BONI, Giovanni
Nacque a Roma nel 1565 da Andrea, mercante fiorentino, e da Caterina Acciaiuoli. Rimasto orfano di padre in tenera età, visse nell'ambiente della nazione fiorentina in Roma, il cui consolato gli aveva dato per tutore Iacopo Pandolfini, che sposò poi la vedova di Andrea. Emancipatosi dalla tutela nel 1582, intraprese a Roma vita di corte, sulla quale non possediamo dettagli, forte del suo titolo di "nobilis romanus", dei suoi studi letterari e delle rendite ereditate.
Sebbene avesse venduto nel 1585 a Leone Strozzi il palazzo paterno, ricavandone ottomila scudi, non era dubbia a quell'epoca l'intenzione del B. di restare "romano", se l'anno stesso dettando l'epigrafe per il sepolcro paterno nella chiesa della Minerva lo diceva destinato ad Andrea ed alla sua posterità, che egli solo ormai rappresentava. Ma a spostare i suoi interessi verso Firenze intervennero l'eredità della sorella del padre e il ricadere su di lui di un fedecommesso del suo lontano parente Lionello di Giuliano di Leonardo Boni, che includeva, fra l'altro, "dua terzi della casa grande de' Boni al fornaio della Vacca" in Firenze. È vero che il possesso di questi beni gli venne contestato da un altro lontano parente Carlo Boni, vescovo di Angoulême, protetto di Caterina de' Medici, morto pochi anni più tardi, ma lo stesso processo, dando risonanza alla parentela col vescovo, finì per ridondare a suo favore.
Del 1595 è il matrimonio del B., che doveva anch'esso contribuire a riavvicinarlo a Firenze: ebbe infatti per moglie, con dote abbastanza modesta, Argentina, figlia di Giovanni Bardi dei conti di Vernio, introdottissimo nelle corti di Roma e di Firenze per molteplici attività, prima fra tutte quella musicale. Da allora, pur mantenendo la sua residenza a Roma, dove gli nacque nel 1600 l'unico maschio, Giovanni Andrea, morto poco dopo, i suoi rapporti con Firenze si fanno più stretti: sulla fine del secolo donava un appezzamento di terra alla cappella della Natività della Vergine nella chiesa di San Leo, cappella di patronato della famiglia, e, forse mosso da difficoltà economiche, si decideva ad avanzare richiesta d'impiego al granduca Ferdinarido, già cardinale, che aveva conosciuto a Roma.
Di questi tempi, e precisamente del 31 agosto 1604, è un'informazione riservata di un segretario granducale, richiesto di un ragguaglio sulla nobiltà del B.: la risposta è su un tono di velata sufficienza e par risentire d'un municipalismo un po' sordo di fronte all'esigenza dello Stato granducale di andare alla ricerca di altri meriti nelle persone da impiegare che non fossero soltanto quelli delle tradizioni politiche familiari. Così mentre a Firenze il segretario granducale sottolineava "la lunga servitù" con cui Carlo Boni aveva ottenuto il vescovato di Angoulême, e si affaticava a ricercare nelle antiche carte i connotati della famiglia, limitandosi infine a concedere che il B. fosse persona "di garbo", a Roma - è solo un esempio - duchesse e cardinali presenziavano ai suoi battesimi. A prescindere dai possibili incarichi diplomatici confidenziali che il B. poté aver avuto alla corte di Roma dal granduca e dalle pressioni che poté fare esercitare in suo favore, non v'è dubbio che la carriera che intraprendeva, e che rapidamente percorse, era frutto dell'educazione e delle consuetudini cortigiane acquisite alla scuola della corte romana dal giovane discendente d'una media casata mercantile, d'estrazione relativamente recente e praticamente priva di tradizioni politiche.
Il 23 giugno 1605 il B. fu chiamato a ricoprire l'incarico di ambasciatore residente presso Cesare d'Este, duca di Modena e cognato del granduca, ottenendo contemporaneamente, a riconoscimento ufficiale della sua "dignità" fiorentina, la nomina a senatore. Nel 1609, richiamato in seguito alla morte del granduca, egli si vide assegnato il più importante commissariato dello Stato, quello di Pisa, e di ritorno a Firenze, nel 1610, gli si aprì la vera e propria carriera di corte. Il 12 novembre fu eletto maggiordomo della granduchessa madre Cristina di Lorena ed aio del principe Lorenzo suo figlio "con volontà e saputa di Cosimo granduca e con stipendio di ducati 50 il mese et altri emolumenti e prerogative". Nel 1611, mentre due sue figlie entravano a corte, era chiamato a ricoprire dal 1ºagosto la carica di consigliere ed il 1ºsettembre era dei Nove. Nell'estate del 1612 suppliva personalmente il granduca a capo del Magistrato de' Clarissimi Consiglieri.
Nel 1614 sposava ad Antonio Michelozzi la figlia Lucrezia, in presenza del granduca e dell'arciduchessa Maria Maddalena d'Austria, con una dote di 10.000 scudi. Eguale dote, cui concorsero per oltre la metà il principe Lorenzo de' Medici e lo stesso Cosimo II, veniva data ad Orazio di Andrea Minerbetti, che nel 1617 sposava l'altra figlia di Giovanni, Maria, alla presenza di "una gran parte della nobiltà fiorentina che per honorarci era concorsa".
Presto allietato dalla nascita di nipoti (i Minerbetti aggiunsero poi al loro nome quello dei Boni), il B. continuò anche dopo la morte di Cosimo II la sua carriera di corte acquistando - era divenuto maggiordomo del principe Lorenzo - sempre più larga influenza nei sei anni di reggenza di Cristina di Lorena e di Maria Maddalena d'Austria. Commissario generale delle milizie granducali per oltre un quindicennio e al tempo stesso "deputato sopra la Sanità", affrontò, spostandosi frequentemente per il granducato, le vicende militari degli anni 1628-1643 e le gravi epidemie di peste del 1630, del 1633 e del 1643. Morì l'11 nov. 1644.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Dei, f. 10, ins. 19; Ibid., Carte Torrigiani,Appendice, cartaceo n. 17, cartaceo n. 18, cc. 1-59; Ibid., Mediceo del Principato, f.6411 e f.2921; Ibid., Acquisti e Doni, f. 59, VI, nn. 5-6; Ibid., Carte Strozziane, s. 1, f.56, nn. 178-179; Ibid., Carte dell'Ancisa, KK, cc. 361 ss.; GG, cc. 158 ss.; F. Rondinelli, Relazione del contagio stato in Firenze l'anno 1630 e 1633, Firenze 1634, p. 22; A. Ademollo, Marietta de' Ricci,ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, IV, Firenze 1845, pp. 1309 s.