BONAVOGLIA (Benivolus, Benivolo), Giovanni
Nacque a Pietole (Mantova) intorno alla metà del sec. XV. Non si conosce la famiglia e mancano notizie biografiche atte a far luce sulla prima parte della sua vita, che dové tuttavia trascorrere abbastanza agiatamente, nell'apprendimento di quelle discipline umanistiche che costituirono la base della sua formazione culturale e saranno l'incentivo per una notevole attività retorica e poetica.
In data ignota il B. si trasferì a Pesaro, non trovando forse una sistemazione rassicurante presso la corte di Mantova, alla quale tuttavia egli appare indirettamente legato tramite influenti amicizie: soprattutto mediante il conte di Pianella, Iacopo d'Atri, che nel 1492 trasmetteva da Pesaro a Francesco Gonzaga un epigramma del B. su un astore di Giovanni Sforza, signore della città. Nel 1495 il B., sempre a Pesaro, intercedeva presso Iacopo d'Atri in favore di certi suoi parenti e l'anno successivo, abbracciato lo stato ecclesiastico, otteneva dal marchese di Mantova un beneficio sulla chiesa pesarese di S. Gervaso. Corrispondendo con Isabella d'Este Francesco Gonzaga scriveva del B.: "Noi tra li subditi nostri avemo carissimo Ioanne Bonavoglia secretario de lo ill.mo s. de Pesaro, perché ne è affectionatissimo et prompto ad tutti li nostri servitij, et non degenerando de la patria sua è dotato de le virtù che merita ogni adiuto et favore" (Luzio-Renier, p. 111). Per quel che riguarda la qualifica di "secretario" con cui il Gonzaga designò il B., bisognerà forse intendere il termine nel significato più ampio di letterato ufficiale presso la corte pesarese: mansione che servirebbe anche a determinare il suo ufficio di retore nella città di Giovanni Sforza, mancando peraltro testimonianze di un suo insegnamento privato.
L'alta stima che di lui aveva il Gonzaga gli valse a Pesaro una notevole carriera ecclesiastica. Nel 1498 è annoverato per la prima volta tra i canonici del duomo; nel 1511, ultimo anno del suo soggiorno pesarese, il B. è nominato arcidiacono della cattedrale: dopodiché si registra il suo trasferimento a Mantova, dove appare ai primi del 1512, in qualità di precettore di Luigi Gonzaga. Erano evidentemente maturate le condizioni per un suo diretto inserimento nella vita culturale della corte mantovana, e il B. volle corrispondere alla protezione del potente mecenate componendo un Monumentum Gonzagium per il marchese Federico.
Il poema, in sette libri di esametri vertenti sulla descrizione del palazzo gonzaghesco di San Sebastiano, richiese al B. molte cure e fu portato a termine non prima del 1526. In bella copia ci è stato tramandato dal codice A. IV. 26 della Biblioteca Comunale di Mantova, descritto dai Luzio-Renier e da C. Frati. Si tratta di una storia apologetica della famiglia Gonzaga che prende lo spunto da opere d'arte (architettoniche, pittoriche) o semplicemente decorative, che riflettono in forma compiuta il mecenatismo dei signori di Mantova, in ciò apparentandosi, quanto al genere, alla contemporanea produzione encomiastica di poligrafi come il Betussi (si pensa soprattutto al Cataio), anche se per il B. appare doveroso sottolineare una più proficua mediazione dell'eloquenza umanistica, e si può anche salvare l'ipotesi di una diretta ascendenza alle tradizionali fonti classiche del genere aneddotico e descrittivo. Non è comunque poesia la lunga e prolissa opera di versificazione del B., ove anche il gusto del particolare si perde dietro la presunta (e malintesa) altezza del dettato, e dove è molto difficile ravvisare acutezza di giudizio su personaggi e fatti del mondo artistico contemporaneo: basti considerare il freddo elogio, per i Trionfi di Cesare, del Mantegna, la cui sapienza antiquaria suggerisce allo scrittore una improbabile similitudine con gli antichi vincitori di Olimpia. Lo scandaglio degli eruditi ha, infine, rivendicato al B. un epicedio "Ad ill.mum principem Federicum marchionem Mantuae in obitu patris" compreso nel codice segnato B. XXXIII. 10 dell'Archivio Gonzaga, fra le poesie in morte di Francesco. È ancora un documento di eloquenza fredda e solenne, centrata sulla rappresentazione che raffigura l'eroe mentre contrasta il passo all'esercito di Carlo VIII ("Solus qui Italiam trepidantem ex hoste recepit, / rettulit hostili rapta trophea manu").
Si ignora l'anno di morte del Bonavoglia. Il luogo fu con ogni probabilità Mantova, dove egli ebbe agio di svolgere, senza travagli di ordine pratico, le mansioni di dotto cortigiano, affidando alla corrente cultura classicheggiante un ruolo decorosamente encomiastico.
Bibl.: A. Luzio-R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie diIsabella d'Este, in Giorn. stor. d. lett.ital., XLII (1903), pp. 109-111; C. Frati, Il codice mantovanodel "Monumentum Gonzagium", in La Bibliofilia, XXV (1923-1924), pp. 374-376; Mantova. Lelettere, a cura di E. Faccioni, II, Mantova 1962, pp. 382 ss., 406.