BORROMEO, Giovanni
Nacque in data imprecisata nella seconda metà del sec. XV. Apparteneva alla nota famiglia originaria di Firenze, ma non è possibile allo stato attuale delle ricerche precisare se al ramo fiorentino, a quello milanese o padovano.
Il suo nome ricorre per la prima volta in un documento del 10 nov. 1509, con il quale il segretario fiorentino Marcello Virgilio Berti invitava il Machiavelli, in partenza per Mantova per versare agli incaricati imperiali il contributo di 40.000 ducati alla guerra contro Venezia condotta dalla lega di Cambrai, "a scavalcare", nella sua casa. In quegli anni il B. viveva infatti a Mantova, forse con mansioni di agente fiorentino presso quella corte. Certo si occupava, a quanto è possibile desumere dai documenti della cancelleria fiorentina, di smistare la corrispondenza di quei diplomatici per Firenze e viceversa. Il Machiavelli accennò infatti ripetute volte nei suoi dispacci da Verona, dove si trasferì dopo il breve soggiorno mantovano, alle funzioni di intermediario postale svolte dal B., particolarmente impegnato con la corrispondenza di Francesco Pandolfini, in quel momento ambasciatore fiorentino a Milano, presso il maresciallo di Francia d'Amboise.
Dopo questa missione del Machiavelli con il quale il B. dovette avere cordialità di rapporti, di lui non si ha più notizia. Riappare nei documenti molti anni dopo nel 1522, in qualità di agente gonzaghesco, incaricato di trattare con il segretario pontificio Pietro Ardinghelli la consegna, dietro versamento di 1.000 ducati, del documento con il quale nel 1520 il marchese di Mantova Federico Gonzaga si era impegnato segretamente con il pontefice Leone X a scendere in campo in difesa della Chiesa anche contro l'imperatore, suo signore feudale.
L'anno successivo il Gonzaga fu nominato (il 22 ag. 1523) capitano generale della Chiesa e della Repubblica di Firenze con una condotta di tre anni: il B., già agente gonzaghesco a Firenze, assunse così anche l'incarico di esigere le somme dovute dai Fiorentini per la condotta. Dopo Pavia e il ritorno in libertà di Francesco I, la conclusione della lega di Cognac (22 maggio 1526) mise il marchese nella spiacevole situazione prevista dalla clausola segreta sottoscritta nel 1520, al tempo della condotta stipulata con Leone X. Con l'occasione del rinnovo di quella conclusa nel 1523 e ormai scaduta, fu scoperto il furto del documento, sottratto a suo tempo dall'Ardinghelli e ritornato ora di piena attualità. La conseguenza fu il suicidio del colpevole, del quale riferì con abbondanza di particolari il B. nell'estate 1526, senza commuovere minimamente il suo signore, risoluto nella smentita più sfacciata del vergognoso episodio. A dispetto della scoperta malafede del Gonzaga, Clemente VII gli rinnovò la condotta il 1º sett. 1526, forse nella convinzione di evitare con questo provvedimento il suo aperto passaggio nelle file imperiali. Nel novembre del 1526 il marchese si affrettò però ad offrire al Frundsberg, disceso in Italia alla testa dell'esercito imperiale, i suoi buoni uffici di vassallo dell'imperatore. Successivamente favorì il passaggio delle sue truppe attraverso il Mantovano, preoccupandosi solo di giustificarsi presso il pontefice con ragioni di forza maggiore che gli imponevano di evitare la devastazione del suo Stato. I lanzi di diressero così indisturbati verso Roma, con l'appoggio compiacente del capitano generale della Chiesa, senza incontrare alcuna resistenza. Per salvare la faccia il marchese di Mantova aveva permesso ad alcuni suoi capitani di militare nell'esercito della lega, assai male in arnese e ancora peggio comandato. Né la presenza dei capitani gonzagheschi valse a migliorarne la combattività; semmai la peggiorò, come appare evidente dal comportamento di Paolo Luzasco, intrigante e riottoso che addossava la responsabilità della disastrosa inefficienza dell'esercito dei collegati al commissario pontificio, Francesco Guicciardini. Una lunga lettera della cancelleria gonzaghesca incaricava il B. di interessare all'indegna manovra il governo fiorentino. Ma non ebbe successo: nessuno a Firenze prestava credito a un diversivo così trasparente nelle sue intenzioni, mentre unanime era la condanna del comportamento del marchese, che riscuoteva regolarmente il soldo di capitano generale della Chiesa senza muovere un dito in sua difesa al momento del più grave pericolo. Tanto gli notificò il B., al quale il Gonzaga replicò il 26 apr. 1527, ordinandogli di far conoscere la sua buona disposizione a scendere in campo contro i lanzi, a condizione di esserne autorizzato nientemeno che dal viceré di Napoli, don Ugo de Moncada che aveva concluso una tregua con Clemente VII. Tanto generosa offerta non poté avere purtroppo seguito: il 6 maggio Roma fu presa a messa a sacco dalle truppe imperiali.
Il ruolo svolto dal B. in tutta questa vergognosa vicenda fu minimo e non andò oltre l'ingrato compito, impostogli dalla sua condizione di agente gonzaghesco, di giustificare in qualche modo il suo signore presso la Signoria fiorentina. Osservatore attento e spregiudicato si rivela invece nei dispacci, trasmessi in parte e non sempre integralmente dal Gonzaga alla Signoria di Venezia e confluiti quindi in questa veste nei Diarii del Sanuto, che costituiscono una fonte preziosa per la storia di quegli anni turbinosi. Particolare rilievo hanno le considerazioni del B. sulle milizie dei collegati, giudicate inferiori a quelle imperiali solo nella combattività. Sulla condotta di queste fanterie al loro passaggio attraverso il territorio fiorentino fornì dettagli a dir poco sconcertanti. In un dispaccio del 22 apr. 1527 notò infatti ad esempio che "hanno fatto tanto male che non si può creder che Lanzichenecchi ne facessero più".
I due ultimi dispacci del B. pubblicati dal Sanuto sono del 16 e 17 maggio 1527 e riferiscono sugli avvenimenti fiorentini culminati con la pacifica cacciata dei Medici e la restaurazione dell'ultimo regime repubblicano. Dopo questa data di lui non si ha più notizia. Non si conosce neanche la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Intorno al ritratto di Leone X dipinto da Raffaello Sanzio, a cura di C. D'Arco e V. Braghirolli, in Archivio storico italiano, s. 3, VII (1868), parte 2, pp. 185-186, 190, 193; M. Sanuto, Diarii, XXXVIII, Venezia 1893, ad Indicem; XXXIX, ibid. 1894, coll. 213, 309 s.; XLII, ibid. 1895, ad Indicem;XLIII, ibid. 1895, coll. 336 s., 508; XLIV, ibid. 1895, coll. 555, 556; XLV, ibid. 1896, coll. 40 s., 153-157, 497; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, pp. 202, 206; Id., Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, ad Indicem;A.Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma, in Arch. stor. lombardo, s. 4, X (1908), pp. 27, 28, 39, 71, 72, 73, 385; L. Mazzoldi, Da Ludovico secondo marchese a Francesco secondo duca, in Mantova. La storia, II, Mantova 1961, ad Indicem.