BILIVERT (Biliverti, Bilivelti, Bylevelt), Giovanni
Nacque nel 1576 a Firenze e non nelle Fiandre, come talvolta ancora si asserisce. Suo padre, Giacomo Bylevelt, nativo di Maastricht, venne ancora giovane a stabilirsi a Firenze e fu assunto come orefice alla corte granducale; a Firenze prese moglie nel 1575. Morto il padre nel 1589, il B. entrò nello studio di Ludovico Ciardi, detto il Cigoli. La sua vita è stata narrata da Filippo Baldinucci, il quale ebbe gran parte delle notizie sul B. da Agostino Melissi, scolaro del B. dal 1634.
Nel 1604 il B. accompagnò il Cigoli a Roma, dove questi aveva ottenuto da Clemente VIII l'incarico di dipingere due quadri d'altare per le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, collocati nel 1606, ma sostituiti poi da altre tele. Probabilmente il B. ha collaborato a questi dipinti, ora scomparsi, ma è certo che egli già nel 1606-07, senza l'intervento del suo maestro, ebbe ad eseguire per la chiesetta dei benedettini di piazza di S. Maria in Trastevere una pala d'altare con il Martirio di s. Callisto, titolare della cappella, tutt'ora sul posto. Si tratta di una composizione certo audace, ma sgradevole, che rivela l'influsso mal assimilato del Caravaggio, anche nel colorito indeciso e pesante. I pochi anni che il B. trascorse a Roma lo resero grave e solenne nelle rappresentazioni sacre, e garbatamente animato ogni volta che trattò un soggetto profano.
Il Cigoli fece ritorno a Firenze nel 1608 e il B. lo seguì, ma quando il maestro si recò nuovamente a Roma, il discepolo, artista ormai affermato, rimase a Firenze come suo sostituto. Nel 1609 Cosimo II lo nominò disegnatore nell'officina granducale delle pietre dure con una paga mensile di 15 scudi. Il B. ottenne questo impiego per raccomandazione dell'architetto Matteo Nigetti, altro discepolo del Cigoli, incaricato della direzione. Fu appunto nel 1609 che la granduchessa vedova, Cristina di Lorena, ordinò all'officina, vale a dire al Nigetti, un prezioso altare, destinato alla chiesa di S. Nicola a Pisa, vicina al palazzo da lei abitato, e in un secondo tempo la non meno sfarzosa cappella votiva, a destra del coro. Per questa cappella il B. eseguì un quadro d'altare rappresentante l'Annunciazione, firmato: "Giovanni Biliverti Fiorentino fecit 1611" (attualmente spostato nella prima cappella a sinistra). La composizione è evidentemente ispirata dall'Annunciazionedipinta dal Cigoli nel 1595 per la chiesa dei cappuccini di Montughi, nei pressi di Firenze. Nella stessa chiesa pisana è conservato un altro quadro d'altare collocato nel 1611: S. Carlo Borromeo in meditazione davanti al Crocifisso.
Quadri datati o databili, eseguiti dal B. negli anni 1612-20, non ci sono pervenuti. Il Baldinucci racconta che il maestro ebbe diverse commissioni da parte dei fratelli del granduca: il cardinale Gian Carlo de' Medici e don Roberto. Per il primo avrebbe dipinto la grande tela con La castità di Giuseppe, ora nei depositi della Galleria degli Uffizi. Il Cigoli aveva trattato il medesimo soggetto nel 1610 per il cardinale Scipione Borghese a Roma ed è evidente che il B. volle emulare il maestro cercando anche di superarlo.
Morto il Cigoli nel 1613, la vena creativa dell'allievo parve per alcuni anni esaurita. Nel 1621 il B. riuscì infine a riaversi: questo nuovo suo impeto è stato ascritto al ritorno a Firenze di Matteo Rosselli. Già il quadro d'altare col Ritrovamento della Croce, che il B. finì fra il maggio e il luglio del 1621 per la cappella Calderini nella chiesa di S. Croce, sembra indicare l'inizio di una ripresa. Al Trionfo di David, dipinto dal Rosselli nel 1621 (Galleria Pitti), il B. oppone il suo capolavoro: L'Angelo rifiuta i doni del vecchio Tobia e del suo figliolo, siglato e datato 1622 (nella stessa Galleria). Segue un altro capolavoro: Lucrezia Romana minacciata da Tarquinio, conservato dal 1842 a Roma nella pinacoteca dell'Accademia di S. Luca. Il quadro viene pure attribuito, a torto, al riminese Guido Canlassi detto il Cagnacci.
Questo periodo felice dura poco più di una decina di anni. Due quadroni (Daniele riceve miracolosamente il cibo e Crocifissione), che il B. negli anni 1625 e 1630 eseguì per il duomo di Pisa, sono già di un aspetto più convenzionale, opere rappresentative sì, ma di più fiacca ispirazione. Questo nuovo affievolirsi della forza creativa probabilmente fu causato da un indebolimento fisico dovuto a una malattia, che ebbe la sua crisi verso il 1635, quando il B. si recò a Pisa per sottoporsi a una grave operazione chirurgica. Per assolvere un voto, da lui fatto durante la malattia, dipinse per l'altare di S. Giusto dei cappuccini, dopo la sua guarigione, un S. Francesco che riceve le stigmate, ancora sul posto: riuscì una delle sue migliori composizioni sacre. Da allora il B. menò una vita ancora più devota di prima, e quando, in quel tempo (1636-1640), Francesco Furini, desistendo dal trattare soggetti profani, si convertì e prese la tonaca, egli, sotto il suo influsso, introdusse nella sua arte elementi di un misticismo pio e pacato. Smorzando il suo colorito, ricorre d'ora innanzi a sfumature soavi con effetti di penombra. Bisogna rilevare però che il B. non smise per questo di dipingere soggetti mitologici ed allegorici, per cui i suoi clienti aristocratici avevano una maniifesta preferenza. Fra questi, ci si può limitare a citare la Venere che si lava i piedi in uno stagno nella Galleria di Dresda, quadro di una dolcezza tanto ingenua quanto affabile (attribuzione di H. Voss).
Il grande capolavoro, eseguito in questa sua terza ed ultima maniera, è lo Sposalizio di s. Caterina d'Alessandria sopra l'altare della cappella Bardi nella chiesa fiorentina della SS. Annunziata, siglato e datato 1642, opera ispirata da un sentimento religioso sincero e profondo. Ultimo suo quadro è il bellissimo tondo con la Sacra Famiglia con s. Elisabetta e s. Giovannino, siglato e datato 1644, conservato nel castello di Fredensborg in Danimarca.
Il B. morì a Firenze il 16 luglio 1644.
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