nel 1658 la marchesa Livia Lante Della Rovere, figlia del duca romano Lodovico (il B. era stato insignito della cittadinanza di Roma un anno prima, nel 1657). Con il B., che non lasciò discendenza maschile al pari del fratello Antonio Renato e dell'ultimo del ramo Paolo Emilio capitano dei corazzieri nel 1671, si estinse la linea della famiglia facente capo a Giulio Cesare II.
Fonti eBibl.: Archivo Gen. de Simancas, Estado, leg. 3374 e 3382; Ammin. Borromeo (Milano), reg. Albero geneal. … famiglia Borromeo, ff.126-130; G. Gualdo Priorato, Vita et attioni del conte G. B., in Vita et azzioni di person. milit. e polit., Vienna 1674; F. Calvi, Fam. notabili milanesi, II, Milano 1881, tav. XI; F. Arese, Elenchi dei magistrati patrizi di Milano dal 1535 al 1796…, in Arch. stor. lombardo, LXXXIV(1957), p. 168; E. Cattaneo, La religione a Milano nell'età della Controriforma, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 319, 342; F. Giannessi, La letteratura dialettale e la cultura,ibid..., p. 429; V. Spreti, Encicl. storico-nob. ital., II, p. 145.