BORGIA, Giovanni
Nacque nel 1474, presumibilmente a Játiva, presso Valenza, da Jofré Borja y Lanzol de Romani, figlio di una sorella di Rodrigo, poi papa Alessandro VI, e da Juana de Moncada. Erroneamente il Pastor lo dice figlio di un fratello di Alessandro VI. Fece parte, sin dall'infanzia, della vasta cerchia di familiari del cardinale Rodrigo, vicecancelliere della Chiesa, col quale riprendeva nuova lena l'afflusso a Roma e nelle cariche curiali dei "catalani", già cominciato col pontificato di Callisto III.
Eletto papa Alessandro VI, il B. si preparò all'immancabile munificenza del prozio vestendo l'abito clericale: il 26 marzo 1494 ricevette infatti il suddiaconato, insieme con il cugino Cesare Borgia. Anche nel giovane B. si espresse subito un orientamento caratteristico del pontificato borgiano, per il quale il nepotismo fu prima ancora una necessità politica che una inclinazione personale, un mezzo per realizzare l'accentramento della direzione dello Stato ecclesiastico contro le forze eccentriche dei baroni, anche se sembrava esprimere soprattutto una preoccupazione dinastica. Dovendo prescindere dal tradizionale personale burocratico, diplomatico e militare, che raccoglieva i suoi quadri soprattutto nei ranghi della feudalità romana, era inevitabile che Alessandro VI si rivolgesse soprattutto, sebbene con varia fortuna, ai suoi familiari, sulla cui fedeltà poteva totalmente contare. Fu così che al B., nominato nel 1494 protonotario apostolico e vescovo di Melfi il 19 settembre dello stesso anno, venne affidata la custodia della rocca di Spoleto, incarico militare della più grande importanza, poiché su quella piazzaforte soprattutto contava il pontefice nella sua lotta contro i baroni dell'alto Lazio e dell'Umbria: e infatti, non a caso, dopo la morte precoce del B., vi inviò a governarla la figlia Lucrezia. Ma già al principio del 1496 il B. era richiamato a Roma dal papa, che lo nominava legato presso Ferdinando II d'Aragona, per seguire da vicino la lotta dei collegati contro le milizie lasciate nel Regno di Napoli da Carlo VIII.
Mentre durava ancora questa missione, il B. fu eletto da Alessandro VI, il 19 febbr. 1496, alla porpora cardinalizia, con il titolo di S. Maria in Via Lata, cui il pontefice aggiunse in comInenda l'arcivescovato di Capua, oltre a consentirgli di conservare quello di Melfi. Il B. fece ritorno a Roma il 18 dic. 1496, trattenuto sino allora a Napoli dalle trattative inerenti alla lega antifrancese che nel luglio di quell'anno, con l'adesione dell'Inghilterra, aveva assunto una nuova importanza. Così non partecipò alle vicende militari della campagna contro gli Orsini, iniziata nell'autunno precedente; ma quando questa fu conclusa gli toccò ancora un incarico di rilievo nelle prospettive borgiane di unificazione politica dello Stato pontificio, quello di legato a Perugia, che tenne dal maggio al dicembre del 1497, e poi dal giugno al dicembre dell'anno successivo. Nel dicembre del 1498 gli fu affidato il compito di reprimere, al comando dell'esercito pontificio, le lotte delle fazioni a Viterbo, e il B. seppe ristabilire con spietata determinatezza la pace nella città.
Ma già in quella data il suo contributo aveva assunto un'importanza nuova, ponendolo nella cerchia più ristretta dei collaboratori del papa, sui quali soprattutto riposava l'esecuzione della politica borgiana. In seguito alla morte misteriosa di Giovanni Borgia, duca di Gandia, al quale Alessandro VI aveva sino allora affidato le sue maggiori speranze dinastiche, Cesare Borgia aveva deposto la dignità ecclesiastica per assumere, con migliori qualità e fortune, il ruolo che era stato del fratello ucciso: al B. toccava così di succedere al Valentino non solo, nelle dignità ecclesiastiche (il 6 settembre riceveva in commenda l'arcivescovato di Valenza, prima matrice delle fortune familiari sin dai tempi di Callisto III), ma soprattutto nel ruolo di maggiore esponente della famiglia nel collegio cardinalizio, con le responsabilità politiche e diplomatiche che ne derivavano.
In effetti, nei drammatici avvenimenti di fine secolo dai quali veniva radicalmente sovvertita la carta politica italiana e che costituirono il contesto necessario delle travolgenti fortune borgiane, il B. ebbe un suo posto significativo, di accorto esecutore della ambigua politica di Alessandro VI nelle intense trattative con le varie corti italiane. Il 19 sett. 1498 - quando, cioè, era stabilito, ma non ancora esplicitamente dichiarato, il nuovo corso della politica di Alessandro VI, con il riavvicinamento alla Francia ai danni del ducato di Milano - il B., assumendo la successione del Valentino nelle abbazie milanesi di S. Vittore e Miramondo (cui si aggiunsero poi quella, pure lombarda, di S. Simpliciano, e il 24 genn. 1500 il monastero di S. Maria di Paterniano), professava in una lettera al duca di Mantova tutta la sua devozione alle ragioni di Ludovico il Moro, la cui conferma di quei benefici ecclesiastici era per lui "causa de più excusatamente continuare come facto avemo in demostrarce con omne nostra opera a l'Illustrissimo S.r duca de Milano efficacissimamente amici" (Luzio, p. 128). Ma significativamente era proprio al B. che Alessandro VI affidava nel 1499 la missione destinata a preparare - tra mille sottintesi, ambiguità e contrattazioni - il colpo decisivo contro il duca di Milano e i potentati satelliti delle Romagne. Nominato legato a latere presso la Repubblica di Venezia e "ad alias potestates" (9 agosto), il B. partì da Roma con un imponente corteggio il 26 agosto.
Alla fine del mese il legato pontificio era a Siena, dove prendeva contatto con il residente milanese Agostino Maria Beccaria, assicurandolo che "li dolevano assai li travaglii" del duca di Milano, e che questo medesimo era il sentimento di Alessandro VI, dal quale era inviato a Venezia "per vedere de fare cessare le arme, fare pace o almanco tregua, massime per questo anno santo". Ma lo stesso agente milanese prestava scarsa fiducia alle assicurazioni del B. e comunicava al Moro i suoi forti sospetti che "la sua andata" fosse "tutta per fare contrarii effecti e per tener firmi Venetiani in la dispositione che sono stati fin qui cum Francesi" (Pélissier). Questo in realtà era il compito affidato al B., al quale tuttavia si aggiungeva quello, non meno importante, di preparare diplomaticamente la conquista delle Romagne.
Giunto infatti alla corte estense l'8 settembre, il B. la metteva subito nella più grande agitazione rivelando senza riserve che Cesare Borgia ambiva a insignorirsi di Ferrara. Il duca Ercole, allarmatissimo per le sue confidenze, si affrettava a ricorrere a Luigi XII, chiedendone l'autorevole intervento contro gli appetiti smodati del Valentino: e il re a sua volta non tardava a interporre i suoi buoni uffici, inducendo Cesare a rinunziare alle sue pretese sulla città estense. In realtà le indiscrezioni del legato erano un errore troppo grossolano per non essere voluto: e infatti egli lasciò la corte ferrarese avendo ottenuto quello che era il suo vero obiettivo, la rinunzia da parte di Ercole d'Este ad ogni opposizione all'impresa di Romagna.
Finalmente, il 23 settembre, il B. era a Venezia. Ammesso al collegio dei Pregadi, esordiva invitando la Repubblica a una lotta a fondo contro il duca di Milano, continuava chiedendo in nome del papa che la Signoria provvedesse in qualche modo Cesare Borgia "di nutrimento perché potesse vivere" (Pepe, p. 151) e concludeva annunziando anche qui l'intenzione di Cesare Borgia di insignorirsi di Ferrara. L'allarmatissima replica dei magistrati veneti fu naturalmente negativa per quanto riguardava le pretese finanziarie e territoriali di Cesare; e anche loro si rivolsero precipitosamente al re di Francia caldeggiandone l'intervento moderatore. Il B. poteva così dichiarare di lì a poco che Cesare Borgia rinunziava a ogni pretesa su Ferrara ripiegava sul più modesto programma di impadronirsi di Imola, Forlì, Pesaro, Siena, Piombino e Bologna. Anche in questo caso i Pregadi protestarono che non avrebbero consentito alle pretese del figlio di Alessandro VI, ma la partenza del B. da Venezia dovette lasciarli nella convinzione che in fondo sarebbe stato il minore dei mali se il Valentino si fosse limitato a impadronirsi della Romagna.
Da Venezia il B. si portò a Milano, dove il 6 ottobre presenziò insieme con Cesare Borgia al solenne ingresso di Luigi XII nella città. Quindi si accinse a seguire il Valentino nell'impresa di Romagna, munito di una nuova veste ufficiale, quella di legato pontificio per Bologna e la Romagna: un titolo che già di per sé testimoniava come l'estromissione di Giovanni II Bentivoglio da Bologna facesse sempre parte degli obiettivi della spedizione. Recatosi dapprima alla corte di Mantova, per ottenere dal marchese Francesco Gonzaga soccorsi di munizioni e di polveri per l'esercito di Cesare che si accingeva ad affrontare Caterina Sforza, seguì da allora le vicende della campagna concludendo politicamente i successi militari del cugino: così il 13 dicembre era ad Imola per accogliere il giuramento di fedeltà della cittadinanza al nuovo signore, e il 28, dopo una sosta al campo di Forlì, si portava a Cesena per trattare la dedizione della città a Cesare Borgia. Quindi, dopo la resa di Forlì, partì alla volta di Roma, dove intendeva presenziare alle cerimonie per il giubileo, ma giunto a Urbino moriva per "catharro sopravvenutoli", come scriveva Cesare Borgia ad Ercole d'Este, il 14 genn. 1500 (Sacerdote, p. 364).
Subito corse la voce che la morte del B. fosse dovuta a veleno fattogli dare dal Valentino, sospettoso, come annotava il Sanuto, che il B. "si volesse fare signore di qualche luogo": ma l'accusa non sembra avesse, alcun fondamento.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, III, Venezia 1880, ad Ind.; D. Dal Re, Discorso critico sui Borgia…, in Arch. d. R. Soc. rom. di st. patria, IV (1880), pp. 100 s.; L. G. Pélissier, Notes ital. d'hist. de France. Agostino Maria de Beccaria, in Bull. senese di st. patria, IV (1897), pp. 392 s.; A. Luzio, Isabella d'Este e i Borgia, in Arch. stor. lomb. XLII(1915), pp. 100 s.; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del medio evo, III, Roma 1925, ad Ind.; C.Baroni, San Simpliciano abazia benedettina, in Archivio storico lombardo, LXI (1934), p. 93; G.Pepe, La politica dei Borgia, Napoli 1946, pp. 136, 151; G. Sacerdote, Cesare Borgia,la sua vita,la sua famiglia,i suoi tempi, Milano 1950, ad Indicem; C.Eubel, Hierarchia catholica..., II, Monasteri, 1914, pp. 23, 52-55, 118, 189, 261.